Una riflessione sui rischi del predominio del relativismo. A margine dell’esito referendario e delle manovre laiciste di vanificarne il significato.
Cacciate dall’Europa, ricompaiono in Italia le radici cristiane. Con la provocazione di Benedetto XVI agli “amici che non credono”: non perdete di vista Dio, per evitare “l’accantonamento dell’uomo” voluto dalla cultura illuministica radicale.
Perché “un albero senza radici si secca”.
«È da riconoscere alla Chiesa il pieno diritto di raccomandare i suoi precetti ai credenti e praticanti, ma senza dettami da imporre agli altri [il corsivo è nostro, ndr], manovre propriamente politiche, pretese d’influenza esorbitante sulla legislazione dello Stato». Tradotto: cattolici, per favore, chiudetevi nelle sacrestie e non disturbate il manovratore.
Parola del guru laicista Alberto Ronchey, prima pagina del Corriere della Sera (titolo: I diritti della Chiesa, le leggi dello Stato. La politica del cardinale), tre giorni dopo la batosta referendaria.
No, grazie. Le radici cristiane, cacciate dall’Europa zapatera, da noi sono ricomparse inaspettatamente rigogliose; non sarà facile ora ignorarle. Non è la rivincita dell’Italia clericale contro l’Italia laica, perché non esiste più nel nostro Paese una linea di frattura riconducibile allo schema laici-cattolici. Né si tratta di aggiungere prediche alle troppe che già ci sono. Ma di offrire a tutti la possibilità di un’esperienza umana nuova, che recuperi, contro ogni astrusa invadenza ideologica, il valore della ragione, il senso della realtà, ovvero «il poter vivere la vita come è, con i suoi desideri e le sue difficoltà. Senza cadere nella disperazione o fuggire nel sogno» (per usare le parole di Giancarlo Cesana, di Cl).
Con buona pace dei vari “cattolici adulti”, che il 12 e 13 giugno andando a votare hanno scelto di non seguire le indicazioni dei vescovi, noi stiamo con Ruini, con l’arcivescovo di Firenze cardinale Antonelli («La Chiesa verrebbe meno alla sua missione, se non cercasse di illuminare le coscienze sui valori etici»), con tutti i pastori che hanno saputo interpretare e guidare l’anima più profonda del popolo italiano. Quel popolo che ha saputo tirar fuori al momento giusto saggezza e buonsenso e la sua anima solidale, cattolica e laica. Ricordando che il fondamento della sua umanità è nella tradizione cristiana, «questa volta proposta da una Chiesa decisa e unita». E anche tanti laici, dal solito “ateo devoto” Giuliano Ferrara al presidente del Senato Marcello Pera, hanno riconosciuto tale fondamento, come non era mai accaduto prima.
Soprattutto, stiamo con Benedetto XVI, che dal giorno della sua elezione si è soffermato più volte sui “valori fondamentali” dell’uomo, come la vita e la famiglia, criticando in maniera intelligente e profonda la “cultura illuministica radicale”, che vuole impadronirsi della nostra vita. Durante la 54ma assemblea generale della Cei, il 30 maggio, aveva espresso il suo apprezzamento ai vescovi italiani per la sollecitudine verso «ogni essere umano, che non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine», e per l’impegno «nel difendere la sacralità della vita umana». Impegno che «nella sua concretezza e chiarezza» giungeva fino a «motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum… in merito alla legge sulla procreazione assistita».
Il 6 giugno, in San Giovanni in Laterano, agli operatori pastorali della diocesi di Roma, per l’apertura del convegno Famiglia e comunità cristiana, il Papa ha detto che il predominio del relativismo «nella società e nella cultura» va contrastato riaffermando alcune verità fondamentali dell’antropologia: «l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale» e «il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio», mettendo in guardia dal «sopprimere o manomettere la vita che nasce».
Dieci giorni dopo, il 16 giugno, ricevendo le credenziali dell’ambasciatore svizzero presso la Santa Sede, Jean François Kammer, ha rammentato che la Chiesa cattolica s’è «espressa chiaramente attraverso la voce dei suoi pastori, e lo continuerà a fare, finché sarà necessario, per ricordare senza sosta la grandezza inalienabile della dignità umana».
Ma è in particolare nel primo libro pubblicato da Papa, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture (coedizione Libreria Editrice Vaticana-Cantagalli), che Ratzinger descrive compiutamente il momento storico in cui noi credenti ci troviamo a vivere. La nostra è l’epoca dove «il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio, ci conduce sempre più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo» (da cardinale-teologo in passato aveva parlato di «tramonto» o «abolizione» dell’uomo). Nel testo, che riprende nella sua prima parte la conferenza tenuta nel Monastero di Santa Scolastica, a Subiaco, lo scorso 1° aprile, pochi giorni prima di salire al soglio pontificio, si prende atto che sull’uomo di oggi «non brilla più lo splendore del suo essere immagine di Dio». E «la forza morale non è cresciuta assieme allo sviluppo della scienza, anzi, piuttosto, è diminuita, perché la mentalità tecnica confina la morale nell’ambito soggettivo, mentre noi abbiamo bisogno proprio di una morale pubblica».
Se «l’uomo non ammette più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli», se «vale il principio che la capacità dell’uomo sia la misura del suo agire», così che «ciò che si sa fare, si può anche fare», avviene «la radicale emancipazione dell’uomo da Dio, dalle radici della vita». Il “rifiuto del riferimento a Dio si traduce in «una coscienza che vorrebbe vedere Dio cancellato definitivamente dalla vita pubblica dell’umanità e accantonato nell’ambito soggettivo di residue culture del passato».
Ma, afferma papa Ratzinger, «un albero senza radici si secca… Abbiamo bisogno di radici per sopravvivere». Come fare a non «perdere Dio di vista», per evitare che la dignità umana sparisca? Qui la provocazione di Benedetto XVI è formidabile. Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi (vivere come se Dio non esistesse) e dire: «Anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse». Aggiunge il Papa: «Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».
TIMONE – N.45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 12-13