Spesso, nel parlar comune, si ritiene che sia possibile modificare forma e qualità della società partendo dalla scuola, mentre è vero il contrario: poiché la scuola riproduce fedelmente la società che la genera, è dalla società, o meglio dalla famiglia, che della società è il nucleo fondante, che occorre partire per migliorare e rendere veramente educativa la scuola. Sappiamo che la società in cui viviamo è afflitta da un crescente relativismo, che le impedisce di avere modelli educativi realmente efficaci; le manca la voglia di educare perché non sa più (non vuol più sapere) chi è l’uomo e a qual fine egli viva. La verità, compresa quella sull’uomo e il suo destino, non esiste o, se esiste, sfugge alla nostra conoscenza. Quindi, si preferisce non parlare di “natura umana”, di “assoluti morali”, di norme da seguire per migliorare se stessi e la convivenza civile. In una società siffatta, l’unica norma veramente vigente è quella di non ledere l’interesse individuale, lasciando aperte tutte le possibilità, purché vi sia il rispetto formale della legge (giusta o ingiusta, poco importa). La scuola “indifferente” In un “clima culturale” di tal fatta, l’unica ambizione della scuola è quella di presentarsi come «indifferente-neutralepluralista, perché presenta tutti i modelli di vita e poi ogni studente sceglie quello che più lo convince», ma, «di fatto, la scuola statale italiana (ma non solo) è tutt’altro che indifferente- neutrale-pluralista, perché, salvo rare e lodevoli eccezioni, gli insegnanti attuali appartengono spesso ad una ben determinata area politico-culturale, che ha egemonizzato la cultura italiana», come ha scritto Giacomo Samek Lodovici sul Timone (n. 28/2003, pp. 46-47). E quale sia questa cultura lo abbiamo appena visto. Una scuola così malridotta – si legge nello stesso articolo – sul piano educativo, quando «dice che i modelli di vita son tutti uguali, si spaccia come neutrale, ma in realtà fa una precisa scelta culturale: quella del relativismo, in cui tutte le opzioni sono sullo stesso piano e in questo modo genera spesso delle personalità scettiche e relativiste». È evidente, quindi, che il compito di ribaltare la situazione spetta alle famiglie: ai genitori tocca interrompere questa spirale scettica che sta progressivamente paralizzando le nostre capacità educative. Come se non bastasse, per restare in Italia, la scuola statale, in quanto tale, contribuisce a diffondere l’idea, errata, che lo Stato è il vero “pater familias”, e che la famiglia naturale “cessa di esistere” nel momento in cui il figlio, entrato nella scuola, diventa uno studente. La partecipazione dei genitori, quindi, viene ridotta a partecipazione quasi solo formale nei moribondi organi collegiali, viene strumentalizzata nei cortei di protesta contro il governo di turno, ridotta a controparte contrattuale nel “patto educativo” stipulato con finalità di contenimento della delinquenza minorile; la famiglia viene tirata in ballo, spesso, quando c’è bisogno di un capro espiatorio per fatti e fattacci che accadono a scuola.
L’ingerenza dello Stato
Del diritto-dovere dei genitori nella scelta dei modelli educativi per i propri figli si tende a parlare sempre meno, con la conseguenza che è lo Stato a scegliere al posto nostro e i modelli saranno improntati al totale relativismo, mascherato da pluralismo. Questa ingerenza e sostituzione del compito educativo dei genitori da parte dello Stato è preoccupante soprattutto nell’ambito dell’educazione della sessualità, dove, invece, i genitori hanno una particolare responsabilità, come troviamo scritto nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «È di fondamentale importanza, per una crescita equilibrata, che i figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa correlati: “Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 37). I genitori sono tenuti a verificare le modalità con cui viene attuata l’educazione sessuale nelle istituzioni educative, al fine di controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo appropriato » (n. 243).
L’esempio più evidente e preoccupante di come si agisca nella direzione contraria nella scuola italiana è il tentativo di far diventare quasi una “materia di studio” l’ideologia di genere che, di fatto, mina alle fondamenta la concezione stessa della famiglia così come è stata sempre e dovunque intesa, cioè come frutto del matrimonio tra un uomo e una donna. In definitiva, questo accade anche perché fatichiamo a liberarci dall’idea di uno Stato “padre e padrone”, ci affidiamo a lui troppo facilmente in mille cose di tutti i giorni e poi lo lasciamo fare anche nell’educazione dei nostri figli.
Invece, ricorda sempre il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, «il diritto-dovere dei genitori di educare la prole si qualifica “come essenziale, connesso com’è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l’unicità del rapporto d’amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e… pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato” (Familiaris consortio, n. 36). I genitori hanno il diritto-dovere di impartire un’educazione religiosa e una formazione morale ai loro figli (Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 5): diritto che non può essere cancellato dallo Stato, ma rispettato e promosso; dovere primario, che la famiglia non può trascurare o delegare» (n. 239).
Naturalmente, i genitori non possono riuscire a realizzare il compito educativo con le sole proprie forze e debbono pertanto fare affidamento su altre agenzie educative, in primo luogo la scuola. Quindi, cito sempre il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, «i genitori hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possano aiutarli nel loro compito di educatori, anche nell’ambito spirituale e religioso. Le autorità pubbliche hanno il dovere di garantire tale diritto e di assicurare le condizioni concrete che ne consentono l’esercizio» (n. 240).
Se queste sono le condizioni, una vera collaborazione tra scuola e famiglia può avvenire solo quando, riconoscendo il diritto dei genitori nell’educazione dei figli, lo Stato si attrezza perché questo diritto si possa realizzare, per davvero, evitando di imporre, nei fatti, la scuola di Stato come unica possibile. E questo può avvenire favorendo, non solo permettendo, l’esistenza di scuole pubbliche non statali: «Lo Stato non può, senza commettere un’ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente» (Congregazione per la dottrina della fede, Libertatis conscientiae, n. 94).
I cristiani agiscano subito
Queste scuole potrebbero essere più numerose e veramente aperte ad altri se potessero essere accessibili sul piano economico; sono scuole nelle quali il fine dell’istruzione è realmente e solidamente perseguito perché fondato sull’idea che lo studio e il sapere concorrono al bene comune, alla crescita nelle virtù e, in definitiva, alla salvezza di chi studia, insomma ci sono motivi per studiare diversi da quelli puramente utilitaristici o di prestigio sociale.
Ma non basta, occorre che come cristiani si agisca ovunque sia possibile, per consolidare le fondamenta della cultura nella società in cui viviamo, e che amiamo, perché è il luogo e il tempo nel quale il Creatore ci ha dato la grazia di vivere. «La questione della verità è essenziale per la cultura», scrive sempre il Compendio della dottrina sociale (n. 558), perciò «i cristiani devono prodigarsi per dare piena valorizzazione alla dimensione religiosa della cultura; tale compito è molto importante e urgente per la qualità della vita umana, a livello individuale e sociale» (n. 559) dato che «l’autentica dimensione religiosa è costitutiva dell’uomo e gli permette di aprire alle sue svariate attività l’orizzonte in cui esse trovano significato e direzione. Quando è negata la dimensione religiosa di una persona o di un popolo, è mortificata la cultura stessa; talvolta si giunge al punto di farla scomparire » (n. 559).
In una scuola che fosse generata da una società che ha ritrovato la dimensione religiosa che le è connaturale, l’alleanza con la famiglia sarebbe spontanea.
Il compito dei genitori
Fin d’ora, tuttavia, e per contribuire alla valorizzazione della cultura “nella” e “della” scuola, ecco alcuni compiti per i genitori, così da cominciare a ribaltare la situazione.
Il primo compito è educare nella verità e nel bene i figli, in una parola educarli alle virtù, evitando il relativismo e lo scetticismo: la verità c’è, Cristo l’ha rivelata e da essa la Chiesa fa discendere un’antropologia che i genitori cristiani devono conoscere per praticarla.
Il secondo è quello di fronteggiare relativismo e scetticismo nelle scuole che i figli frequentano, entrando negli organismi di partecipazione delle scuole, correggendo errori e rifiutando menzogne nei comportamenti e nelle idee dei docenti o dei dirigenti, nell’ottica di volere il miglioramento della scuola e il suo passaggio a una condizione di vero e fondato pluralismo.
Il terzo compito è quello di esercitare pressione, non solo con il proprio voto, sul mondo politico perché cambi la sua visione della scuola: nessun privilegio né per la scuola non statale, né per la scuola statale. Quest’ultima deve cessare di essere il riferimento normativo e pratico per tutte le altre scuole, le quali, per continuare ad esistere, devono adeguarsi alle costosissime regole applicate alla scuola statale, costi che, nella scuola di Stato sono pagati da tutti i cittadini italiani, anche da quelli che i propri figli non ce li mandano.
Infine, richiedere alla scuola quello che può e deve effettivamente dare in quanto scuola: non solo e non tanto attività che potrebbero essere più adeguatamente svolte in luoghi opportunamente scelti dai genitori (come oratori, movimenti, associazioni, società sportive, e così via), ma soprattutto un alto livello nella qualità dell’istruzione e il rispetto del ruolo educativo dei genitori, ambito nel quale l’azione della scuola resta solo sussidiaria a quella della famiglia.
Dossier: SCUOLA-EDUCAZIONE: UN PROBLEMA ITALIANO
IL TIMONE N. 130 – ANNO XVI – Febbraio 2014 – pag. 36 – 38
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