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14.12.2024

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Chiudere i negozi, riscoprire la Festa
1 Febbraio 2014

Chiudere i negozi, riscoprire la Festa

Negozi pieni. Chiese vuote?

150.000 firme a sostegno di un progetto di legge di iniziativa popolare che riveda le norme sull’apertura domenicale degli esercizi commerciali

La proposta è della Confesercenti, con l’appoggio della Cei. «Non sono aumentati né consumi, né Pil, né occupazione ». Il cardinale Scola: «Il riposo è una dimensione essenziale della vita, è tempo che si dà a Dio»

«In questo mondo nel quale ora viviamo, affaticato e affannato, suoni il cantico della risurrezione! Si restituisca al lavoro ciò che lo distingue dalla pena; si renda al lavoratore ciò che lo distingue dal forzato e dal dannato; riabbia il popolo umano ciò che gli era già stato dato: la sua domenica!». Chi ha scritto queste parole? Il poeta Giovani Pascoli, nel 1900, in un articolo dal titolo Salviamo la domenica. Un testo dimenticato, ma di straordinaria attualità, che proseguiva affermando che senza la domenica «non c’è settimana», perché «la vita dell’uomo è una successione di giorni e notti, di giorni in cui il lavoro dispone il corpo al sonno della notte, di notti in cui il sonno dispone le membra al lavoro del giorno; e sempre così alternamente, eternamente, finché giorno e notte si fondano in una sola oscurità e immobilità!». Invece «dice la fede: riposate l’un dì dei sette, o uomini, le cui membra sono gravi e frali: anche Dio riposò nel settimo giorno, egli che crea con un fiat». Ecco allora il senso del giorno di riposo: «O santa domenica, o giorno di silenzio e di tenerezza e di raccoglimento!».

«Liberare la domenica»
A 113 anni dall’intervento del poeta, la Confesercenti (associazione di categoria che rappresenta 270.000 piccole e medie imprese italiane del commercio, del turismo e dei servizi) ha lanciato la campagna “Liberare la domenica”. Ovvero: tornare ad essere liberi di passare del tempo con le proprie famiglie e trascorrere una giornata in tranquillità, come accadeva una volta. Campagna che si è tradotta in un progetto di legge di iniziativa popolare, appoggiato dalla Conferenza episcopale italiana, che ha raccolto 150.000 firme (ne bastavano 50.000) e che è stato depositato il 14 maggio presso la Camera dei deputati. Sperando che l’iter parlamentare sia sollecito.
La proposta ha l’obiettivo di contrastare gli eccessi delle liberalizzazioni, che penalizzano i piccoli negozi a favore dei centri commerciali e della grande distribuzione, e riportare nell’ambito delle competenze delle Regioni le decisioni sulle aperture degli esercizi commerciali. Affermano i promotori: «Tenere sempre aperto non ha fatto crescere i consumi, né il Pil, né tantomeno l’occupazione». Di più. Per contrastare la concorrenza, gli esercizi di piccole dimensioni sono stati costretti all’apertura festiva, con spese aggiuntive per personale, costi di esercizio, ecc., senza particolari benefici in termini di fatturato. Così, senza una nuova legge che riporti alla situazione precedente, «nei prossimi cinque anni più di 80 mila negozi dovranno chiudere».

La «solitudine del rumore»
L’apertura domenicale di negozi, supermercati e centri commerciali, oltre che penalizzare i piccoli esercizi, ha un’altra conseguenza, altrettanto e forse più grave, che ci rimanda alle riflessioni di Pascoli e spiega l’interesse dei vescovi, attenti al bene comune: tutti coloro che lavorano nel commercio e certamente hanno una famiglia, una casa da mantenere, una vita da vivere, dopo una settimana di routine frenetica con poco riposo sono costretti ancora a trascorrere una giornata festiva dietro una cassa, o in compagnia dell’affettatri ce. «Solitudine del rumore», la chiama efficacemente il poeta romagnolo. E qualcuno ha osservato che siamo travolti da un turbinio di macchine e liste di cose da fare con il risultato che non ci rendiamo più conto di avere una famiglia e affetti da coltivare, in quel «nido» tanto caro a Pascoli. Tralasciamo la dimensione dell’ascolto, dello stare insieme, non gustiamo più la Bellezza della natura, dell’allegria nel pranzare con i nostri cari, del trascorrere un pomeriggio seduti sul divano a parlare con i figli o ascoltando storie vere vissute dai nonni.

Il comando di riposare
Il concetto di riscoprire il riposo come «occasione di un riequilibrio dell’esistenza insieme con gli affetti e il lavoro» è un tema particolarmente caro all’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, che ha spiegato il significato del terzo comandamento – Ricordati di santificare le feste – in questi termini: «A noi uomini e donne del Terzo Millennio una simile indicazione appare strana. Non viene spontaneo comandare ad un altro di riposare, caso mai gli si raccomanda di lavorare! Eppure qui è in gioco qualcosa che riguarda in profondità l’esperienza umana: nessun uomo in ogni tempo e luogo può fare a meno del riposo. Questo fatto ci dice che non siamo “onnipotenti”… Di fronte alla pretesa di onnipotenza, il Signore ci comanda di “riposare”. La Sua parola è piena di cura per noi».
Prosegue l’arcivescovo di Milano nella sua riflessione: «Il riposo è, insieme agli affetti e al lavoro, uno dei pilastri della nostra vita quotidiana. Infatti, il riposo non è semplicemente la fine della fatica, ma ci dà un senso di liberazione e di compimento. Non a caso il Libro della Genesi afferma che anche Dio ha riposato dopo aver creato: “Nel settimo giorno Dio portò a compimento il lavoro che aveva fatto.… Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in esso aveva cessato da ogni lavoro” (Gen 2,2)». Se Dio ha benedetto il giorno del riposo, è chiaro perché il comandamento ci ordini di santificare le feste: nella festa si celebra la memoria della nostra creazione e quella della nostra liberazione, del nostro compimento. «La memoria che i cristiani ogni domenica partecipando alla Santa Messa fanno della Pasqua ci ricorda che Gesù ci ha voluto bene e che il Suo amore è per sempre». Così, «obbedendo al comandamento della santificazione della festa e del riposo, l’uomo proclama che la vita e il compimento della vita vengono dal Signore che ci ha salvati».

L’esistenza diventa una gioia
Ma il dono della salvezza non riguarda solo il singolo, bensì l’intera comunità. Dio ha inteso redimerci tutti insieme. Ecco perché la Scrittura afferma: «Non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso» (Dt 5,14-15). La santificazione della festa e il riposo hanno a che fare con tutte le relazioni costitutive della persona: con Dio, con gli altri e con se stessi. Ancora Scola: «Riposare per far spazio nella nostra vita a Dio e agli altri, trasforma l’esistenza in una festa. La festa esprime il significato della vita e richiama la direzione, la meta del nostro cammino. La festa è profondamente umana. Ma, proprio perché ha a che fare con le domande ultime dell’uomo circa la vita e la morte, l’origine e il destino, la festa è, in ultima istanza, religiosa. Per questa ragione tutti, credenti e non credenti, ci riconosciamo nel bisogno della festa».
E se ci dovesse capitare di incontrare qualcuno la domenica che ci dice che non c’è vita in giro, che non si vede nessuno, che tutti i negozi sono chiusi, allora rispondiamogli ancora con le parole di Pascoli: «… quella mancanza di vita significa presenza di vita, di vita vera, di vita umana, composta non di sola azione ma anche di pensiero, risultante sì dal lavoro, ma anche dal riposo, nutrita non di solo pane, ma anche d’amore e di gioia…».



IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 14 – 15

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