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13.12.2024

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Catechismo: una nuova stagione
31 Gennaio 2014

Catechismo: una nuova stagione



Per qualche decennio si è pensato di poterne fare a meno: lo studio della dottrina, con domande e risposte precise, sembrava una pratica superata. Ma a partire dal Catechismo del 1992 è iniziata una nuova stagione: studiare i contenuti della fede cattolica è indispensabile. Magari recuperando lo storico Catechismo di san Pio X





Anche se molti non se ne sono accorti, il catechismo è tornato. Prima ci fu il testo, indubbiamente ponderoso, del 1992, che compie quindi vent’anni esatti; e poi venne il Compendio curato da Benedetto XVI. Due mosse del Magistero che dicono una cosa sola: il tema della catechesi è di nuovo d’attualità.
Non che il catechismo fosse mai stato abolito dalla Chiesa, o che qualcuno avesse stabilito che se ne poteva fare a meno. Ma c’è stato un periodo piuttosto lungo nel quale molti cattolici hanno abbandonato lo studio e l’insegnamento della dottrina. Un clamoroso campanello d’allarme di fronte a questa deriva venne suonato nel 1968 da Paolo VI, con la sua clamorosa decisione di proclamare solennemente ancora una volta la fede della Chiesa leggendo davanti al mondo il “Credo”, nella versione da lui stesso composta. Montini avvertiva la confusione in atto nella teologia contemporanea, lacerata da pulsioni oggettivamente eterodosse.

Il Catechismo come “esperienza”
La crisi del catechismo non era, però, solo al livello delle elite e degli ambienti colti, dei professori e dei chierici. Sul finire degli Anni Sessanta si stava diffondendo l’idea che i vecchi sistemi di insegnamento del catechismo – a cominciare dalla “dottrina” rivolta ai bambini – erano ormai superati, poiché riducevano tutta la faccenda allo studio mnemonico di alcune formule. Bisognava dunque – si diceva – mandare in pensione il Catechismo di san Pio X con la sua enunciazione per domande e risposte, e rimpiazzarlo con un modo completamente diverso di formare i cristiani, piccoli e adulti. Basta frasi da studiare a memoria, basta verifiche per stabilire il grado di preparazione, basta a maggior ragione con qualunque forma di “bocciatura” per i candidati a ricevere un certo sacramento.
Questo nuovo modo di fare catechismo non era soltanto basato sull’uso di strumenti diversi da quelli del passato, ma esprimeva innanzitutto un’idea della “iniziazione cristiana” – termine invero non facilissimo da far capire ai semplici – che spostava l’attenzione dalla dottrina all’esperienza. Bisognava alleggerire, o addirittura svuotare, i testi dei bambini di ogni nozione solida e definitoria, per sostituirla con la comunicazione della centralità di Gesù, del suo amore per ogni uomo espresso e vissuto in particolare nella dimensione comunitaria. Sfogliare i catechismi in voga in quegli anni – soprattutto a partire dal 1970 – è un’esperienza illuminante per capire quanto tale disegno fosse portato avanti con determinazione. Inutile cercarvi, ad esempio, l’elenco dei sacramenti, dei sette vizi capitali, delle opere di misericordia corporale e spirituale, dei doni dello Spirito Santo, dei novissimi, dei cinque precetti generali della Chiesa, e perfino, nei casi più gravi, dei dieci comandamenti. Molti catechismi ne erano del tutto sprovvisti. Fra lo sconcerto dei genitori e dei catechisti più attempati si assistette, insomma, alla eliminazione da molti testi di quei “fondamentali” che stanno alla dottrina cattolica così come le tabelline stanno alla matematica: la bellezza e la profondità dei calcoli con i numeri non starà nella banalità delle tabelline; ma senza tabelline quella profondità diventa semplicemente irraggiungibile. Inoltre, più tardi nella vita uno studente impara quelle tabelline, e più fatica farà a memorizzarle e a interiorizzarle. Insomma, lo slogan riassuntivo di quella stagione potrebbe essere: il cristianesimo si vive, non si studia. Soltanto che, per vivere una certa esperienza religiosa, bisogna almeno conoscerla, apprenderla, assentirvi usando innanzitutto la ragione e, se occorre, la memoria.

Il sistema scolastico e il Catechismo di San Pio X
La tesi di fondo che alimentava questo cambiamento in casa cattolica risentiva della polemica in atto nella società intorno al sistema scolastico: anche in quel campo, soprattutto con l’avvento del 1968, si sosteneva che c’erano vecchi libri, vecchi programmi ministeriali e vecchi professori, tutti ammalati di “nozionismo”. C’era anche del vero in questa critica, che coglieva una certa tendenza a sclerotizzarsi della scuola e a restare tagliata fuori da alcuni grandi cambiamenti in atto nella società; ma non ci si accorgeva che, quando si butta l’acqua sporca, occorre stare molto attenti a non gettare via anche il bambino. Insomma, si voleva voltare pagina, e così effettivamente avvenne. Con risultati tutt’altro che entusiasmanti sulla preparazione di docenti e studenti, e conseguenze che stiamo pagando ancora oggi.
In questo “travaglio” del sistema scolastico c’è una certa analogia con quanto avvenne all’interno della Chiesa: anche lì si disse, con qualche ragione, che studiare “formulette” a memoria non bastava a trasmettere la fede, tanto più in una società che stava progressivamente secolarizzandosi, e nella quale dunque il cristiano sarebbe stato messo costantemente alla prova dall’ambiente circostante. Ci voleva insomma qualche cosa di più.
La vittima sacrificale di questo vento innovativo fu il Catechismo di san Pio X, in particolare nella sua formulazione più agile e semplice rivolta ai fanciulli. Venne messo sul banco degli imputati come uno strumento vecchio, rigido, dogmatico, preconciliare, non più adatto ai tempi e non più rispondente alla nuova teologia prevalente, affermatasi con vigore negli ultimi decenni del secolo scorso. Si badi bene che l’obiettivo non era solo quello di riformare uno strumento – cosa che in sé non sarebbe stata scandalosa né sorprendente, visto che lo stesso Catechismo di Pio X fu, ai suoi tempi, uno strumento “nuovo” – ma di cambiare soprattutto un metodo, basato su un presupposto tipicamente aristotelico tomistico: per amare una cosa bisogna innanzitutto conoscerla. Dunque, per affezionarsi a Cristo fino a innamorarsi di Lui e della sua Chiesa, bisogna innanzitutto sapere chi sia Lui e che cosa insegni la Chiesa. In una lettera di presentazione del suo catechismo del 18 ottobre 1912, il Pontefice Pio X scriveva: «Gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi». Una convinzione espressa dall’ultimo Papa santo esattamente 100 anni fa, ma che sembra una perfetta diagnosi della situazione presente.  
Quando il vecchio e collaudato catechismo del 1912 fu messo in liquidazione, non si considerarono però tre cose. Primo: il Catechismo di san Pio X era semplice ma non era stupido, nel senso che era il frutto di una raffinata teologia, di una sperimentata pastorale e di una solida dottrina. Dietro alle “formulette” sintetiche c’era tutta l’intelligenza delle migliori menti cattoliche, che avevano fatto confluire in quelle pagine secoli di tradizione e di esperienza cattolica. Secondo: passare dal semplice al complesso è un’operazione pericolosa, che può sconcertare e gettare la gente nella confusione. Terzo: il sistema della domanda e della risposta, pur nella sua rigidità, garantisce nettezza di concetti, rigore di dottrina, sufficiente copertura del “programma” delle cose necessarie da sapere. Funziona, diremmo oggi con il linguaggio dei sistemi qualità usati dalle aziende moderne, come una “check list”, una lista di controllo che si usa con ottimi risultati per verificare se non manca nulla di ciò che è necessario. Ovviamente, un’azienda non coincide con il suo sistema di controllo qualità, ma è anche vero che se tale sistema viene abbandonato, prima o poi la fabbrica chiude per colpa dei suoi pessimi prodotti.
Per analogia, l’esser cattolico non può essere ridotto alla conoscenza della dottrina, ma quest’ultima è certamente indispensabile per fare poi “esperienza” della fede.

Dalla crisi al Catechismo del 1992 «Chi è Dio?»
Per i lettori che hanno almeno cinquant’anni la risposta viene spontanea: «Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra». La risposta fluisce automatica – perfino dalla bocca di persone che non vedono una chiesa da quando erano piccoli – riemergendo dalla memoria indelebile dell’infanzia: è sufficiente ripetere il numero 2 del Catechismo di san Pio X, appunto «Chi è Dio?». Per le generazioni successive, invece, la risposta si fa difforme, problematica, articolata: Dio può essere definito “un amico”, “un mistero”, “un’ipotesi”, “un’energia buona”, “un’invenzione dei preti”, “una cosa importante se ci credi”, e via improvvisando, recitando a soggetto spinti non dalla malizia, ma dall’ignoranza. Figurarsi quale può essere il risultato, se si procede nell’approfondimento dei “fondamentali” del cattolicesimo con domande più difficili. Questo piccolo esperimento dimostra che negli ultimi decenni una vera e propria epidemia di analfabetismo dottrinale ha colpito i cattolici, scavando un solco molto profondo tra le verità elementari della fede e la gente.
Era successo che altri catechismi si erano diffusi nelle parrocchie, mettendo in crisi gli stessi catechisti di buona volontà. La reazione di molti genitori del popolo fu di apostrofare i figli dicendo: «Ma non vi insegnano più niente, a questo catechismo?!». Giudizio ingeneroso e sbrigativo, ma degno di essere tenuto in qualche conto. Questa gigantesca “ricreazione” della dottrina cattolica è ora finita. Nel senso che Giovanni Paolo II prima, con il Catechismo del 1992, e Benedetto XVI poi, con il suo Compendio del 2005, hanno segnato una svolta decisa, che riprende una visione comune a tutta la storia della Chiesa: occorre preoccuparsi di conoscere e insegnare la retta dottrina, a cominciare dai più piccoli e senza tralasciare gli adulti.
Se il poderoso Catechismo del 1992 era stato pensato principalmente, ma non esclusivamente, per i vescovi del mondo intero, quale testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica, e in particolare per la elaborazione di catechismi locali, il più agile Compendio, fatto di domande e risposte, è stato realizzato avendo di mira una più larga diffusione. Così auspicava papa Benedetto XVI nel Motu Proprio che ne accompagnava la pubblicazione, ove si può leggere che il Compendio «[…], per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio».
I risultati di questo ritorno al catechismo sono per ora piuttosto modesti, perché il danno lasciato in eredità dal “68 catechistico” è notevolissimo. E anche perché non mancano le resistenze di zelanti nostalgici del Catechismo olandese o della Chiesa senza catechismo. Ma ci sono anche tanti segnali incoraggianti. Non ultimo la ricomparsa, in molte parrocchie e in non poche case, di quello stesso Catechismo di san Pio X che molti pensavano di aver seppellito per sempre.

 

Dossier: IL RITORNO DEL CATECHISMO

IL TIMONE  N. 109 – ANNO XIV – Gennaio 2012 – pag. 36 – 38

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