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12.12.2024

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C’è Europa ed Europa
3 Giugno 2014

C’è Europa ed Europa

In una prestigiosa Accademia politica francese, Mario Monti subentra a Vaclav Havel. È una metafora dell’avanzare di una concezione dell’Unione europea come governo dei tecnocrati contro il protagonismo e l’identità dei popoli. Il richiamo profetico dell’ex presidente ceco.

 

 

 

Ci sono notizie che, pur non meritando le prime pagine dei giornali, per il loro valore simbolico più di altre danno il senso dei mutamenti in corso. Una di queste, all’inizio di maggio, è stato l’ingresso ufficiale all’Accademia di Scienze Morali e Politiche di Francia dell’ex presidente del Consiglio italiano Mario Monti in sostituzione dell’ex presidente ceco Vaclav Havel, deceduto nel dicembre 2011.

L’Accademia francese, fondata nel 1795 (e poi ancora nel 1832 dopo la sua soppressione nel 1803) è considerata un’istituzione molto prestigiosa nel promuovere l’approfondimento e la circolazione di idee su politica, economia, diritto, finanza. L’accesso di personalità non francesi – molto limitato e perciò scelto con cura – è anche indicativo del prevalere o meno di certe idee e progetti. Per questo diventa significativo un passaggio come quello fra Havel e Monti. È come se a un’idea di Europa se ne fosse sostituita un’altra, a colui che credeva fortemente in un’Europa dei popoli è succeduto il simbolo dell’Europa delle élites, un po’ una metafora di quanto sta accadendo effettivamente a livello politico.

Havel, scrittore e drammaturgo ceco, divenne noto nell’Europa occidentale per essere uno dei promotori di “Charta ’77”, la più importante iniziativa del dissenso anti-sovietico nell’allora Cecoslovacchia, un manifesto in cui si chiedeva il rispetto dei diritti umani sistematicamente calpestati dal regime comunista. Si trattò di un’azione figlia di quel “vivere nella verità” contro “il potere della menzogna” che Havel descrisse così efficacemente nel famoso libro Il potere dei senza potere (recentemente rieditato in italiano da La casa di Matriona-Itaca). La vicenda dell’ortolano che mette in crisi un intero sistema totalitario semplicemente togliendo dalla vetrina della propria bottega il cartello con su scritto lo slogan imposto dal potere (“Proletari di tutto il mondo unitevi”) è l’esaltazione della rilevanza universale di qualsiasi gesto di libertà e autocoscienza che la singola persona faccia. Il problema dunque per Havel non sta nell’azione di questo o quel partito, questo o quel governo, ma nella consapevolezza di sé e della propria identità di ciascun cittadino. È intorno alle ragioni del proprio essere uomo che si gioca il futuro di un Paese e di un Continente.

Già nel 1978, quando scrive Il potere dei senza potere ed è solo un intellettuale dissidente nel cuore dell’impero sovietico, Havel vede con chiarezza il mortale pericolo cui va incontro l’Europa occidentale, incapace di comprendere la natura dei sistemi totalitari, ovvero «l’elusione dell’uomo». Un errore sempre più evidente nello Stato moderno, che mette tra parentesi «l’uomo concreto come soggetto dell’esperienza del mondo» e perciò stesso tende a evolvere in totalitarismo. Si genera così un mondo falso in cui la singola persona sembra irrilevante, ma tutto questo può reggere soltanto se le singole persone si rassegnano a vivere nella menzogna e nell’apparenza. «Finché l’apparenza – scrive Havel ne Il potere dei senza potere – non viene messa a confronto con la realtà non sembra un’apparenza; finché la vita nella menzogna non viene messa a confronto con la vita nella verità manca un punto di riferimento che ne riveli la falsità. (…) l’ortolano non ha messo in pericolo la struttura del potere a causa della sua importanza “fisica” o del suo potere oggettivo, ma in quanto il suo gesto ha trasceso la sua persona, ha fatto luce intorno a sé». Per questo il potere reagisce violentemente, con una repressione che appare del tutto sproporzionata alla limitatezza del gesto di non esporre un cartello.

Quando la Cecoslovacchia riconquista la libertà e da presidente della Repubblica si trova anche a gestire la separazione tra Repubblica Ceca e Slovacchia (che lui non voleva al punto di dimettersi per non firmare la secessione), Havel non perde il filo del discorso e, anche se le sue scelte politiche possono essere opinabili come quelle di chiunque altro, mantiene alta l’attenzione sul futuro dell’Europa. E ancora invita alla responsabilità personale, che diventa responsabilità dei singoli Paesi nei confronti di un agglomerato come l’Unione Europea. Ecco cosa dice, con parole così attuali che valgono anche per noi oggi, nel discorso per la Festa della Repubblica Ceca il 28 ottobre 2000: «Al giorno d’oggi si sente parlare della nostra identità in toni molto tetri: si dice che è minacciata. È minacciata dall’Unione Europea, la quale ci vorrebbe, prima della nostra ammissione, rendere più simili agli altri membri; è minacciata dagli standard del Consiglio d’Europa; è minacciata dall’insistenza della Nato sulla nostra affidabilità come alleati; è minacciata dal Fondo Monetario internazionale, dalla Banca Mondiale, dall’ONU, dalla burocrazia di Bruxelles, dal capitale straniero, dall’ideologia dell’Occidente, dalla mafia dell’Est, dall’influenza americana, dall’immigrazione asiatica o africana e da Dio sa cos’altro… In realtà non credo che il mondo si preoccupi soprattutto della questione di come togliere ai Cechi la loro identità e sovranità… Solo da noi dipende se vogliamo chiuderci nelle vallate boeme tra le nostre montagne, con la speranza che tutte le burrasche del mondo ci schiveranno e ci lasceranno in pace a prenderci cura di noi stessi, oppure se ci comporteremo come veri cittadini di questo continente e di questo pianeta, ovvero come persone alle quali non è indifferente che cosa stia succedendo nel mondo e che accettano la loro dose di responsabilità di questi avvenimenti».

 Agli antipodi di questa concezione sta invece Mario Monti che, aldilà delle sue convinzioni personali, è diventato il simbolo dell’Europa dei tecnocrati, di una élite illuminata che per governare può fare a meno della partecipazione popolare, anzi che vede la partecipazione popolare come un inutile fastidio, una sorta di disturbo del manovratore. Non a caso “governa” con qualsiasi tipo di maggioranza politica e anche a prescindere dalla maggioranza politica. Fu nominato dapprima Commissario europeo nel 1994 dal governo Berlusconi, ma fu confermato nel 1999 da un governo di colore opposto, quello di D’Alema. E in Italia, fatto senatore a vita non si sa per quali meriti il 9 novembre 2011, la settimana successiva viene nominato a capo del governo dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in sostituzione di Silvio Berlusconi, costretto alle dimissioni pur godendo di una significativa maggioranza parlamentare. Sulle vicende che hanno portato a quel ribaltone si è molto discusso e le recenti dichiarazioni dell’ex segretario al Tesoro americano Tim Geithner, che ha rivelato una trama europea per rovesciare Berlusconi, rafforzano la convinzione che Monti rappresenti quell’insieme sovranazionale di poteri forti che governano sopra la volontà popolare che si esprime attraverso il voto. Tanto è vero che malgrado la sonora bocciatura che la sua formazione politica ha ricevuto non appena si è affacciato alle elezioni, l’Europa continua ad offrire incarichi prestigiosi a Monti: a gennaio è stato chiamato a presiedere il neonato “Gruppo di alto livello per le risorse proprie”. Cosa vuol dire? Si tratta di una commissione ristretta che dovrà studiare il modo in cui l’Unione Europea potrà finanziarsi in futuro, vale a dire che Monti dovrà inventarsi nuove tasse per l’Europa. E su questo, siamo certi, non deluderà i suoi “elettori”.

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