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12.12.2024

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Colpite i cattolici!
31 Gennaio 2014

Colpite i cattolici!

 

 

Parroco e storico, don Dario Zanini ha raccolto informazioni dirette sugli eccidi del “triangolo della morte”. E nell’intervista al Timone ricorda che deve ancora essere riconosciuta l’innocenza delle vittime. Per amore della giustizia e per una effettiva riconciliazione.

 

 
 

«Il numero di preti fatti fuori in quegli anni è davvero incredibile. Don Pessina, don Galletti, don Donati e tanti altri: non c'entravano nulla con i fascisti, al massimo avevano benedetto qualche salma di fascista ucciso, forse aiutavano la Dc a raccogliere voti… La verità è che furono uccisi da comunisti e che nessun assassino fu denunciato dal Pci. Ciò potrà un giorno essere serenamente studiato? lo spero di sì». Non lo ha scritto un prete, e nemmeno un cattolico, bensì uno storico e giornalista «laico» come Paolo Mieli. Però don Dario Zanini non ha aspettato le ondate di cosiddetto «revisionismo» per stampare il suo «Marzabotto e dintorni»: un librone frutto di 30 anni di ricerche che rilegge la celebre strage nazifascista smontandone i miti e collocandola nella cornice degli assassinii ideologici dell'ultima guerra; «neri» e anche «rossi». Un'opera coraggiosa, che del resto l'anziano parroco di Sasso Marconi (BO) ha le carte in regola per firmare; essendo stato egli stesso catturato dai nazisti ed avendo avuto – dice – «parenti uccisi sia dai tedeschi che dai partigiani».
 

Dunque, don Zanini: che cosa è successo nel famoso ..triangolo»?

«Prendiamo la provincia di Bologna: nella parte occupata dagli Alleati ci furono molti delitti fino alla fine della guerra, ma dopo quasi nulla. Invece la città e la pianura, dove la liberazione giunse tardi, divennero teatro di eccidi spaventosi. Il custode del cimitero di Bologna raccontava di non saper più dove mettere le salme. Una carneficina».
 

E questo che significa?

«Che nella zona di montagna l'epurazione fu precedente e ri guardò soprattutto i fascisti veri. Mentre al piano la giustizia sommaria si mescolò a motivi politici e a mio avviso anche a una componente di odio contro la fede».

I cattolici furono colpiti in modo particolare?

"Sono convinto che l'ostilità verso la Chiesa c'entrava molto nei delitti commessi dopo la guerra, molto più che in quelli compiuti durante il conflitto. Da noi dopo il 25 aprile esplose una faziosità incredibile, che aveva l'obiettivo di scardinare gli elementi religiosi, le associazioni cattoliche».
 

Questo perché i cristiani erano stati più fascisti degli altri?


"No. I fascisti veri sono stati uccisi prima. Dopo la guerra le stragi avvennero per una presa di posizione ideologica, per un'ostilità preconcetta che ha generato scontri anche clamorosi».
 

Ma ci fu un vero e proprio progetto ideologico dietro le giustizie sommarie del dopo-guerra?

 

«Ad alto livello nel Pci indubbiamente c'era un disegno di questo tipo. C'è stata per esempio una capillare organizzazione per far riparare all'estero i responsabili dei delitti, in Jugoslavia o a Praga. La Resistenza da noi fu la preparazione per la consegna dell'Italia oltrecortina e, se la strategia non filtrava in modo palese, la regolarità con cui avvenivano gli eventi faceva trapelare l'esistenza di un progetto complessivo. Anche se in pratica tante volte gli assassinii sono stati solo l'esito dell'indottrinamento e di vendette personali».
 

In certe zone più che in altre…

 

"Sì, magari dove l'organizzazione politica era più capi Ilare e chi vi partecipava sentiva l'orgoglio di agire in suo nome, sfidando anche la giustizia».
 

 

Qualcuno potrebbe dire: i fatti del «triangolo» sono incresciosi, ma l'importante è che la Resistenza ci abbia dato la libertà. Del resto, ogni guerra ha i suoi morti innocenti.

 

"Certamente si può dirlo. Però la diffusione di quei delitti e la moltitudine degli eliminati denota un'esplosione di odio selvaggio. Non si tratta più di vittime di guerra, che si "giustificano" con le necessità della Resistenza; non si può dire infatti che la liberazione sia continuata per mesi dopo il25 aprile. Molti erano casi di delinquenza comune mascherata come interventi politici».
 

 

Qualche altro ripete invece che, ormai, la ricerca di una memoria condivisa chiede di lasciar perdere i fatti che ancora dividono gli italiani.

 

«Ma chi ha perduto persone care ha diritto ad essere riconosciuto come vittima. Qui ci sono ancora molti che non sanno dove e come sono stati uccisi i loro congiunti, dove sono sepolti. Si può perdonare, io stesso ho ricevuto molte dichiarazioni di perdono verso chi ha ucciso; ma i parenti hanno diritto di sapere perché sono morti i propri cari. La riconciliazione esige un gesto di pietà da chi si è comportato in modo sbagliato».
 

 

A quale patto dunque lei, da storico e da uomo, si direbbe soddisfatto: che vengano riaperti i processi? Che chi sa, finalmente parli? Che si scriva la storia in altro modo nei libri di scuola? Che si facciano monumenti ai martiri?
 

 

«Non sono assolutamente favorevole a riaprire i processi. Dopo 60 anni anche trovare le motivazioni sarebbe difficile, e poi si rischia d'infamare i discendenti dei colpevoli. Basterebbe un riconoscimento che le vittime erano innocenti, che gli eccidi sono stati episodi di cui non si può approvare né la motivazione né l'effetto. Ho constatato personalmente che molte famiglie delle vittime hanno trovato la pace e la rassegnazione, nessuno è ancora in posizione di rivalità o di rivendicazione. L’altra parte, invece, da 60 anni riceve soltanto elogi, medaglie, sovvenzioni… e così si convince di aver fatto tutto bene e di non avere nulla da farsi perdonare».

 

 

Dossier: Il "Triangolo" dell'odio e della vergogna

IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 44 – 45

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