Fino alla fine il Vaticano ha sperato che i 4 vescovi cinesi, nominati dal Papa come membri del sinodo sull’Eucaristia, potessero trovare la via per giungere a Roma.
Da oltre un anno la Santa Sede lavorava a questo evento: contatti con l’ambasciata cinese a Roma lasciavano una certa speranza; gli stessi vescovi candidati, interpellati, avevano detto che “era bene provare” e che c’erano buone possibilità. I
governi provinciali cinesi hanno detto a più riprese ai prelati designati che sarebbero “onorati di soddisfare questa richiesta del Vaticano”.
Anche il governo centrale aveva tutto da guadagnare, dopo l’umiliazione subita da Pechino davanti a tutto il mondo per la sua assenza ai funerali del Papa, e la rilevante presenza del presidente taiwanese.
Proprio questa umiliazione è stata la molla che ha reso Pechino desiderosa di fare qualche gesto di distensione. Il permesso ai vescovi per andare a Roma doveva fare da pendant con l’invito ufficiale alle suore di Madre Teresa di aprire una casa a Qingdao. Nessuna di queste cose si è ancora realizzata. In Vaticano qualcuno ha commentato con amarezza: “Siamo stati ingannati!”.
Va detto che sul caso dei vescovi il governo centrale ha taciuto. Solo Ye Xiaowen, direttore dell’Ufficio per gli Affari religiosi, ha osato dire che “c’è ancora qualche possibilità di dialogo”. Fino a pochi mesi fa Ye era uno dei più tetragoni difensori di una Chiesa cinese autonoma, separata da Roma. Il suo cambiamento di tono mostra che qualcosa si muove davvero nel governo. Non così nell’Associazione Patriottica (AP). Il suo segretario generale Liu Bainian è stato il più duro nei confronti del Papa, definendo “scortese” l’invito e rivendicando un ruolo di interlocutore con la Santa Sede: il Vaticano deve rivolgersi all’AP se vuole invitare prelati a Roma.
Liu Bainian è risentito anche delle ultime nomine dei vescovi ausiliari a Shanghai e Xian, avvenute con un accordo di fatto fra Pechino e Roma. Da luglio Liu ha lanciato una campagna per chiedere totale obbedienza di vescovi e preti della Chiesa ufficiale alle direttive dell’AP.
L’AP è un organismo voluto da Mao Zedong per controllare la Chiesa (personale, finanze, educazione, pubblicazioni, nomine dei vescovi).
Pur non essendo un organismo religioso, si pone come supervisore della Chiesa a favore del Partito comunista, sempre più formato da segretari atei, di tradizione stalinista e radicale. In un Partito comunista che è ormai divenuto il garante del capitalismo selvaggio in Cina, essi sono lo zoccolo duro dell’ideologia marxista che vuole l’eliminazione delle religioni o il loro stretto controllo.
Grazie ad essa, la Cina non è ancora dotata di un sistema di leggi sulle religioni, ma solo di “regolamenti” che con la scusa di voler garantire la sicurezza sottopongono la Chiesa ufficiale alla capillare influenza dell’associazione. L’AP ormai lotta per la sua sopravvivenza: negli ultimi 15 anni vi è stato un riavvicinamento dei vescovi della Chiesa ufficiale alla Santa Sede (oltre l’85% dei 74 prelati riconosciuti dal governo è segretamente riconciliato col Papa). Tutto ciò è di fatto un fallimento della politica di autonomia sostenuta dall’AP dal 1957. Anche i nuovi elementi di dialogo fra Cina e Vaticano sono visti come un pericolo per l’organizzazione: nel caso si giunga ai rapporti diplomatici, né la Santa Sede, né i vescovi cinesi vogliono l’AP.
I 46 vescovi sotterranei (non riconosciuti), sarebbero anche disposti a farsi registrare presso il governo, ma senza passare sotto il controllo dell’AP, che mira a costituire una chiesa indipendente da Roma. Intanto, grazie ai regolamenti sulle religioni, 6 vescovi sotterranei sono “scomparsi” da anni, altri vivono agli arresti domiciliari; decine di sacerdoti sono nei lager. Le loro “colpe” vanno dall’aver amministrato l’unzione degli infermi a un malato, al catechismo spiegato a un gruppo di bambini, a un ritiro spirituale non autorizzato, a una messa celebrata in casa (in un luogo non “registrato”. Per una lista dei vescovi e sacerdoti impediti nel loro ministero cfr. il mensile AsiaNews, aprile 2005, pp. 29-34 e il sito
www.asianews.it).
Va detto che proprio la comune persecuzione (il controllo per la Chiesa ufficiale; la prigione e l’isolamento per la Chiesa non ufficiale) sta producendo due frutti importanti. Il primo è la crescita di conversioni e di battesimi, almeno 150 mila all’anno: il fatto che vi siano persone disposte a rischiare la vita per la loro fede ha un grande impatto in una società che ha perso ormai ogni fede nel marxismo e sente troppo soffocante e ingiusto il consumismo della nuova moda capitalista. Perfino fra i membri del partito vi sono dei convertiti.
L’altro frutto è la crescente collaborazione e unità fra Chiesa sotterranea e Chiesa ufficiale. Non per nulla Benedetto XVI ha invitato a Roma due vescovi della Chiesa ufficiale (mons. Antonio Li Duan di Xian; mons. Aloysius Jin Luxian di Shanghai); un vescovo della Chiesa sotterranea (mons. Giuseppe Wei Jingyi di Qiqihar); un vescovo riconosciuto dal governo, ma non iscritto all’AP. L’invito del Papa vuole sottolineare che la Chiesa cinese è ormai una. Questo potrebbe tranquillizzare il governo, sempre timoroso che qualcosa gli sfugga; ma non rincuora l’AP, per la quale la divisione fra cattolici ufficiali (5 milioni, che accettano – malvolentieri – il suo controllo) e cattolici sotterranei (10 milioni che rifiutano il controllo) è la sua ragione di vita. Il governo però sembra ormai sul punto di voler venire a patti con le religioni, sempre più diffuse, e chiede il loro aiuto per sanare tutte le tensioni sociali create dallo sviluppo economico selvaggio. Le religioni potrebbero aiutare la Cina a diffondere sviluppo e rispetto per l’uomo anche nelle zone periferiche dell’impero, lontane dagli alberghi a 5 stelle dei turisti e dei businessmen occidentali.
Eppure anche la comunità internazionale, di solito più interessata agli affari e allo sfruttamento della manodopera cinese, dovrebbe capire che affermare i diritti religiosi dei cinesi, la loro libertà, aiuta anche alla stabilità del Paese e al suo sviluppo. Senza un nuovo equilibrio la Cina rischia di distruggersi o di rimanere un mostro: un gigante economico e un nano nella difesa dell’uomo.
«L’asprezza della via, il vuoto, la delusione per una ideologia come quella marxista e per la disumanità del capitalismo rampante spingono i giovani all’insoddisfazione e alla ricerca di gioia e di vita. Sono proprio questi giovani che, spinti dalla curiosità e dalla stima, affollano le chiese partecipando alla liturgia senza capire nulla di quello che succede. Molti di loro, grazie alla testimonianza di qualche adulto, frequentano
la Chiesa e si convertono. Il governo rimane preoccupato e mette in guardia contro “le mode religiose occidentali”, ma il vescovo XXX è felice: “La situazione attuale della Cina è una grande opportunità di missione per la Chiesa. D’ora in poi dobbiamo puntare sulla formazione e la cultura”».
(Bernardo Cervellera, Missione Cina. Viaggio nell’Impero tra mercato e repressione, Ancora, 2003, p. 127).
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 16 – 17