Cari lettori, visto la generosità con la quale lo scorso anno, proprio di questi tempi, avete risposto alla lettera che vi avevo scritto (cf Il Timone nr. 16), ho deciso di ripetere l’iniziativa. Sono certo, conoscendovi, che leggerete con attenzione e accoglierete con benevolenza quanto mi sono proposto di chiedervi. Come ho fatto allora, anche questa volta, non volendo tediarvi oltre con il mio editoriale, lascio la penna e l”’affido” ad uno dei grandi pastori del nostro tempo, l’arcivescovo di Bologna il cardinale Giacomo Biffi il quale, in un volume che vi consiglio vivamente di leggere, di più: di meditare, che raccoglie “note pastorali” indirizzate ai cristiani della sua diocesi, tratta anche di un tema assai caro a “il Timone”: la “nuova evangelizzazione”. Vi propongo, di seguito, una pagina e insieme vi chiedo di pregare il Signore perché. ci conservi a lungo e ci doni tanti pastori come il coraggioso arcivescovo di Bologna. Da parte mia, gli giunga un grazie sincero e la richiesta di una benedizione da estendersi a tutti voi.
La nuova evangelizzazione non si propone affatto un risultato di natura politica o di natura sociale nel senso più usuale del termine, benché non siamo indifferenti a questi aspetti della vicenda umana e siamo certi che anche per la vita pubblica e di aggregazione il nostro popolo troverebbe grandi benefici da una più larga e cordiale accoglienza di quella dottrina sociale della Chiesa, la quale – come ci insegna Giovanni Paolo Il – appartiene ai contenuti dell’integrale proposta cristiana.
Senza dubbio potremmo dire di mirare a dar vita a una cristianità più vivace, più efficiente, più numerosa: questo è il nostro auspicio e non risparmieremo fatiche perché felicemente si avveri. Ma l’evangelizzazione direttamente e per sé non ha altro scopo che se stessa.
Noi rendiamo testimonianza al Signore Gesù, principio unico e necessario di ogni salvezza, così come il sole splende e il prato fiorisce; noi proclamiamo l’imminenza del Regno di Dio e la necessità di accoglierlo in noi e tra noi, così come l’albero effonde a migliaia i suoi semi e non si domanda se, come e dove qualcuno di essi attecchirà: la nostra natura di gente illuminata e redenta non manifesterebbe adeguatamente la sua gioiosa gratitudine, se non diventasse parte attiva nell’irraggiamento del Vangelo.
Che poi la nostra azione apostolica sia occasione e mezzo perché il Regno si estenda di fatto nei cuori, questo dipenderà dal gioco misterioso e per larga parte inverificabile della grazia divina e della libera corrispondenza degli uomini; ed è un segreto che, nella sua completezza, ci sarà svelato solo alla conclusione della storia. .
Di fronte agli eventuali insuccessi della nostra azione noi facciamo bene a interrogarci sulle manchevolezze dei nostri metodi e sulla scarsità del nostro impegno. Ma sarà bene ricordare che non abbiamo di fronte dei meccanismi psicologici da condizionare in modo che infallibilmente reagiscano secondo le nostre previsioni e i nostri intenti. I destinatari del Vangelo sono esseri liberi, che hanno tra le loro intrinseche prerogative anche la tremenda capacità di dire di no all’amore del Dio che li insegue e quindi di andare in perdizione.
Nemmeno la missione dell’Unigenito del Padre ha ottenuto che si aprisse all’annuncio della salvezza l’animo degli scribi e dei farisei. Può darsi che, nella parabola raccontata da Gesù, i messaggeri del re si presentassero male, si esprimessero con un linguaggio improprio o desueto, fossero vestiti in modo irritante. Ma la vera ragione per cui gli invitati non sono venuti al banchetto è perché non avevano voglia di venire (cf Mt 22,1-14).
(Tratto da: Giacomo Biffi, Liber Pastoralis Bononiensis. Omaggio al card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita, EDB, p. 333-334).
IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 3