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11.12.2024

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Belgrado 1456: vittoria cristiana
31 Gennaio 2014

Belgrado 1456: vittoria cristiana

 

 

 

Se l’Europa non riuscirà a riconciliarsi con la sua storia non troverà una ragione valida per unificarsi. Uno dei tanti eventi gloriosi e decisivi per salvaguardare la libertà e l’identità dell’Europa avvenne a Belgrado seicento anni fa.
Il 29 maggio 1453, Mehmet II il Conquistatore (14321481) – il settimo sultano dell’impero ottomano – entrava a cavallo nella cattedrale di Santa Sofia in Costantinopoli. L’impero romano d’Oriente era finito per sempre e prendeva forma un nuovo potere, ben organizzato, sostenuto da un esercito invincibile. Gli ottomani, od osmani, dal nome del loro capostipite, Osman (1281-1326), erano una razza di guerrieri asiatici, abili, coraggiosi e spietati, aperti alle novità scientifiche occidentali, crudeli in guerra e generosi con i popoli sottomessi, almeno fino a quando questi ultimi non commettevano il gravissimo errore di ribellarsi. Erano simili, e ne erano coscienti, ai conquistatori romani dell’antichità, lasciando ai sudditi una consistente libertà religiosa e amministrativa in cambio di una fedeltà politica assoluta.
Il rullo compressore turco sembrava inarrestabile ma incontrò una formidabile resistenza nei Balcani da parte degli albanesi di Giorgio Castriota, detto Skanderbeg (1403-1468), uno dei più grandi capi guerriglieri della storia, e degli ungheresi di Janos Hunyadi (1387-1456), un condottiero che, all’epoca, era quasi settantenne e la cui fama appariva in declino. A causa di una serie ininterrotta di vittorie meritò il soprannome di “Torokvero” (flagello dei turchi) ma due gravi sconfitte, a Varna nel 1444 e nel Kossovo nel 1448, subite senza propria colpa, lo avevano screditato quasi del tutto.
Mentre gli slavi combattevano e morivano per la salvezza della cristianità, l’Europa occidentale, colta, umanista e progredita, viveva nella più totale incoscienza del pericolo che stava per abbattersi su di essa. Gli appelli di papa Niccolò V per una grande alleanza di tutta la cristianità europea rimasero inascoltati, anche se fu possibile concordare la pace di Lodi del 1454 che mise fine, momentaneamente, alle ostilità tra gli Stati italiani. Inoltre la Chiesa, negli ultimi centocinquant’anni, era molto indebolita in autorevolezza spirituale e come forza politica. La “cattività babilonese” (consistente nello spostamento della sede pontificia da Roma ad Avignone, sotto la protezione/controllo del Re di Fran-cia, 1309-1377) e lo Scisma d’Occidente (durante il quale la divisione dei cardinali porta a una doppia elezione papale e alla contemporanea presenza di due e anche tre pontefici, ritenuti tali da altrettante fazioni di cardinali; la situazione scismatica dura quasi quarant’anni, 1378-1417) avevano provocato una serie di eresie gravissime che, come quella ussita, avevano devastato l’Europa centrale. La Chiesa, dopo aver perso le guerre contro gli ussiti e aver raggiunto un accordo con i moderati utraquisti (che volevano la comunione sotto le due specie, sub utraque specie), aveva mandato missionari e predicatori per riconquistare la Boemia, la Moravia e altre province con la forza della parola, del pensiero e della preghiera.
Nel dicembre 1455 Mehmet pianificò una grande offensiva che aveva come obiettivo la stessa Buda, capitale del regno ungherese. Ma ci furono tre uomini che cambiarono la storia, tre vegliardi, ormai giunti alla fine di una vita spesa a difendere la Chiesa e quanto avevano di più caro: il papa Callisto III (1455-1458), il condottiero ungherese già ricordato Janos Hunyadi e un francescano ormai settantenne, Giovanni da Capistrano (1386-1456), uno dei più grandi predicatori dell’epoca, inquisitore e giurista, che sarà canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII.
Papa Callisto III era uno spagnolo quasi ottantenne, aduso a battersi contro i Mori e che aveva giurato alla Trinità, alla Madre di Dio e a tutti i santi di riconquistare Costantinopoli. Quel giuramento venne reso pubblico e suscitò un subitaneo entusiasmo nel popolo. Il Pontefice inviò i suoi legati a predicare la crociata in tutta Europa ma la risposta fu vergognosa e desolante. L’Inghilterra si defilò immediatamente; la Francia, per mezzo dell’Università di Parigi, si spinse a contestare il potere dei papi e anche in Germania la riscossione delle decime fu oggetto di pesantissime critiche.
L’Ungheria era dunque sola a combattere contro l’armata turca. Janos Hunyadi aveva deciso di chiudere in bellezza la propria carriera militare e di morire coi suoi diecimila uomini d’arme e fanti ben armati e addestrati, cercando di infliggere perdite atroci al nemico islamico, forte di circa centomila uomini e dotato dello stesso parco d’artiglieria che aveva schiantato le mura di Costantinopoli. La guarnigione di Belgrado (seimila uomini) appariva condannata, fin da quando, all’inizio del luglio 1456, un mare di tende iniziò a circondarla e duecento navi ottomane avevano iniziato il blocco. Quando, però, Hunyadi arrivò in vista della città assediata non era solo: trentamila tra contadini e poveracci provenienti da Germania, Ungheria, Polonia, Boemia e Austria avevano seguito le parole di Giovanni da Capistrano, inviato a predicare la Crociata: quell’estate sarebbe stata, per molti, l’ultima della loro vita ma i da-di erano stati gettati e non importava se i borghesi erano rimasti a casa e sarebbero sopravvissuti, poiché, quell’estate, la vita aveva un significato e una bellezza impensabile.
Hunyadi sfruttò al meglio l’entusiasmo dei volontari portandoli all’abbordaggio delle navi ottomane il 14 luglio e riportando una vittoria schiacciante. Il bloc-co era infranto e rinforzi, armi e viveri entrarono in città. Le mura, però, erano già in briciole e il 21 luglio Mehmet ordinò un attacco generale che iniziò all’alba e continuò fin dopo il tramonto. Nella notte, la furia dei giannizzeri travolse le ultime difese cristiane e i turchi entrarono in città solo per esser accolti da una serie di micidiali contrattacchi ai fianchi, portati dagli uomini d’arme ungheresi, invincibili e invulnerabili nelle loro corazze, portate con forza e agilità grazie all’eccezionale prestanza fisica. Poi, il colpo di genio: Unyadi fece incendiare il fossato e la breccia e centinaia di giannizzeri perirono nel rogo, mentre gli altri assalitori si ritiravano. La mattina del 22, ambedue gli eserciti erano stremati ma alcuni crociati si avventurarono oltre le mura e ingaggiarono una scaramuccia con un gruppo di cavalieri turchi. Per quanto esausti, i guerrieri dei due campi si unirono alla lotta spontaneamente fino a che la battaglia divenne generale. A quel punto Giovanni da Capistrano arringò ventimila crociati, stanchi e laceri per il combattimento notturno, citando l’epistola di san Paolo ai Filippesi: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (1,6). Poi, tenendo alto il crocifisso, Giovanni si lanciò fuori dalle mura con una turba di folli alle calcagna. I crociati presero completamente di sorpresa i turchi che, colti dal panico, cedettero di schianto su tutto il fronte, abbandonando tre successive linee di fortificazione e le artiglierie. Mehmet accorse sul campo e guidò al contrattacco i giannizzeri della sua guardia personale ma, a quel punto, arrivarono anche gli ungheresi di Hunyadi e l’esercito ottomano andò in rotta. Mehmet cercò ancora di riorganizzare i suoi ma venne colpito da un dardo alla coscia e svenne per il dolore: quando riprese i sensi e si rese conto che il suo esercito era stato completamente annientato, tentò di avvelenarsi e ne fu impedito solo dai dignitari presenti.
Fu un trionfo così straordinario da essere ricordato nel calendario liturgico ogni 6 agosto, festa della Trasfigurazione: una festa che oggi pochi ricordano e della quale è vergognoso vergognarsi. Quanto ai due anziani vincitori, Hunyadi morì l’11 agosto e Giovanni da Capistrano il 23 ottobre, concludendo la loro “buona battaglia e conservando la Fede”, coscienti di aver salvato l’Europa e sconfitto il più invincibile dei nemici della Cristianità. Mehemet II, cavalleresco come sempre, fu sinceramente addolorato dalla morte di Hunyadi perché «il mondo non aveva mai visto un uomo simile». Un uomo che, sul suo letto di morte, pregò gli ungheresi di difendere la Cristianità da ogni nemico: «Non litigate tra di voi – disse –. Se sciuperete le vostre energie in alterchi continui, segnerete il vostro destino e scaverete la tomba alla nostra patria».
Un appello che gli europei di oggi continuano ad ignorare, proprio come quei borghesi che sopravvissero grazie al sacrificio di decine di migliaia di pezzenti, spregiati dal mondo e amati da Cristo.

IL TIMONE – N. 56 – ANNO VIII – Settembre/Ottobre 2006 – pag. 26 – 27

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