Un grande eroe sul trono della Gerusalemme crociata, “piagato” nel corpo, forte nella fede.
Era un male terribile, la lebbra. Chi ne era colpito doveva indossare mantelli gialli e verdi e attaccare alle proprie vesti un campanello.
Veniva isolato e respinto, perché nel corpo piagato si credeva di riconoscere un tremendo castigo di Dio. Anche Baldovino IV, salito al trono di Gerusalemme nell’anno 1174, era lebbroso. A scoprirlo era stato il suo maestro Gugliemo, arcivescovo di Tiro, quando, osservandolo giocare con i suoi compagni, si era accorto della sua anomala resistenza al dolore. Lo descrive allora con amara consapevolezza: giovane, bello, dotato di solida memoria e prontezza di spirito, ma irrimediabilmente sventurato. Baldovino è soprattutto un cavaliere, educato per condurre azioni di guerra; in più lo illumina una fede sincera. Costretto a succedere al padre Amalrico a soli tredici anni e già ammalato di lebbra, si mostra consapevole del proprio difficile ruolo e della situazione delicata in cui versa il regno crociato di Gerusalemme. La progressiva unione della Siria e dell’Egitto sotto l’unica autorità del Saladino lo obbliga subito a scelte difficili e rischiose.
Sin dal 1175 il giovane re impegna con il suo formidabile antagonista un confronto serrato. Autore di fortunate scorrerie verso Damasco, nel 1176 avanza veloce sino ad Aleppo, in pieno territorio siriaco. Poi si ritira nelle città della costa e medita, con lungimiranza politica, di colpire direttamente l’Egitto grazie a un’alleanza con Bisanzio, che non si realizzerà per la morte precoce dell’imperatore Manuele Comneno.
L’anno successivo fronteggia tempestivamente le agguerrite schiere nemiche e a Montgisard, dopo aver chiesto il soccorso delle disciplinate forze Templari, si lancia con le poche truppe a sua disposizione contro i reparti musulmani, issando come stendardo la reliquia della Vera Croce. Infligge al Saladino una durissima sconfitta. Quindi per arginare il continuo pericolo di invasioni, si dedica alla costruzione di castelli sulla frontiera con la Siria. Come i grandi condottieri del suo tempo e come prevedeva il costume di guerra, sapeva essere spietato: a Montgisard fa giustiziare i nemici sbandati sul campo di battaglia. È tuttavia capace di gesti generosi, come quando libera 160 prigionieri arabi, dopo averli completamente rivestiti.
Sul suo regno incombono pericoli esterni e si palesano – ben più gravi – debolezze interne. Baldovino deve districarsi tra le mire delle diverse fazioni, contenendo l’irruenza bellicosa e dissennata di Rinaldo di Châtillon, signore di Kerak, e quindi le manovre dinastiche dell’inetto cognato Guido di Lusignano, cui opporrà nel 1180 il giovanissimo nipote Baldovino V.
La lebbra intanto prosegue inarrestabile il suo corso, ma ancora nel 1183, quasi cieco e immobilizzato negli arti superiori, partecipa, trasportato in lettiga, alla liberazione del castello di Moab. La vittoria è siglata da un ingresso trionfale nella fortezza recuperata. Poi per il re lebbroso comincia la lunga agonia. Muore nel marzo 1185 e viene sepolto nella chiesa del Santo Sepolcro. Con lui si spengono molte speranze di sopravvivenza per il regno di Gerusalemme.
L’Ottava Crociata (1270)
San Luigi muore appena sbarcato a Tunisi.
1287. Cade anche Tripoli e con la caduta di Acri, nel 1291, finisce ogni presenza significativa di occidentali in Medio Oriente.
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Dossier: La Crociata, un atto d’amore
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 46