Rileggendo un breve saggio del gesuita Herbert Thurston, uscito in Italia nel 1954 (in Aa.Vv. Satana, ed. Vita & Pensiero, Milano) ho trovato l’ennesima conferma di un dato storico incontrovertibile: la caccia alle streghe – l’inquietante fenomeno di massa con cui si aprì la modernità – infuriò soprattutto nei Paesi protestanti; l’Inquisizione cattolica se ne occupò di rado e in certi casi addirittura salvò presunte streghe dal rogo. E ciò perché gli inquisitori cattolici, quasi sempre domenicani o francescani, erano eredi della razionalità della filosofia scolastica medievale e non credevano ai “poteri” stregonici. La Chiesa si impensierì solo quando, dato il dilagare del fenomeno (e le accuse protestanti ad essa rivolte di lasciare campo libero alla stregoneria), cominciò a sospettare un vero e proprio culto del demonio. Cioè, un’eresia. E dell’eresia si occupava l’Inquisizione, non più il confessore.
Oggi si liquida l’intera fase della caccia alle streghe rinascimentale (con propaggini fin nel XVIII secolo) come frutto di fanatismo religioso, in quanto si ritiene che la stregoneria non esista, non sia mai esistita e non possa esistere. Patti col diavolo e roba simile, oggi, sono considerati roba da film e letteratura horror. Tuttavia, il fatturato del settore non è mai stato così alto e in non poche diocesi l’esorcista ha il suo bel daffare. In effetti, il credente non può buttare a mare mezzo Vangelo ritenendo che i numerosi episodi in cui Cristo libera indemoniati siano favole a uso dei contemporanei, i quali nulla sapevano dell’epilessia. Invece lo sapevano eccome, giacché sia Alessandro Magno che Giulio Cesare ne erano stati affetti e i documenti dimostrano che gli antichi erano perfettamente in grado di distinguere tra «mal caduco» e indemoniamento. Saul e l’indovina di Endor (1 Re, XXVIII), Simon Mago (At VIII,9), la schiava esorcizzata da s. Paolo (At XVI,16) non sono allegorie scritturali ma fatti storici.
Dunque, qualcuno che cerca di procurarsi “poteri” tramite i demoni c’è sempre stato e ancora c’è. Il che significa che bisogna guardarsi da due errori opposti: non crederci affatto e crederci troppo. La Chiesa del tempo ci credeva ma non così tanto come i protestanti. Come mai questi ultimi ci credevano “troppo”? Per via del letteralismo scritturale e lo spostarsi della loro attenzione sul Vecchio Testamento, dove si impone esplicitamente di non lasciare uno stregone in vita. Il mondo pagano credeva nella stregoneria (che temeva e condannava ferocemente) in modo unanime. La Chiesa, man mano che accoglieva convertiti, li avvisava non tanto di non crederci ma di non crederci troppo. Nel X secolo il vescovo Burcardo di Worms ribadì quanto era scritto nel vecchio Canon Episcopi a uso dei confessori, i quali dovevano porre domande del genere: «Hai mai creduto che ci siano donne che hanno il potere di far sorgere tempeste con i loro incantesimi o di cambiare l’indole del cuore umano mutando l’amore in odio e l’odio in amore o di ferire o di derubare gli uomini dei loro averi? Hai mai creduto che queste donne cavalcano di notte con la sedicente dea Holda e in compagnia di altre donne e di animali?». Se il penitente rispondeva di sì, doveva fare penitenza per un anno.
La stregoneria era condannata dai tribunali civili da sempre e dappertutto (una legge di Carlo VIII addirittura comminava il rogo senza bisogno di processo). Fu quando ci si chiese se non si fosse in presenza di un’eresia vera e propria che la Chiesa intervenne con la bolla Summis desiderantes affectibus di Innocenzo VIII, nel 1484. In essa si risolveva il conflitto giurisdizionale tra potere secolare e autorità religiosa in materia. Il Papa era stato chiamato in causa esplicitamente dalle informazioni provenienti dalla Germania settentrionale. Subito gli inquisitori tedeschi Krämer e Sprenger stilarono il famigerato manuale di procedura Malleus maleficorum. Questo manuale per inquisitori è stato a lungo sopravvalutato al fine di denigrare la Chiesa, la quale, invece, perse la sua battaglia tesa ad avocare a sé i casi di stregoneria: «I processi per magia non restarono nelle mani degli inquisitori ma passarono ai tribunali secolari in quasi tutti gli Stati d’Europa, fatta eccezione per la penisola iberica» (Thurston). E fu una fortuna per gli “stregoni” iberici, perché l’Inquisizione spagnola li giudicò in blocco isterici ed evitò loro il patibolo. Quanto agli autori del Malleus, basta dire che, pochi anni dopo, il vescovo di Bressanone, Giorgio Gosler, espulse Krämer da Innsbruck e da tutta la diocesi.
L’esempio della Danimarca è illuminante. Nel 1080 il papa Gregorio VII scrisse al re danese Haakon. Nella lettera si ribadiva che punire donne accusate di stregoneria era, letteralmente, stupido e avrebbe attirato la collera divina. Fu quando la Danimarca si sottrasse al cattolicesimo che le cose per le “streghe” si misero male. La Danimarca e i Paesi scandinavi, infatti, divennero luterani, per così dire, “dall’alto”, quando i rispettivi re passarono al protestantesimo (in virtù del principio «cuius regio eius religio» che doveva porre fine alle guerre di religione europee). La caccia alle streghe raggiunse il parossismo nella Scozia calvinista e il re inglese Giacomo I (VI di Scozia), di solito considerato più “tollerante” di chi l’aveva preceduto (Elisabetta I, grande persecutrice di cattolici), fu un fiero istigatore di roghi. Di contro, nella vicina – e cattolica – Irlanda non si ha alcuna notizia di caccia alle streghe, quantunque l’isola venga sempre associata, nell’immaginario, a fate e folletti. In Scozia fu proprio il “riformatore” John Knox a chiedere al parlamento, nel 1563, la pena di morte per gli stregoni. La svizzera Ginevra, la città-stato di Calvino, nel 1545 vide ardere trentaquattro roghi di stregoni in soli tre mesi (l’ultima “strega” in Svizzera fu arsa in pieno Settecento). Ma i vari “musei della tortura” dislocati in non poche città a beneficio dei turisti, i programmi televisivi “misteriosi”, la letteratura popolare e certo cinema, purtroppo, influenzano di più che il faticoso lavoro negli archivi, che però è il solo a tramandarci la verità. Per esempio, ancora nel 1616 si vendeva per le vie di Parigi un opuscolo intitolato La vera storia dell’esecuzione di cinquanta stregoni e streghe condannati a morte nella città di Douai e datato 1606. Scrive Thurston che a Douai «esiste una completa relazione, negli archivi pubblici, del processo a carico di tre stregoni davanti ai magistrati civili nel 1599. Due di questi furono condannati al rogo e il terzo fu cacciato dal Paese. Le spese per tutto questo processo sono elencate nei loro più minuti particolari, inclusi i pagamenti fatti a tutte le persone chiamate comunque in causa: onorari ai professori di università per il loro parere sopra un articolo di legge, indennità a magistrati e testimoni per il tempo perso, onorario al carnefice e ai suoi aiutanti, somme spese in cibi e bevande e le fascine di legna per il rogo; il tutto culminante in una cena preparata per i magistrati e i funzionari, alla quale parteciparono pure il boia e sua moglie. L’intero processo costò più di mille lire». Una somma davvero pesante per l’erario. Spese del genere non potevano certo essere affrontate con frequenza.
Fatta, dunque, la debita tara sui “milioni di vittime”, è anche vero che i protestanti, Esodo e Levitico alla mano, accusavano i cattolici di lasciare mano libera alla stregoneria: «Presso i riformatori l’iniziativa della persecuzione parte dai capi religiosi. Nel campo cattolico, invece, il movimento ha quasi sempre origine dai timori ciechi del popolino ignorante» (Thurston). Come abbiamo detto, l’Inquisizione spagnola salvò gli “stregoni” (che pure erano confessi) dai linciaggi indiscriminati. E, in effetti, certi cattolici facevano anche di più. Come il gesuita tedesco Frederik Spee von Lagenfeld (1591-1635). Ammirato per questo dal filosofo Leibniz, visitava gli accusati di stregoneria in prigione per confortarli e condannava l’uso della tortura (sulla scia degli inquisitori medievali, che diffidavano di tale mezzo per estorcere confessioni). Scrisse al proposito un trattato che divenne famoso, Cautio criminalis. Nota il Thurston che sotto tortura i più confessavano anche quel che non avevano commesso (cosa già nota ai suddetti inquisitori medievali) e cita al proposito un commento del cronista Agobardo di Lione. Questi, all’inizio del IX secolo, riportava un fatto avvenuto sotto Grimoaldo, conte di Benevento. Alcuni uomini erano stati arrestati con l’accusa di aver cosparso il bestiame con polvere malefica per ordine dello stesso Grimoaldo, che avrebbe inteso così regolare i conti con un suo nemico. Sotto tortura confessarono tutti. Ma il bestiame così trattato era talmente numeroso che – osservava Agobardo nel suo Liber contra insulsam vulgi opinionem de grandine et tonitruis – se anche tutti gli uomini e tutte le donne di Benevento avessero partecipato al misfatto con tre carri carichi a testa, la polvere magica non sarebbe bastata. Ma al gesuita Spee i protestanti non la perdonarono: un giorno lo aggredirono per strada e quasi gli spaccarono la testa. Riuscì a sfuggire all’agguato e a medicarsi, presentandosi con la testa fasciata nel paesino dove era atteso per predicare. Morì contagiato da un soldato, mentre soccorreva i feriti di una delle tante battaglie della Guerra dei Trent’Anni.
IL TIMONE N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 20 – 21