La storia di un confronto spesso degenerato in conflitto. Il realismo della Chiesa cattolica e il ruolo particolare del papato.
Uno sguardo al passato per capire i problemi di convivenza del presente.
Per quanto sia approssimativo e inesatto descrivere la quarta guerra mondiale oggi in corso come scontro di civiltà, resta il fatto che l'Occidente appare sulla difensiva rispetto all'aggressività del proselitismo islamico, incapace com'è di distinguere quale atteggiamento prendere tra una risposta militare, poliziesca o conflitto culturale: è indubbio che sarebbe ottimale adottare tutte e tre le opzioni, dosandole e applicandole secondo le circostanze e le opportunità, nel rispetto di quei diritti umani che sono il frutto faticoso dell'evoluzione della civiltà occidentale. Questo approccio, duttile e aggressivo al tempo stesso, non esiste allo stato attuale e ciò genera una grave confusione morale, della quale la vergogna del carcere di Abu Grahib è solo un sintomo: inoltre, tutto ciò avviene proprio nel momento in cui la Chiesa cattolica, l'unica istituzione che, storicamente, ha saputo condurre iniziative di guerra e di pace nei confronti dell'lslam senza compromessi, appare più debole e confusa che mai. Infatti, se il Magistero resta indefettibile, è il corpo stesso della Chiesa, dai parroci ai fedeli, a essere diviso tra un irenismo immotivato e un'intolleranza sorda che i suddetti irenici si accontentano di demonizzare senza individuarne le cause.
Un confronto secolare
Riassumere la storia del contrasto tra Chiesa e Islam non può quindi aver lo scopo di rinverdire le glorie di Lepanto e di Vienna, a meno che non si voglia lodare "il bel tempo andato" senza capire come affrontare quello presente: ciò che dobbiamo chiederci è se la storia della più grande Maestra che l'umanità abbia avuto può avere ancora un senso per noi contemporanei.
Dall'anno 625, nel quale iniziò la grande espansione islamica, alla metà dell'VIII secolo, gran parte del mondo conosciuto divenne musulmano: ciò non fu dovuto solo a conquiste militari, ma anche a una accorta politica tesa a guadagnare il consenso delle popolazioni soggette, per condurle, in un secondo momento, a conversioni di massa. In ogni caso, con la resistenza dell'impero bizantino a oriente e con le vittorie di Carlo Martello e Pipino il Breve a occidente, si può dire che i fronti si fossero stabilizzati e che la spinta offensiva islamica si fosse fermata.
All'inizio del IX secolo, proprio mentre il sistema carolingio entrava in una crisi gravissima, sia politica che militare, i popoli islamici del Mediterraneo, convenzionalmente detti "saraceni", avevano imparato l'arte della navigazione e avevano aperto un nuovo fronte di guerra. Inizialmente si presentarono come mercenari nelle guerre tra i potentati italici ma, quando ne ebbero la forza, costituirono enc/aves bellicose che non tardarono a diventare basi piratesche o addirittura emirati, come quello aghlabita di Bari. Le scorrerie, che partivano dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Corsica, erano state subito audaci e distruttive, a cominciare da quella che portò al saccheggio della basilica di San Pietro in Roma nell'846. Fu quel disastro a spingere i pontefici ad assumere in proprio la responsabilità della difesa della Penisola: Leone IV fu il primo papa ad agire diplomaticamente, ingiungendo la rottura degli "impia foedera" che legavano i principi italici ai saraceni e a stringere quella grande alleanza tra Napoli, Gaeta e Amalfi che portò alla vittoria nella grande battaglia navale di Ostia de1l'849. Da quel momento, i papi riuscirono a tessere sempre nuove alleanze che portarono alla distruzione dei covi del Circeo e del Garigliano: in quest'ultimo caso, nel 915, fu papa Giovanni X a guidare le operazioni che portarono a un trionfo decisivo, mentre Benedetto VIII, nel 1 016, coordinò le forze genovesi, pisane e toscane che respinsero il tentativo dell'ammiraglio Mugehid di insediarsi a Luni. Furono sempre i pontefici a incoraggiare e sostenere le repubbliche marinare che, verso la fine dell'XI secolo, riuscirono a dominare il Mediterraneo spezzando la talassocrazia saracena.
La Chiesa, nel suo consueto realismo, aveva compreso ben presto che ogni tentativo missionario nella Dar el lslam veniva represso sistematicamente e soltanto la forza militare, alternata alle iniziative diplomatiche, poteva riconquistare alla Cristianità territori che sembravano perduti, come la penisola iberica. Non è quindi un caso se, nel 1095, la proclamazione della prima crociata escluse fin dal principio la partecipazione di catalani e di tutti gli iberici in genere, che avevano altri obiettivi di cui preoccuparsi: le cosiddette "deviazioni delle Crociate" rispetto alla liberazione della Terra Santa nacquero, dunque, assieme alle spedizioni in Palestina e così sarà anche nei secoli successivi. Nel 1147, ad esempio, papa Eugenio III e san Bernardo di Chiaravalle fissarono non uno ma ben tre obiettivi per la Crociata: la riconquista di Edessa, della Spagna e delle regioni baltiche.
Riguardo al confronto con l'lslam, mentre le offensive in Spagna portarono alla riconquista di gran parte della penisola dopo il trionfo decisivo di Las Navas di Tolosa (16 luglio 1212), gli insuccessi patiti in Palestina e la difficoltà di mantenere una testa di ponte sempre più esigua portarono alle disastrose quinta e settima crociata in Egitto (rispettivamente 1218 e 1250) e, infine, alla perdita dell'ultima piazzaforte, san Giovanni d'Acri, nel 1291. Certo è che, per due secoli, i pochi cristiani d'Outremer, sostenuti dagli Ordini militari cavallereschi, misero in crisi il mondo islamico, assorbendo ogni velleità offensiva e garantendo una difesa avanzata dell'Europa cristiana. La crisi della Chiesa nel XIV secolo privò l'Europa di unità politica nei confronti di un nuovo avversario, molto più pericoloso dei pirati saraceni: i turchi osmanli, una stirpe guerriera asiatica, erano abili, astuti, sensibili alle innovazioni tecnologiche e con un senso del proprio destino che li portò a concepirsi, non a torto, come i successori dell'impero bizantino. Nel 1396 i turchi annientavano la migliore cavalleria francese a Nicopoli e il29 maggio 1453 cadeva Costantinopoli. L'Europa parve dover soccombere alla nuova offensiva di Mehemet Il ma, il 22 luglio 1456, poche migliaia di guerrieri dilettanti aderenti alla crociata indetta da papa Callisto III, insieme ai cavalieri ungheresi di Giovanni Hunyadi e guidati da san Giovanni da Capistrano, annientarono l'esercito turco sotto Belgrado.
La prima sconfitta turca
Il papato era tornato già da tempo sulla scena politica come regno temporale indipendente dalle grandi potenze e i risultati furono ancora maggiori quando la cosiddetta Controriforma del XVI secolo diede nuovo slancio alla fede e all'abnegazione di milioni di cristiani. Il Cinquecento, in effetti, fu il momento supremo in cui si giocarono le sorti dell'Europa intera e la Chiesa funse da collettore delle offerte, finanziando gli eserciti che resistettero, spesso invano, alla strapotenza turca. Di primo piano fu l'impegno militare della Chiesa nella grande guerra navale del Mediterraneo, dove le galere papali si mostrarono sempre tra le più agguerrite. La resistenza dell'Ordine degli Ospitalieri a Malta nel 1565 e la vittoria di Lepanto (1571), per citare solo due tra mille episodi, sarebbero stati impossibili senza il sostegno della Chiesa. Va, tuttavia, ricordato come, fino alla fine del XVII secolo, i turchi non avessero mai perso una guerra, riuscendo sempre a dettare le proprie condizioni. Ci volle la diplomazia di papa Innocenzo XI per tessere l'alleanza che avrebbe trionfato a Vienna nel 1683 e lo strumento di questa politica fu il beato padre cappuccino Marco d'Aviano, uomo di pace, sì, ma ben deciso a ottenere una vittoria decisiva contro i turchi al fine di debellare una minaccia plurisecolare: fu proprio padre Marco, che godeva di altissima stima alla corte imperiale, ad appoggiare il piano aggressivo e audace di Eugenio di Savoia che avrebbe portato al trionfo di Zenta, l' 11 settembre 1697. Il 26 febbraio 1699 venne siglata la pace di Carlowitz e, per la prima volta nella loro storia, i turchi ammisero la sconfitta. Pochi mesi dopo padre Marco spirava, ma la guerra contro il Turco continuò fino alle battaglie di Petrovaradino (1716) e Belgrado (1717), che posero fine per sempre alla minaccia turca.
Mentre l'impero ottomano proseguiva il suo inarrestabile declino, anche la Chiesa, dopo una così grande vittoria, perdeva prestigio a livello politico e culturale, finendo quasi per soccombere a un altro tipo di offensiva, più insidiosa, sferrata dall'irreligiosità della filosofia occidentale: una sfida che è più che mai attuale e che è di importanza addirittura prioritaria rispetto a quella del fonda-mentalismo islamico.
BIBLIOGRAFIA
Benjamin Z. Kedar, Crociata e missione. L’Europa incontro all’Islam, Jouvence, 1991.
Alberto Leoni, La croce e la mezzaluna, Ares, 2002.
IL TIMONE – N. 36 – ANNO VI – Settembre/Ottobre 2004 – pag. 22 – 24
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