Austero nei costumi e infaticabile lavoratore, riporta importanti successi come la riconciliazione con il re di Francia Enrico IV. Riforma la Chiesa applicando con fermezza le indicazioni
del Concilio di Trento.
Nome: Ippolito Aldobrandini
Data nascita: 24 febbraio 1535
Elezione: 30 gennaio 1592
Durata: 13 anni, 1 mese, 6 giorni
Data morte: 5 marzo 1605
Sepolto: S. Maria Maggiore
Posizione cronologica: 231
«Voi pronunciate la sentenza con maggior paura di quella con la quale io l’ascolto»: sono le parole che Giordano Bruno scaglia in faccia ai membri della Congregazione del Sant’Uffizio, dopo che gli è stato letto il verdetto di condanna al rogo. Così dicendo, il Nolano attesta involontariamente la particolare accortezza assunta da Clemente VIII e dall’Inquisizione in questa delicata e dolorosa vicenda. Difatti, il processo è svolto nell’arco di ben otto anni con una precisione formale esemplare, nel costante sforzo di recuperare il domenicano (soggetto all’autorità pontificia) Bruno dall’eresia, offrendogli più volte la possibilità di abiurare senza ambiguità le false dottrine che insegnava, impastate di magia, ermetismo, panteismo ed esoterismo.
Tuttavia Clemente VIII, dopo questa vicenda, è bollato definitivamente come oscurantista da certa pubblicistica, colpevole di aver eliminato “il maggior filosofo del libero pensiero”.
Ma se togliamo il velo del giudizio ideologico, scopriamo un pontefice che è tutto fuorché un piromane con manie persecutorie.
Ippolito Aldobrandini, questo il nome di Clemente VIII, nasce il 24 febbraio 1536 a Fano. Dopo la laurea in giurisprudenza a Bologna, si fa apprezzare da S. Pio V (1566-1572) per la sua onestà e limpidezza di vita tanto da essere chiamato a Roma per assumere diversi importanti incarichi. Il 18 dicembre 1585 è nominato cardinale presbitero da Sisto V (1585-1590), altro suo grande estimatore, il quale lo chiama a partecipare a diverse missioni diplomatiche, tra cui quella assai importante come legato in Polonia nel 1588. Il 30 gennaio del 1592, all’atto dell’elezione a pontefice, Ippolito sceglie il nome seguendo la profezia di S. Filippo Neri (1515-1595), suo fraterno amico e consigliere spirituale, che più volte in passato gli aveva annunciato la salita al soglio di Pietro con il nome di Clemente.
L’uso in voga prevede che il neo-papa elargisca un certo numero di cariche curiali ai propri nipoti, anche per una questione di fiducia in persone consanguinee. In effetti, Cinzio e Pietro Aldobrandini si riveleranno illuminati segretari di stato e mecenati generosi, ma non per questo eviteranno al Papa spietate accuse di nepotismo.
Pur non disdegnando il fasto e l’eleganza, la vita di pietà di Clemente VIII è molto intensa. Particolarmente austero nei costumi, digiuna spesso anche a discapito della salute, oltre a portare permanentemente il cilicio. Si confessa ogni giorno e durante la celebrazione della S. Messa non è raro vederlo commosso fino alle lacrime. Nell’arco dell’anno arriva a compiere fino a quindici volte la visita delle “sette chiese” di Roma. La sua profonda devozione a Maria è alimentata dal pellegrinaggio a piedi scalzi a S. Maria Maggiore svolto quasi ogni mattina prima dell’alba.
Il carattere coscienzioso fino allo scrupolo eccessivo lo porta spesso all’irresolutezza e ad inquietarsi per quisquilie, ma non per questo eviterà iniziative coraggiose come la riforma della Chiesa secondo le indicazioni del Concilio di Trento.
Tuttavia la questione più rilevante del suo pontificato rimane il conflitto interno alla Francia tra cattolici e ugonotti per la successione al trono. Questa contesa aveva già causato l’assassinio del capo della lega cattolica Enrico di Guisa e del re Enrico III di Valois (1551-1589). Il successore che Enrico III nomina prima della morte è il capo degli ugonotti Enrico di Navarra (1553-1610). E così, erede designato al trono della “cristianissima” Francia è un protestante. Ma Enrico comprende che per essere legittimato alla corona francese deve abiurare il calvinismo (“Parigi val bene una Messa!”), anche per liberarsi dalla scomunica che Sisto V gli aveva inflitto.
Il 25 luglio 1593 il Navarro si reca nella basilica di S. Denis chiedendo all’arcivescovo di essere ammesso nella Chiesa cattolica e il 27 febbraio 1594 è incoronato re di Francia nella cattedrale di Chartres con il nome di Enrico IV.
L’ultima parola però spetta a Clemente che, dopo aver ottenuto precise garanzie sull’effettiva e onesta conversione di Enrico con l’impegno di educare i figli alla religione cattolica, il 17 settembre 1595 gli toglie definitivamente la scomunica dichiarandolo re a tutti gli effetti (avvenimento celebrato con l’erezione della cosiddetta “colonna dell’abiura” posizionata definitivamente nel cortile della basilica di S. Maria Maggiore).
Il rinnovato prestigio guadagnato da Clemente in questa vicenda permette alla Chiesa di ergersi autorevole mediatrice super partes tra le mire espansionistiche della Spagna di Filippo II (1527-1598) e la stessa Francia, risolvendo il conflitto tra le due potenze con la stipulazione del trattato di pace a Vervins nel 1598.
Le relazioni con Enrico IV migliorano costantemente (l’appoggio francese alla Santa Sede per il recupero del Ducato di Ferrara sarà fondamentale), anche se l’emanazione dell’editto di Nantes il 30 aprile 1598, che sancisce la libertà di culto agli ugonotti assicurando loro tutti i diritti civili al pari dei cattolici, fanno riaffiorare i mai sopiti dubbi di Clemente sulla sincerità della conversione di Enrico.
Come accennato, un importante capitolo del pontificato di Clemente è la riforma della Chiesa così come richiesto dai decreti tridentini.
Per quest’opera si circonda di celebri personalità del calibro di S. Filippo Neri, del Card. Bellarmino (1542-1621) e dell’illustre storico ecclesiastico Cesare Baronio (1538-1607).
Clemente richiama con fermezza le comunità religiose al rispetto della Regola e impone ai vescovi l’obbligo della residenza e delle visite pastorali. Avvia la revisione dei libri liturgici e cura una nuova edizione della Vulgata, l’edizione della Bibbia in lingua volgare, migliorando la precedente, un po’ lacunosa, di Sisto V.
Cerca di riportare alla moralità anche la città di Roma con condanne esemplari eseguite nelle pubbliche piazze ma, soprattutto, con la grande celebrazione del Giubileo del 1600, che vede l’afflusso di oltre tre milioni di pellegrini penitenti.
Clemente VIII è tanto severo con l’eresia e l’immoralità quanto aperto e generoso verso le opere artistiche e culturali. Sostiene la realizzazione dell’accademia dei Lincei, la prima accademia scientifica internazionale al mondo, finanzia Torquato Tasso, porta a compimento la cupola di S. Pietro e restaura numerose chiese romane.
I suoi continui digiuni e penitenze gli aggravano la gotta e la salute già precaria. Morirà il 5 marzo 1605 per un colpo apoplettico mentre assiste ad una seduta dell’Inquisizione.
Bibliografia
Rita Pomponio, Il papa che bruciò Giordano Bruno, Piemme, 2003.
L. Von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, vol. XI, Roma, 1929.
Matteo D’Amico, Giordano Bruno, Piemme, 2000.
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 54-55