Non so se ci voglia coraggio per dire qualcosa che di sicuro urta, infastidisce, irrita e potrebbe provocare reazioni anche “legali”. Ma dopo aver letto l’articolo di Mario Palmaro, che trovate in questo numero, paura e convenienze vanno accantonate e occorre esser chiari: viviamo in e siamo circondati da un mondo abitato da una quantità sbalorditiva di omicidi, di assassini e di loro complici.
Che siano medici, infermieri, politici d’ogni ordine e grado, presidenti di Stati Uniti, Cina e di altri Paesi, premi Nobel, membri di istituzioni internazionali o nazionali, quelli che praticano, promuovono, difendono e legalizzano aborti nel mondo sono tutti – di fatto – nient’altro che assassini o, almeno, loro complici.
Certo, per smentire questa cruda verità basta negare che l’aborto volontario sia la soppressione di una vita umana innocente. Che sia un omicidio. E questo è esattamente ciò che fanno le legislazioni dei tanti Paesi. Solo che l’aborto è un omicidio, lo si può provare proprio dal punto di vista scientifico, e dunque chi lo pratica è semplicemente (si fa per dire…) un assassino. Che sia consapevole o meno.
Non è noto se tutte le mamme che vi ricorrono siano o meno al corrente di quel che fanno. Sarà il Signore a giudicarlo. Ma che l’aborto sia un omicidio non lo si può negare. Basterebbe fare un’incursione in quei siti internet dove se ne mostra l’orrore facendolo letteralmente vedere, con immagini crude ma vere.
Può sorprenderci il fatto che oggi il mondo sia letteralmente appestato da questa dilagante e quasi inarrestabile “cultura della morte”, come la chiamava Giovanni Paolo II? Certo che no, se ricordiamo che, una volta dimenticato, combattuto ed “espulso” il Signore della vita dall’orizzonte del vivere umano, l’uomo è capace solo di costruire una civiltà della morte. È esattamente quello che ha fatto.
Chi – tra i cattolici – non ha perso il lume della ragione, che cosa deve fare? Pregare il Signore della vita, offrire sacrifici in cambio del ravvedimento di questi sciagurati, battersi come può e con i mezzi di cui dispone nei luoghi dove vive e opera, a favore della vita.
E deve fare una cosa che, per alcuni, è difficile: frenare il desiderio che chi si macchia di così abominevoli delitti, e ne è cosciente, possa pagarla cara, magari con la stessa moneta. Il credente, invece, sa che Dio – ce lo insegna anche papa Francesco – è capace di perdonare ogni peccato, se chi lo ha commesso si pente. E noi dobbiamo sperare proprio questo: il trionfo della misericordia di Dio.
E se non si pente? Non sta a noi dire. Ma il dossier di questo numero ci ricorda una verità che, dimenticata anche in casa nostra, mai come in questo caso è utile ribadire.
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