Come la liturgia della Chiesa affonda le sue radici nel culto giudaico-cristiano dei primissimi secoli, così il canto liturgico ha origini nello stesso ambiente: Cristo e gli Apostoli, al termine di quella che si può considerare in nuce la prima Messa della storia, il Giovedì Santo, cantarono un inno prima d’uscire dal Cenacolo («et himno dicto exierunt in montem Oliveti»).
Dell’antica musica ebraica non ci sono però rimasti esempi di melodie notate, né opere di teoria musicale, ma era normale che di un popolo così legato al culto monoteista le testimonianze più importanti, ancorché poco organiche, le offrisse proprio la Bibbia che menziona diversi atti di culto connessi alla musica e contiene veri e propri canti (come i Cantica del Mar Rosso e i Salmi). Il primo accenno ad argomenti musicali è già nella Genesi, mentre i libri successivi presentano una classificazione degli strumenti: i corni e le trombe assegnati ai sacerdoti, gli strumenti a corda suonati dai leviti (ministri addetti al servizio del Tempio), flauti in uso presso il popolo. A questi si aggiungevano alcuni altri utilizzati nel Tempio, fra cui lo shofar, corno di ariete simbolicamente legato al sacrificio di Isacco, ancor oggi in uso nelle sinagoghe. L’epoca d’oro della musica liturgica ebraica si collocò sotto Davide, cui si attribuisce la gran parte dei Salmi, e Salomone (X sec. a.C.): il culto, ormai accentrato al Tempio di Gerusalemme, era solennizzato da esecuzioni vocali, affidate a grandiosi complessi corali con accompagnamento, mentre nella scuola sacerdotale annessa al Tempio si curava l’istruzione dei musicisti e la tradizione musicale delle famiglie levitiche. Il declino del Tempio salomonico condusse alla progressiva scomparsa dei grandi complessi e all’utilizzazione quasi esclusiva della voce di un unico praecentor finché, con la distruzione del Tempio e l’esilio babilonese (587- 538 a.C.), la pressoché generale eliminazione degli strumenti dal culto si identificò con il lutto per la caduta di Gerusalemme (“suspendimus organa nostra”).
Privi del Tempio e dei rituali sacrificali, gli Ebrei si concentrarono su preghiera, lettura e studio della Bibbia: le sinagoghe progredirono ancora durante l’epoca del Secondo Tempio sicché al momento della sua distruzione ad opera di Tito (70 d.C.) nella sola Gerusalemme si contavano circa 400 sinagoghe e l’ordinamento liturgico, ormai consolidato, prevedeva come inscindibile l’elemento musicale dalla preghiera, ma anche dalla lettura e dallo studio dei testi sacri, sviluppandosi in due forme primarie, salmodia e cantillazione.
La salmodia era strettamente legata alla struttura poetica dei salmi, caratterizzata da due parti (emistichi) parallele per ogni versetto: l’intonazione melodica risultava organizzata attorno ad una nota centrale ripetuta, con fioriture all’inizio, al centro e alla fine del versetto risultando così facilmente adattabile alla lunghezza variabile dei versetti stessi. L’esecuzione poteva essere “antifonale” (canto eseguito all’inizio o alla fine di ciascun salmo) o “responsoriale” (ritornello corale in risposta al versetto intonato dal celebrante). La salmodia dunque – adottata, oltre che per i Salmi, per altre parti liriche della Bibbia (come i Proverbi) – passò, con i Salmi stessi nella liturgia dei primi cristiani, costituendo così il principale anello di congiunzione con il canto liturgico cristiano, per quanto nella esecuzione cristiana essa si differenziò già dalla fine del II secolo.
La cantillazione (o lectio biblica), anche se più tarda, consisteva nella lettura intonata del Pentateuco e delle parti in prosa della Bibbia. Guidata da appositi accenti (teamim) apposti sopra o sotto il testo, indicati solo intorno al 500 d.C., essa cooperò alla fissazione definitiva del testo: insieme ai teamim, infatti, vennero anche aggiunti i segni delle vocali. I teamim indicavano sia la punteggiatura, sia le formule melodiche ed erano quindi legati a sintassi e significato del testo, mentre non indicavano l’altezza precisa, né la durata dei suoni sicché alcuni li hanno considerati antesignani dei segni ecfonetici bizantini, forme primigenie del neuma in campo aperto (senza rigo musicale) che sarà il fondamentale sistema di notazione del canto liturgico occidentale, detto poi comunemente gregoriano, fin ben oltre il XII sec.
Fino al IV secolo inoltre le fonti cristiane associano alla cantillazione lo stesso insegnamento e la lettura dei testi sacri (tono di lezione): è quel proclamare un testo “per cola et commata” che, pervenutoci pure tramite le Chiese orientali che lo trassero dalla tradizione ebraica, conosciamo ancora oggi nelle orazioni cantate e nel canto di Letture e Vangelo, durante la Messa.
Alle Chiese orientali dobbiamo le prime profonde differenziazioni rispetto alle tradizioni cultuali ebraiche, come la preminenza dell’inno quale forma cantuale liturgica, in chiara contrapposizione con il canto sinagogale dell’epoca.
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 47
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