In un clima di radicale assuefazione all’aborto, venti anni fa nasceva un’iniziativa del Movimento per la Vita che ha salvato 18000 bambini. Ne parliamo con Silvio Ghielmi, uno dei fondatori
Ci voleva la fede e il coraggio. Qualcuno cui domandammo parere ci disse che eravamo degli illusi. Per il metro della ragione era così!». Fu in un momento di particolare stanchezza del Movimento per la Vita italiano che i suoi fondatori Silvio Ghielmi, Mario Paolo Rocchi, Francesco Migliori e Giuseppe Garrone decisero di giocarsi tutto.
L'avrebbero fatto con un'iniziativa che compie quest'anno 20 anni di vita. «La chiamammo Progetto Gemma, per ricordare alla madre che quello in grembo è sì un germoglio, ma un germoglio di vita. Gemma come una pietra preziosa», ricorda al "Timone" Ghielmi. E così, grazie a quella fede azzardata di chi pensò «a una nuova opera per implorare aiuto», in vent'anni di operato più di 18mila bambini sono nati scampando all'aborto.
C'era già molta assuefazione all'aborto
Era il 1994 ed erano passati sedici anni da quando l'omicidio dei bambini non ancora nati era stato legalizzato. E se prima della legge194 l'aborto era percepito come un male e una vergogna da nascondere, con il passare degli anni la legge aveva prodotto un'assuefazione crescente, fino a ribaltare la percezione degli italiani, sempre più vergognosi di quanti continuavano a contrastare l'infanticidio legale. «Più aumentava l'assuefazione, più i Centri di aiuto alla vita (Cav) si impegnavano in attività parallele, meno specifiche e dispersive», spiega Ghielmi, che insieme ad altri "prolife" era ormai considerato da molti «come un provocatore della quiete pubblica».
Un uomo coraggioso
Ma non era un problema per uno che a vent'anni scatenò le ire dei socialisti del suo paese quando, di fronte a un comizio di lavoratori comunista, alzò la mano sostenendo che non si poteva essere d'accordo con Lenin, che parlava di uguaglianza dei lavoratori mentre legalizzava l'aborto. «Dovevamo ritornare alle origini della nostra presenza, dato che ormai eravamo impegnati in progetti [pur lodevoli, NDR] simili all'Agata Smeralda di Firenze, un programma di adozione a distanza di bambini brasiliani, che non avevano nulla a che vedere con la nostra missione primaria: salvare i bambini non ancora nati». Molti Cav si erano infatti impegnati «in attività collaterali e pietose, rischiando di trasformarsi in centri di distribuzione di pannolini e latte in polvere perdendo le propria identità e quindi indebolendosi, come presi dalla tentazione di cui parlava il beato Jérome Lejeune: quella di volersi difendere dalle (false) accuse di intolleranza causate dal proprio impegno in difese della vita, annacquando quest'ultimo» .
Risvegliare un popolo demotivato
Come fare per risvegliare un popolo demotivato? Ghielmi, Rocchi, Migliori e Garrone capivano che solo attivismo pro life non sarebbe bastato a rianimare un cuore stanco. Ci voleva un gesto di preghiera «che desse la possibilità a quanti adottava no i bambini non nati di contemplare il volto di Gesù concepito. Avevamo il compito profetico di mostrare che con la fede si può fare quello che pare impossibile, letteralmente rinascere».
Si sarebbe trattato di trovare persone disponibili ad adottare una mamma incinta e il suo bambino, versando 300mila lire al mese, oggi 160 euro, per diciotto mesi (gli ultimi sei di gravidanza e i dodici successivi) direttamente a uno degli oltre trecento Centri di aiuto alla vita, con il compito di vincere il senso di solitudine delle mamme bisognose. «Durante il periodo di adozione – continua Ghielmi – chi si rendeva disponibile ad adottare avrebbe ricevuto alcune notizie essenziali sul bambino, come la data di nascita, il nome del piccolo salvato e la sua fotografia». E alla fine dei 18 mesi, se la madre avesse acconsentito, avrebbe potuto incontrare il suo benefattore e continuare il rapporto indipendentemente dal Cav. I quattro fondatori, sapendo bene che dalla proposta avrebbero solo potuto perdere o riguadagnare tutto, «proprio quando l'abitudine sembrava aver allontanato dal sentore popolare la percezione che le file di donne che ogni mattina riempiono gli ospedali italiani siano un vero e proprio olocausto moderno», decisero di chiedere aiuto a chiunque: parrocchie, singoli, gruppi o famiglie.
Sotto la buona stella di Gianna Beretta Molla
A battezzare l'iniziativa ci pensò Rocchi: si sarebbe chiamato Progetto Gemma, leggendo che il Devoto-Oli la definì come «cosa o persona che presenti pregi personali». Era finalmente tutto pronto per partire, quando, ancor prima di cominciare, venne la prima conferma del successo futuro: «Ricevemmo la notizia della data di beatificazione di Gianna Beretta Molla». Fu allora che Ghielmi e compagni capirono che la loro ingenua audacia non li avrebbe traditi, non avendo più dubbi sul fatto che «c'era una mano che ci stava guidando». Così, il 7 maggio 1994, Ghielmi, Rocchi, Migliori e Garrone si recarono sulla tomba della santa, a Mesero, dove monsignor Michel Schooyans, professore dell'Università Cattolica di Lovanio, fra i più noti difensori della vita nel panorama internazionale, celebrò l'Eucarestia invocando la protezione della beata.
Il giorno dopo, a Bergamo, durante l'Assemblea del Movimento per la Vita il Progetto Gemma fu presentato al pubblico, fra applausi, paure e scetticismo. Ma il tentativo venne accolto e solo otto mesi più tardi le adozioni erano già quasi novanta, per poi divenire trecento un anno dopo. Singoli, famiglie, gruppi parrocchiali, di amici o di colleghi, comunità religiose, condomini e classi scolastiche, carcerati e persino amministrazioni comunali aderirono a cascata.
Oggi mancano i fondi…
«Condussi il Progetto Gemma per nove anni fino al 2003; il primo anno aiutammo circa 1.400 bimbi a nascere e così fu per quelli successivi. Furono più di 6 mila i bambini salvati dai Cav di prima linea con l'aiuto del Progetto».
Per mancanza di fondi oggi è diventato impossibile rispondere a tutte le richieste di aiuto e, da due anni, il 40 percento delle domande rimane senza risposta. «Credo che la riuscita iniziale fu nella concezione che avevamo dell'iniziativa: non una raccolta di fondi da distribuire, ma una partecipazione collettiva di tutti i Cav per supportare la vita. Fu una vera esperienza di comunione che ci portava, nelle situazioni più drammatiche, sulla tomba della nostra protettrice Beretta Molla, da cui puntualmente arrivava una soluzione». Si trattava, ribadisce Ghielmi, «innanzitutto di liberare le coscienze dall'accettazione remissiva dell'aborto, richiamandole costantemente a pregare per la vita e alimentando una lode di ringraziamento, come arma indispensabile per rompere il silenzioso martirio dei 140 mila innocenti uccisi ogni anno in Italia».
… e occorre ancora più fede Ma Ghielmi ci ripete anche che occorre aver fede, perché « è solo da gente di fede che rinascerà qualcosa di nuovo, in una situazione ancora più ardua di quella di vent'anni fa». Qualcosa di simile al Progetto Gemma, che precorse la supplica che avrebbe avanzato un anno più tardi Giovanni Paolo Il nell'Evangelium Vitae: «È urgente una grande preghiera per la Vita, che attraversi il mondo intero. Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale, da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione, da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente si elevi una supplica appassionata a Dio, Creatore e amante della Vita».•
Per saperne di più …
www,mpv.org/home-pageJiniziative/OOOOOO44_Progetto_Gemma.html
Il Timone – Novembre 2014