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12.12.2024

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Biancaneve & C.
31 Gennaio 2014

Biancaneve & C.


Hollywood ha riscoperto Biancaneve con due film, uno del 2011 con Julia Roberts nella parte della regina cattiva e un’azzeccatissima adolescente (di cui è più noto il padre, il musicista e cantante pop Phil Collins) a fare da protagonista, con tanto di canzone finale e danza collettiva. L’altro, in testa alle classifiche d’incasso estivo nelle sale del 2012, è più cupo e vede la bellissima Charlize Theron come antagonista di Biancaneve (e l’attore già segnalatosi come il «Thor» del fumetto cinematografico nei panni del buon cacciatore).
In verità, da quel primissimo lungometraggio animato di Walt Disney degli anni Trenta (il primo cartoon della storia a conseguire un Oscar), il cinema non ha mai smesso di visitare il personaggio creato dai fratelli Grimm: lo ha fatto, via, via, in chiave horror, grottesca, perfino erotica. Ma Biancaneve è più che un personaggio letterario, è un mito universale ed eterno, quasi un archetipo, e per questo non ha mai cessato di intrigare e affascinare. Si può dire che gli stessi Grimm non l’abbiano inventato, ma trovato già pronto in fiabe e leggende popolari antiche come il tempo.
«L’eroe irlandese Cú Chulainn ha i capelli di tre colori: biondo, rosso e nero. Quante fanciulle dai capelli neri come un corvo, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue sono imprigionate nelle fiabe?». Così scrive Alessandra Tozzi, esperta di filologia germanica, nel suo libro Brunilde e Rosaspina. Mito e fiaba dagli indoeuropei ai fratelli Grimm (Il Cerchio, prefazione di Paolo Gulisano, pp. 392, € 25,00). Ma i tre colori simbolici di Biancaneve risalgono a molto prima del già antichissimo Cú Chulainn: «Ad ogni classe sociale in India è attribuita una qualità essenziale (guna): Sattva, Rajas e Tamas. Ad ogni qualità è legato un colore (varna): Sattva è bianco e ascendente, leggero e luminoso. Rajas è rosso ed espansivo, eccitante e mobile. Tamas è nero, pesante e oscuro». E anche ogni funzione sociale, nella tripartizione classica, ha il suo colore, uno di questi tre. «Il bianco alla prima e i sacerdoti (per quello che ne sappiamo soprattutto i druidi) indossano vesti bianche (…); il bianco è il colore sacerdotale per eccellenza perché rappresenta la somma di tutti i colori divini. Il rosso è guerriero, è il colore del sangue e del fuoco (…). Il nero è considerato un non-colore». Non a caso in Occidente è associato al lutto. In effetti, anche il Papa indossa vesti bianche, per ricordare la «tunica della pazzia» imposta a Cristo da Erode Antipa. Tuttavia, nella vicenda di Cristo nulla è casuale, non a caso J. R. R. Tolkien convertì l’amico C. S. Lewis facendogli notare che in Cristo «il mito si è fatto storia». Sì, perché, ambedue docenti a Oxford ed espertissimi di mitologia nordica e celtica, sapevano bene che Odino, il sommo dio di Asgard, per ottenere la sapienza aveva sacrificato se stesso a se stesso (non essendoci divinità più alta di lui) appendendosi all’Albero della Vita, l’asse del mondo, Yggdrasil. E Cristo era Dio che sacrificava se stesso al Padre (stesso Dio) appeso al Lignum Vitae, la Croce. Non è un caso, allora, che, per esempio, i vikinghi si siano convertiti al cristianesimo e vi abbiano perseverato. Si badi, dati i loro contatti con gli arabi, conoscevano benissimo l’islam, religione guerriera e apparentemente più nelle loro corde. Invece, preferirono il culto del Cristo, e con loro tutti i popoli celtici.
Tornando a Tolkien e Lewis, sia il primo (col Signore degli Anelli) che il secondo (con le Cronache di Narnia) sono – sempre non a caso – i più grandi favolisti del Novecento. L’abito nero dei preti cattolici (quando lo portavano) fu imposto dal b. Pio IX perché «si distinguessero dagli uomini del secolo », il XIX, «infettati dagli errori moderni». Però i missionari in Africa e in Oriente l’abito (quando lo portavano) dovevano metterselo bianco, proprio per essere compresi come uomini del divino.
Chi dice Biancaneve, poi, dice mela. E il mitico re Artù «possiede un mantello, con una mela appesa a ogni angolo, che rende invisibile chi vi si avvolge». Nei miti, «trovare delle mele d’oro o dell’albero della vita viene considerata prova impossibile o comunque molto ardua». Un re supplica Odino per avere un figlio; il dio gli manda una mela tramite la figlia del gigante Hrímnir, la regina la morde e subito si accorge di essere incinta. La dea Idhunn «conserva nel suo scrigno le mele che gli dèi devono mangiare allorché invecchiano, per ridiventare giovani». Ma anche i miti greci prevedono mele d’oro (una delle fatiche di Ercole, nel giardino delle Esperidi, le riguarda). La famosa bacchetta magica, poi, è antica come i druidi: essa porta incise delle particolari rune e deve essere immersa nell’idromele per funzionare; il legno preferito è il frassino (come l’albero Yggdrasil).
Ma è impossibile, purtroppo, in un breve spazio dar conto delle mille suggestioni del libro della Tozzi, che parla anche delle fate attorno al letto della Bella Addormentata, della relazione tra la spina e il sonno, del significato della soglia (che la sposa non deve toccare), eccetera. Tuttavia, qualcosa sul capitolo riguardante le «pietre» bisognerà pur dirlo. Infatti, ci si imbatte in una nostra vecchia conoscenza, il diluvio. Innanzitutto, è bene sapere che i missionari cristiani, fin dai primi secoli, si sforzarono di combattere il culto pagano delle pietre, diffuso in tutto il mondo. Già: «nelle pietre è insita la forza della terra e i suoi segreti», esse sono simbolo di eternità «poiché sono tra le prime cose a nascere assieme al mondo» e «non si distruggono mai»; e sono pure simbolo di fertilità. Esiodo infatti narra che Zeus, irato contro gli uomini, scatena il diluvio universale; il solito Prometeo incita il figlio Deucalione a costruirsi un’arca, così da salvarsi con la moglie Pirra. Questa è figlia di Pandora, plasmata dalla terra. La vana curiosità di Pandora (che apre il famoso «vaso» incurante del divieto) trasforma il mondo in Valle di Lacrime. Mondo che era stato ripopolato da Deucalione e Pirra, a diluvio cessato, col gettarsi alle spalle delle pietre man mano che avanzavano: dalle pietre di lui nascevano uomini, da quelle di lei, donne.
La Tozzi fa notare che nella lingua greca si dice «lāos» per «pietra» e «laós» per «popolo ». Per noi è interessante notare come il tema del diluvio e dell’arca sia lo stesso anche nella Bibbia, così come quello della donna primordiale che provoca un disastro cosmico infrangendo un divieto divino. Come forse saprete, il racconto del diluvio è presente in tutte le religioni, anche quelle americane. A volte le somiglianze sono davvero impressionanti: per i cinesi, l’unico a scampare con la sua famiglia su un’arca si chiamava Nu-wah. «In Irlanda si trova il caso di Fintan mac Bochra: secondo il mito egli è uomo e druido primordiale, sopravvive alla prima invasione dell’Irlanda e al successivo diluvio universale».
Tornando alle pietre, forse è qui la spiegazione per i menhir, i dolmen, i cerchi cromlech e i cairn, diffusi in tutto il pianeta, perfino in Giappone. Val la pena di riportare il lamento della Tozzi sul più famoso raggruppamento di pietre arcaiche, quello di Stonehenge: «Durante l’anno il perimetrointerno di Stonehenge è rigorosamente inaccessibile e transennato da paletti e funi, con guardiani umani dallo sguardo di rottweiler. Ma alla vigilia del solstizio estivo l’English Heritage (l’ente britannico corrispondente al nostro Fai – Fondo Ambiente Italiano) permette incredibilmente ed esecrabilmente l’accesso all’interno della struttura litica di Stonehenge ad orde di improbabili druidi moderni, ciarlatani e invasati, che attendono l’alba del solstizio con svariati riti (mistici, esoterici, new age, wicca, ma anche con spropositate ubriacature e altro ancora). Il declino della nostra civiltà non ha mai fine!». Ma il Regno Unito ha deciso, e non da ieri, di porsi all’avanguardia della dissoluzione in ogni campo, dagli esperimenti sugli embrioni, all’eutanasia, alla pillola alle minorenni, le quali possono abortire senza dirlo ai genitori. L’avanguardia del politicamente corretto, colà, mette in difficoltà perfino i ciechi, i cui cani sono impunemente rifiutati sui bus e i taxi guidati da musulmani (per i quali il cane è l’animale impuro per eccellenza). La «tolleranza» multietnica politicamente corretta lega le mani alla polizia britannica. La quale, visto che siamo in tema, ha dovuto pure dotarsi di cappellani-druidi per i suoi poliziotti «pagani» (che pare siano un mezzo migliaio).
Diceva mio nonno, guardando i Beatles con la frangetta: «Dove andremo a finire!». Non aveva ancora visto niente.


IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 20 – 21

Hollywood ha riscoperto Biancaneve con due film, uno del 2011 con Julia Roberts nella parte della regina cattiva e un’azzeccatissima adolescente (di cui è più noto il padre, il musicista e cantante pop Phil Collins) a fare da protagonista, con tanto di canzone finale e danza collettiva. L’altro, in testa alle classifiche d’incasso estivo nelle sale del 2012, è più cupo e vede la bellissima Charlize Theron come antagonista di Biancaneve (e l’attore già segnalatosi come il «Thor» del fumetto cinematografico nei panni del buon cacciatore).
In verità, da quel primissimo lungometraggio animato di Walt Disney degli anni Trenta (il primo cartoon della storia a conseguire un Oscar), il cinema non ha mai smesso di visitare il personaggio creato dai fratelli Grimm: lo ha fatto, via, via, in chiave horror, grottesca, perfino erotica. Ma Biancaneve è più che un personaggio letterario, è un mito universale ed eterno, quasi un archetipo, e per questo non ha mai cessato di intrigare e affascinare. Si può dire che gli stessi Grimm non l’abbiano inventato, ma trovato già pronto in fiabe e leggende popolari antiche come il tempo.
«L’eroe irlandese Cú Chulainn ha i capelli di tre colori: biondo, rosso e nero. Quante fanciulle dai capelli neri come un corvo, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue sono imprigionate nelle fiabe?». Così scrive Alessandra Tozzi, esperta di filologia germanica, nel suo libro Brunilde e Rosaspina. Mito e fiaba dagli indoeuropei ai fratelli Grimm (Il Cerchio, prefazione di Paolo Gulisano, pp. 392, € 25,00). Ma i tre colori simbolici di Biancaneve risalgono a molto prima del già antichissimo Cú Chulainn: «Ad ogni classe sociale in India è attribuita una qualità essenziale (guna): Sattva, Rajas e Tamas. Ad ogni qualità è legato un colore (varna): Sattva è bianco e ascendente, leggero e luminoso. Rajas è rosso ed espansivo, eccitante e mobile. Tamas è nero, pesante e oscuro». E anche ogni funzione sociale, nella tripartizione classica, ha il suo colore, uno di questi tre. «Il bianco alla prima e i sacerdoti (per quello che ne sappiamo soprattutto i druidi) indossano vesti bianche (…); il bianco è il colore sacerdotale per eccellenza perché rappresenta la somma di tutti i colori divini. Il rosso è guerriero, è il colore del sangue e del fuoco (…). Il nero è considerato un non-colore». Non a caso in Occidente è associato al lutto. In effetti, anche il Papa indossa vesti bianche, per ricordare la «tunica della pazzia» imposta a Cristo da Erode Antipa. Tuttavia, nella vicenda di Cristo nulla è casuale, non a caso J. R. R. Tolkien convertì l’amico C. S. Lewis facendogli notare che in Cristo «il mito si è fatto storia». Sì, perché, ambedue docenti a Oxford ed espertissimi di mitologia nordica e celtica, sapevano bene che Odino, il sommo dio di Asgard, per ottenere la sapienza aveva sacrificato se stesso a se stesso (non essendoci divinità più alta di lui) appendendosi all’Albero della Vita, l’asse del mondo, Yggdrasil. E Cristo era Dio che sacrificava se stesso al Padre (stesso Dio) appeso al Lignum Vitae, la Croce. Non è un caso, allora, che, per esempio, i vikinghi si siano convertiti al cristianesimo e vi abbiano perseverato. Si badi, dati i loro contatti con gli arabi, conoscevano benissimo l’islam, religione guerriera e apparentemente più nelle loro corde. Invece, preferirono il culto del Cristo, e con loro tutti i popoli celtici.
Tornando a Tolkien e Lewis, sia il primo (col Signore degli Anelli) che il secondo (con le Cronache di Narnia) sono – sempre non a caso – i più grandi favolisti del Novecento. L’abito nero dei preti cattolici (quando lo portavano) fu imposto dal b. Pio IX perché «si distinguessero dagli uomini del secolo », il XIX, «infettati dagli errori moderni». Però i missionari in Africa e in Oriente l’abito (quando lo portavano) dovevano metterselo bianco, proprio per essere compresi come uomini del divino.
Chi dice Biancaneve, poi, dice mela. E il mitico re Artù «possiede un mantello, con una mela appesa a ogni angolo, che rende invisibile chi vi si avvolge». Nei miti, «trovare delle mele d’oro o dell’albero della vita viene considerata prova impossibile o comunque molto ardua». Un re supplica Odino per avere un figlio; il dio gli manda una mela tramite la figlia del gigante Hrímnir, la regina la morde e subito si accorge di essere incinta. La dea Idhunn «conserva nel suo scrigno le mele che gli dèi devono mangiare allorché invecchiano, per ridiventare giovani». Ma anche i miti greci prevedono mele d’oro (una delle fatiche di Ercole, nel giardino delle Esperidi, le riguarda). La famosa bacchetta magica, poi, è antica come i druidi: essa porta incise delle particolari rune e deve essere immersa nell’idromele per funzionare; il legno preferito è il frassino (come l’albero Yggdrasil).
Ma è impossibile, purtroppo, in un breve spazio dar conto delle mille suggestioni del libro della Tozzi, che parla anche delle fate attorno al letto della Bella Addormentata, della relazione tra la spina e il sonno, del significato della soglia (che la sposa non deve toccare), eccetera. Tuttavia, qualcosa sul capitolo riguardante le «pietre» bisognerà pur dirlo. Infatti, ci si imbatte in una nostra vecchia conoscenza, il diluvio. Innanzitutto, è bene sapere che i missionari cristiani, fin dai primi secoli, si sforzarono di combattere il culto pagano delle pietre, diffuso in tutto il mondo. Già: «nelle pietre è insita la forza della terra e i suoi segreti», esse sono simbolo di eternità «poiché sono tra le prime cose a nascere assieme al mondo» e «non si distruggono mai»; e sono pure simbolo di fertilità. Esiodo infatti narra che Zeus, irato contro gli uomini, scatena il diluvio universale; il solito Prometeo incita il figlio Deucalione a costruirsi un’arca, così da salvarsi con la moglie Pirra. Questa è figlia di Pandora, plasmata dalla terra. La vana curiosità di Pandora (che apre il famoso «vaso» incurante del divieto) trasforma il mondo in Valle di Lacrime. Mondo che era stato ripopolato da Deucalione e Pirra, a diluvio cessato, col gettarsi alle spalle delle pietre man mano che avanzavano: dalle pietre di lui nascevano uomini, da quelle di lei, donne.
La Tozzi fa notare che nella lingua greca si dice «lāos» per «pietra» e «laós» per «popolo ». Per noi è interessante notare come il tema del diluvio e dell’arca sia lo stesso anche nella Bibbia, così come quello della donna primordiale che provoca un disastro cosmico infrangendo un divieto divino. Come forse saprete, il racconto del diluvio è presente in tutte le religioni, anche quelle americane. A volte le somiglianze sono davvero impressionanti: per i cinesi, l’unico a scampare con la sua famiglia su un’arca si chiamava Nu-wah. «In Irlanda si trova il caso di Fintan mac Bochra: secondo il mito egli è uomo e druido primordiale, sopravvive alla prima invasione dell’Irlanda e al successivo diluvio universale».
Tornando alle pietre, forse è qui la spiegazione per i menhir, i dolmen, i cerchi cromlech e i cairn, diffusi in tutto il pianeta, perfino in Giappone. Val la pena di riportare il lamento della Tozzi sul più famoso raggruppamento di pietre arcaiche, quello di Stonehenge: «Durante l’anno il perimetrointerno di Stonehenge è rigorosamente inaccessibile e transennato da paletti e funi, con guardiani umani dallo sguardo di rottweiler. Ma alla vigilia del solstizio estivo l’English Heritage (l’ente britannico corrispondente al nostro Fai – Fondo Ambiente Italiano) permette incredibilmente ed esecrabilmente l’accesso all’interno della struttura litica di Stonehenge ad orde di improbabili druidi moderni, ciarlatani e invasati, che attendono l’alba del solstizio con svariati riti (mistici, esoterici, new age, wicca, ma anche con spropositate ubriacature e altro ancora). Il declino della nostra civiltà non ha mai fine!». Ma il Regno Unito ha deciso, e non da ieri, di porsi all’avanguardia della dissoluzione in ogni campo, dagli esperimenti sugli embrioni, all’eutanasia, alla pillola alle minorenni, le quali possono abortire senza dirlo ai genitori. L’avanguardia del politicamente corretto, colà, mette in difficoltà perfino i ciechi, i cui cani sono impunemente rifiutati sui bus e i taxi guidati da musulmani (per i quali il cane è l’animale impuro per eccellenza). La «tolleranza» multietnica politicamente corretta lega le mani alla polizia britannica. La quale, visto che siamo in tema, ha dovuto pure dotarsi di cappellani-druidi per i suoi poliziotti «pagani» (che pare siano un mezzo migliaio).
Diceva mio nonno, guardando i Beatles con la frangetta: «Dove andremo a finire!». Non aveva ancora visto niente.

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