Un tentativo maldestro di contrapporre Pio XII al futuro Giovanni XXIII. Un giornalista pubblica i documenti che un professore aveva “trascurato”. Una polemica amara nata dentro la Chiesa e contro la Chiesa.
Poco dopo il Natale del 2004, il Corriere della Sera pubblicava un articolo dello storico Alberto Melloni, in cui si annunciava la scoperta da parte dello studioso francese Etienne Fouilloux in un archivio della nunziatura parigina, retta allora da Angelo Roncalli, il futuro beato Papa Giovanni XXIII, di un documento «del Sant’Uffizio» del 1946, in cui si davano istruzioni, probabilmente a vescovi francesi, sul problema dei bambini ebrei sopravvissuti alla deportazione grazie all’aiuto dei cattolici e tuttora sotto tutela della Chiesa. Nel testo si chiedeva di discernere fra coloro che reclamavano i piccoli – per lo più associazioni sioniste -, di osservare la prudenza diplomatica e, soprattutto, nel caso dei bambini battezzati in pericolo di morte, di evitarne la restituzione, per garantire loro un’educazione cristiana. Indicazioni definite dallo studioso reggiano come «ordini agghiaccianti», prodotte – come dirà in seguito – da una «gelida burocrazia ecclesiale”, eloquente espressione della mentalità del tempo.
Questo rigido modus agendi «pacelliano» veniva opposto da Melloni – e il titolo redazionale «Pio XII al nunzio Roncalli: non restituite i bimbi ebrei. Ma il futuro Giovanni XXIII disattese gli ordini giunti da Roma […]» rafforzava decisamente il concetto – alla disponibilità verso le organizzazioni ebraiche che Roncalli avrebbe dimostrato nei mesi dopo la liberazione e che adombrava già da allora una diversa «qualità)’ dei due pontefici.
Lo scoop del Corriere – da poco diretto da Paolo Mieli – scatenava una ridda di reazioni e di commenti fra i maggiori intellettuali italiani. A botta calda interveniva, già all’indomani e sempre sul Corriere, Vittorio Messori, che segnalava come la sortita di Melloni confermasse implicitamente che i cattolici avevano salvato non poche viti ebraiche, mentre rimarcava la non trascurabile importanza d battesimo per la salvezza cristiana.
A fianco del suo articolo compariva però una dura presa posizione di Amos Luzzatto, che aggiungeva «allucinato» «orrendo» all’aggettivo «agghiacciante» usato da Melloni concludendo che questo comportamento di Pio XII non el compatibile con la sua beatificazione. Nei giorni seguenti, con una assiduità impressionante, si rincorrevano sui media innumerevoli opinioni. Di «laici» come Sergio Romano e Claudio Magris; di cattolici, come i gesuiti Gumpel, Blet e Sale, gli storici Gian Maria Vian, Andrea Riccardi, Giovanni Miccoli, Daniei Menozzi, Matteo Luigi Napolitano, Renato Moro, Franco Cardini, Pietro De Marco e il segretario di Giovanni XXIII mons. Loris Capovilla – le cui critiche si sono appuntate soprattutto sul documento, mentre è forse mancato un approfondimento della questione del primato d battesimo -; di studiosi ebri, quali Daniel Jonah Goldhag – che denunciava, farneticando, responsabilità pacelliane nell’Olocausto -, come Giorgi, Israel – più sfumato, ma anca animoso -, come, infine, Anna Foa e il rabbino americano Jack Bemporad, su posizioni molti diverse.
La critica più efficace mi pare sia venuta da laici come Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Belardelli, Roberto Pertici e d cattolico Giorgio Rumi, i quali hanno concordato sul dovere di «contestualizzare» i fatti della storia, ricordando che questa non è un tribunale, e che la presa di coscienza – oggi universale – del genocidio non matura in Europa prima degli anni 1960. Mentre tutta questa profluvie di dichiarazioni e di argomentazioni si riversava, come una sorta di «onda anomala», sull’opinione pubblica, il vaticanista de il Giornale Andrea Tornielli, l’11 gennaio riusciva a pubblicare il testo integrale del documento – recante una data diversa e composto da altre due pagine -, che rivelava come quella tradotta da Melloni il 28 dicembre 2004 – in una forma non delle più felici, secondo quanto anticipato da De Marco – fosse una versione non ufficiale in francese di una lettera del 28 settembre precedente, con cui il futuro pro-Segretario di Stato mons. Domenico Tardini informava il nunzio delle decisioni prese dal Sant’Uffizio e dal Papa, addirittura nel marzo precedente, in risposta a una lettera del rabbino-capo della Palestina Isaac Herzog, dove questi sollevava il problema dei piccoli ebrei superstiti. Soprattutto, la lettera non vietava il ritorno dei bimbi ebrei alle famiglie, né impediva l’espatrio degli orfani battezzati al conseguimento della maggiore età. Il tutto non autorizzava, quindi, una lettura malevola come quella fatta da Melloni. Questo il fatto, e si potrebbe dire, concludendo: «molto rumore per nulla», anche se il tentato scoop di Melloni lascerà nella memoria collettiva tracce non sempre rimediabili. Sul piano delle valutazioni, non c’è spazio per soffermarsi né sulla materia, né sul sostanziale infortunio – senz’altro involontario almeno quanto a metodica – in cui è incappato il professor Melloni e al quale neppure la sua vibrante – ma, per verità, alquanto sfuggente – replica del 9 gennaio riesce a rimediare. il «caso» da lui creato ha avuto tuttavia quanto meno il merito di ravvivare l’interesse degli studiosi cattolici per i documenti, segnalando loro il rischio di lasciare a pochi l’esclusiva della ricerca su personaggi e momenti importanti della storia comune.
Senza fare «dietrologie», credo però che l’acceso dibattito che vi è stato sposti l’attenzione verso altri problemi.
In primis sulle crepe e sui conflitti intra-ecclesiali, non nuovi, ma che oggi, nella prospettiva non lontana di un altro pontificato, si fanno più acuti: per alcuni, infatti, la beatificazione di Pio XII «farebbe problema», perché sembrerebbe equiparare un tipo di Chiesa – quella «costantiniana», dominata dal primato della verità -, incarnata ultimamente in maniera emblematica dall’«aristocratico» Pio XII, a quella «conciliare» «debole», che si attribuisce a Giovanni XXIIi e, in parte – ma solo in parte -, a papa Paolo VI. Un confronto in cui, spiace dirlo, qualcuno cerca di prevalere non esitando a usare alquanto «disinvoltamente»l’Olocausto.
Dietro a tutto ciò si staglia, tuttavia – come segnala acutamente Tommaso Padoa-Schioppa sul Corriere del17 gennaio -, un altro enorme problema dell’attuale condizione: quello della libertà religiosa, intesa anche come libertà di proselitismo.
L’«OFFICINA BOLOGNESE»
L’ultimo attacco a Pio XII è partito da Bologna, da quell’Istituto per le Scienza Religiose fondato da Giuseppe Rossetti e di cui Alberto Melloni è da molti anni una colonna. Si tratta di un istituto che si concepisce come un’officina, “L’officina bolognese” – come recita il titolo del libro di un’altra delle sue colonne, Giuseppe Alberigo, che ne ripercorre 50 anni di storia (1953-2003) – che lavora per una riforma della Chiesa che indebolisca la centralità del Papato a vantaggio di una gestione collegiale. Le linee guida di questa riforma sono state tracciate in un promemoria che l’istituto ha consegnato ai cardinali partecipanti al Conclave del 1978 e che si trovano sintetizzate nel sito internet
www.chiesa.espressonline.it nell’articolo “Papa monarca, addio” (autore Sandro Magister). A Bologna si sente evidentemente aria di nuove “elezioni”, per cui riparte la campagna. Tema centrale: dimostrare che il Concilio Vaticano II è in rottura con la tradizione ecclesiale precedente – da qui l’esaltazione di Giovanni XXIII e la demonizzazione di Pio XII – e la necessità di un Concilio Vaticano III che ne riprenda lo spirito, dopo il Pontificato di Giovanni Paolo II, considerato “restauratore”.
(Riccardo Cascioli).
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 8-9