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13.12.2024

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Beniamino con i fratelli in Egitto
31 Gennaio 2014

Beniamino con i fratelli in Egitto

 

 

 

 

Venne il momento, per i ?gli di Giacobbe, di una nuova partenza per l’Egitto e stavolta conducono con loro Beniamino. Giacobbe manda al viceré quanto di meglio può offrirgli: balsamo, resina, laudano, pistacchi, mandorle, miele e il doppio del denaro.
Quando Giuseppe vede Beniamino ordina al maggiordomo di preparare per tutti un pranzo in casa sua. I suoi fratelli, anziché rallegrarsene, si spaventano e pensano che si tratti di un tranello: “… a causa del denaro, rimesso nei nostri sacchi l’altra volta, ci si vuol condurre là: per assalirci, piombarci addosso e prenderci come schiavi con i nostri asini”. Allora vogliono parlare con il maggiordomo del viceré, prima di entrare in quella casa, e gli dicono che hanno riportato tutto il denaro che la volta precedente avevano trovato nei loro sacchi, ma il maggiordomo dice loro delle strane parole: «… non temete! Il vostro Dio e il Dio dei padri vostri vi ha messo un tesoro nei sacchi; il vostro denaro è pervenuto a me». Si saranno guardati l’un l’altro sbalorditi. Intanto Simeone viene liberato. Entrati nella casa di Giuseppe, sono trattati come ospiti di riguardo. Ora sono pronti con i doni da offrire al viceré e quando egli viene si prostrano davanti a lui con la faccia a terra. E Giuseppe avrà ancora una volta pensato a quei sogni. Poi chiede: «Sta bene il vostro vecchio padre?… Vive ancora?» Rispondono: «Il tuo servo, nostro padre, sta bene, è ancora vivo» e si inginocchiano, prostrandosi. Quando Giuseppe vede Beniamino la sua commozione è tanto grande che si ritira nella sua camera e piange. Poi si lavò la faccia, uscì e, facendosi forza, ordinò di servire il pasto.
Sono atteggiamenti, questi, che possono essere descritti solo da chi ne fu protagonista. Il pasto fu servito, ma a parte, perché era un abominio per gli egiziani prendere cibo con gli ebrei. Quegli undici uomini sono sconcertati. Il pranzo è ottimo, ma le porzioni date a Beniamino sono cinque volte più abbondanti di quelle date a tutti gli altri. Viene il mo¬mento di tornare a casa. I sacchi sono riempiti di grano. Tutto sembra andare per il meglio ma, appena fuori dalla città, vengono raggiunti dal maggiordomo del viceré. Sono accusati di avere rubato la preziosa coppa del viceré. Talmente sicuri che il maggiordomo dice il falso, osano dire: «Quello dei tuoi servi presso il quale si troverà (la coppa), sarà messo a morte e anche noi diventeremo schiavi del mio signore». Ognuno vuota a terra il suo sacco. Il maggiordomo fruga e la coppa viene trovata nel sacco di Beniamino. Tutti sono presi dallo sgomento più grande. Tornano alla casa di Giuseppe. Ancora una volta, si prostrano a terra dinanzi a lui. Per tutti parla Giuda e non nega l’accusa: comprende che sarebbe inutile. Egli pensa di trovarsi di fronte a un mostro di malvagità. Ebbene, li faccia pure tutti suoi schiavi. Ma il viceré vuole come schiavo solo Beniamino. Allora Giuda richiama quello che era già stato detto a Giuseppe; riferisce le parole che il padre Giacobbe aveva detto quando gli avevano chiesto di lasciar partire con loro Beniamino: «Voi sapete che due ?gli mi aveva procreato mia moglie. Uno partì da me e dissi: certo è stato sbranato! Da allora non l’ho più visto. Se ora mi porterete via anche questo e gli capitasse una disgrazia, voi fareste scendere con dolore la mia canizie nella tomba… ma il tuo servo si è reso garante del giovinetto presso mio padre… come potrei tornare da mio padre senza avere con me il giovinetto? Che io non veda il male che colpirebbe mio padre». Ci pare di vedere nello sguardo di Giuda la disperazione più grande: era stato proprio lui, infatti, a insistere presso Giacobbe perché lasciasse partire con loro Beniamino.
Non si può dire quale angoscia avranno provato quegli undici ?gli di Giacobbe. L’idea di tornare dal loro padre senza Beniamino era insopportabile.
Non capivano ?no a che punto potesse giungere la crudeltà di quell’uomo potente. Di una cosa erano certi: tutto quanto accadeva era un castigo di Dio per il male che tredici anni prima avevano fatto al loro fratello Giuseppe. (continua)

 

 

 

 

IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 60

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