Sereno e pacato, anche in mezzo a difficoltà e contrasti di ogni genere, difende i Gesuiti dall’attacco di diverse nazioni e si oppone al dilagare delle nuove idee libertarie
Nome: |
Carlo Rezzonico |
Data nascita: |
7 marzo 1693 |
Elezione: |
6 luglio 1758 |
Consacrazione: |
16 luglio 1758 |
Durata: |
10 anni, 6 mesi, 27 giorni |
Data morte: |
2 febbraio 1769
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Sepolto: |
San Pietro, Roma |
Posizione cronologica:
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248 |
Clemente XIII (1693-1769) incarna l’archetipo del “buon pastore” per lo stile misurato e sereno con cui conduce il gregge, senza rinunciare alla dovuta fermezza quando deve difendere i diritti e le opere della Chiesa, come fece con i Gesuiti oggetto di attacchi delle forze laicomassoniche emergenti.
Carlo Rezzonico nasce a Venezia il 7 marzo 1693. All’età di dieci anni è a Bologna, nel collegio dei Gesuiti per gli studi umanistici. In seguito, apprende a Venezia i fondamenti della teologia, della dogmatica e della giurisprudenza. Nel 1714 si laurea all’università di Padova in “utroque iure”. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1716, riceve da Papa Clemente XII (1652-1740) la nomina a cardinale diacono, pur non essendo ancora vescovo. Segno, questo, di particolare predilezione. Nel 1743 riceverà anche la nomina episcopale da Benedetto XIV (1740-1758) che lo pone a capo della diocesi di Padova, dove resterà per ben sedici anni.
L’impegno di Carlo nell’amministrazione di questa importante diocesi è massimo e totale, sulla scia delle indicazioni del concilio di Trento di cui sarà un gran propugnatore anche da Papa. Grande è l’attenzione per la disciplina ecclesiastica e per i retti costumi dei fedeli. In particolare, si distingue nella carità concreta ai bisognosi: dona tutto ai poveri al punto di cedere la biancheria personale, meritandosi l’appellativo de “il santo”.
È eletto Papa il 6 luglio 1758. Anche a capo della Chiesa evidenzia mitezza, generosità e una dedizione al lavoro encomiabile, concedendo con facilità udienze e colloqui ai fedeli. Durante la carestia del 1763-64, che colpisce soprattutto l’Italia meridionale, Clemente XIII si prodiga per mitigare le sofferenze procurando granaglie dall’estero, perfino a un prezzo doppio del normale pur di sfamare il popolo, senza farsi scrupolo di intaccare il tesoro di Sisto V presente in Castel S. Angelo come “riserva aurea” della Santa Sede. In una visita presso l’ospedale di S. Giacomo serve personalmente gli ammalati e s’interessa cosi profondamente dei casi più ripugnanti da commuovere fino alle lacrime i pazienti.
Tuttavia, a volte denota mancanza di fiducia in se stesso ed eccessiva timidezza. Oltretutto, non gode di buona salute, tormentato com’è da violenti attacchi febbrili che lo costringono a trasferirsi spesso a Castel Gandolfo per ottenere sollievo. La questione principale del pontificato di Clemente è la difesa dei Gesuiti, il cui zelo apostolico, la profonda preparazione culturale e spirituale suscita l’odio e l’invidia dei nemici della Chiesa giacobini, che li considerano i veicoli di concezioni morali retrive e antiliberali. Inoltre, risulta intollerabile agli illuministi l’aver creato in poco più di due secoli molteplici e importanti opere di carità, come le “riduzioni” in Paraguay, e soprattutto aver conquistato notevole influenza in ambito culturale e nell’educazione dei giovani grazie alla creazione nel mondo di numerose università, scuole e centri di formazione. Clemente XIII è l’ultimo baluardo nella difesa dei Gesuiti, dato che sotto il pontificato del successore Clemente XIV (1769- 1774) verranno soppressi.
Il primo attacco ai Gesuiti arriva dal Portogallo, dove il ministro degli esteri, il marchese de Pombal, con il pretesto di un presunto complotto ai danni del Re nel settembre 1758, scaglia contro la Compagnia l’accusa di tentato omicidio, espellendola dal Paese. Il risultato è la morte di un centinaio di religiosi durante il loro trasferimento all’estero e di altri duecento nelle carceri portoghesi a causa delle crudeli condizioni di prigionia; i conventi vengono chiusi e i loro beni confiscati, in particolare le scuole, che passano sotto il controllo dello Stato.
Le espulsioni dei Gesuiti si susseguono in breve tempo, sempre grazie a pretesti, in Francia, Spagna, nel regno di Napoli e nel ducato di Parma e Piacenza. Non sono espulsi però in alcune nazioni non cattoliche, come la Prussia protestante e la Russia ortodossa. Clemente XIII non fa mancare la propria vibrata protesta, ma la sua voce rimane inascoltata dagli Stati, pressoché sordi ai richiami della Santa Sede.
Il ducato di Parma, piccolo Stato borbonico che il Papa rivendica come suo feudo, emana addirittura un editto in cui proibisce il ricorso a tribunali stranieri, in primis quello della Santa Sede, il buon pastore CLEME NTE XIII arrogandosi anche la pretesa di confermare previamente la validità dei documenti pontifici prima di diffonderli ufficialmente sul suo territorio. Clemente XIII reagisce con la bolla denominata “monitorio di Parma”, in cui dichiara nullo il decreto del Ducato, sanzionando chiunque attacchi i diritti della Chiesa. Il “monitorio” provoca l’insurrezione degli Stati europei che accusano pretestuosamente il Papa di aver travalicato i diritti inviolabili di uno Stato sovrano. In alcuni Stati, anche cattolici, è proibita la pubblicazione della bolla; la Francia occupa Avignone e Napoli invade Benevento. Clemente reagisce con decisione anche contro l’insorgere del febronismo, la corrente di pensiero particolarmente insidiosa per la purezza della fede introdotta da Giustino Febronio, alias Johan Nikolaus von Hontheim, vescovo suffraganeo di Treviri, il quale propone un sincretismo che attenua l’unicità del messaggio di verità di Gesù Cristo per ricercare l’unità di tutti i cristiani perfino contro l’autorità e il primato del Papa. Le tesi febroniane sono vicine alle tendenze assolutistiche dei governi di quel tempo e sono accolte con benevolenza non solo in larghi strati della società, ma anche da molti alti prelati che anelano a una Chiesa più controllata dallo Stato, sulla falsariga delle comunità protestanti.
Clemente XIII interviene prontamente inviando una lettera alla Chiesa tedesca perché contrasti con chiarezza le idee contenute nel libro di Febronio, messo all’Indice nel 1764.
Il 25 novembre 1766 pubblica l’enciclica Christianae reipublicae, in cui si condanna in maniera netta la filosofia illuministica perché pericolosa per l’integrità della fede e per l’equilibrio sociale. È logico che in questa situazione di continui attacchi e di difficoltà Clemente XIII non possa sviluppare una azione pastorale come aveva progettato, soprattutto a favore dello sviluppo delle arti e della scienza. Tuttavia, riesce a realizzare almeno in parte la bonifica delle paludi pontine e arricchisce la Biblioteca Vaticana con splendidi volumi. Introduce la festa del Sacro Cuore e dedica molta cura alle missioni. Muore colpito da un infarto il 2 febbraio 1769.
RICORDA
«Infatti, certi uomini scellerati convertitisi alle fandonie e non aderenti alla sana dottrina, da ogni parte invadono la rocca di Sion, e per mezzo del pestifero contagio dei libri, dai quali siamo quasi sommersi, vomitano dai loro petti veleno di aspidi a rovina del popolo cristiano (…). Viene derisa la Fede dei semplici; sono sventrati gli arcani di Dio; le questioni sulle altissime verità sono discusse temerariamente; l’audace ingegno del ricercatore usurpa per sé ogni cosa; tutto indaga, nulla riservando alla fede, della quale nega il valore, mentre cerca la controprova nella ragione umana (…). Cospargono i loro scritti di una certa ricercata nitidezza e scorrevole fioritura di discorso e civetteria, in modo che quanto più facilmente saranno penetrati negli animi tanto più profondamente li potranno inquinare col veleno dell’errore».
(Clemente XIII, Enciclica Christianae reipublicae, 25 novembre 1766).
IL TIMONE N. 102 – ANNO XIII – Aprlie 2011 – pag. 54 – 55