Non vanno idolatrati, né ignorati o maltrattati. Perché gli animali sono stati creati, come tutto del resto, in funzione dell’uomo. Che ne è in qualche modo responsabile
Lasciate che questa volta inizi raccontandovi una piccola storia. La Provvidenza ha voluto che, dopo non pochi traslochi per l’Italia, ora da un bel po’ di anni abbia trovato approdo in una palazzina circondata da un piccolo ma grazioso giardino. Un fazzoletto di verde che tuttavia, poiché è posto in mezzo ad altri giardini dove spesso qualcuno si libera delle indesiderate cucciolate di micetti, è diventato una sorta di autostrada di passaggio per tutte quelle bestiole che, sterilizzate e assistite da alcune benemerite gattare, tentano in qualche modo di sopravvivere. Tra questi gatti e gatte, di solito prudentissimi e silenziosi, ma chiassosissimi nei periodi degli amori, vedevo talvolta aggirarsi furtiva una bellissima micetta bianca e nera. Una sorta di capolavoro della genetica, con vibrisse folte e lunghissime, con un pelo prevalentemente nero, tuttavia percorso da alcune macchie bianche distribuite con eleganza. Io che amo questi piccoli felini – gli amici, con un po’ di ironia, chiamano me e Vittorio “gattolici praticanti” – la osservavo con piacere, godendo della sua bellezza. Tuttavia, un po’ segnata da alcune esperienze precedenti (gatti che era stato necessario sopprimere, su consiglio del veterinario, per malattie inguaribili) e da qualche pesantezza dovuta all’età, ero restia a rivolgere a questo esserino che mi guardava con sospetto ma al contempo con interesse, una attenzione tale da dare l’avvio ad una adozione in piena regola. Ma in tutto questo, non avevo fatto i conti con un elemento importantissimo. E, cioè, con il fatto che questa micetta, che sembrava selvatica e scontrosa, in realtà era stata lei, in cuor suo, a decidere di adottarmi avvicinandosi sempre più alla casa, passando lunghi periodi di tempo ad osservarmi da sotto il balcone, strizzandomi entrambi gli occhi appena le rivolgevo lo sguardo.
Così, alla fine, galeotta un’otite che la faceva palesemente soffrire e che chiaramente non era in grado di risolvere da sola, finiva per infrangere le mie resistenze al punto che ora “Micetta” (così, semplicemente, la chiamiamo) è qui, guarita e addormentata tranquillamente vicino a me, proprio mentre ne scrivo.
Una storia graziosa, direte voi, ma problemi ben piccoli, vicino a quelli, enormi, che gravano sull’umanità. Non posso che essere d’accordo. Eppure, poiché credo che nella vita occorra essere seri ma non seriosi, occorra cioè sapersi occupare delle cose molto importanti, ma al contempo saper far posto anche alle più modeste realtà che percorrono la nostra vita quotidiana, penso che quello del rapporto con gli animali sia un aspetto non irrilevante sul quale un cristiano debba riflettere. Soprattutto con quegli animali che chiamiamo di “compagnia”, cioè quelli che per indole – come i cani e i gatti, ma anche altri – sono stati in grado di diventare domestici al punto di condividere da vicino la nostra vita. Ebbene, se ci guardiamo attorno, notiamo che non sempre è facile raggiungere con queste bestie e bestiole un rapporto che sia davvero equilibrato. C’è infatti chi ancora ne diffida molto, tiene le distanze, in poche parole non le ama. E chi invece le colma di attenzioni che talvolta appaiono davvero eccessive, che insomma le ama troppo. Anche questo, credo, non è altro che uno dei tanti frutti del peccato originale, che rende difficile vedere con chiarezza che cosa nelle varie circostanze della vita sia giusto e meglio fare. Ma anche in questo la Rivelazione può aiutarci. I racconti della Genesi infatti sono chiari al proposito. Gli animali sono stati creati, come tutto del resto, in funzione dell’uomo che, provvisto di ragione e di coscienza, ne è in qualche modo responsabile. Per questo egli li salverà al momento del diluvio, continuando poi a portarli con sé, ancora una volta insieme a tutta la creazione – come ci insegna san Paolo – in quel lungo processo che è in atto di liberazione dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria dei figli di Dio (Rm 8,21). Certo, resta la curiosità del se e del come questa creazione, animali compresi, farà parte di quei nuovi cieli e terra che ci sono stati promessi. Non vi è una opinione precisa al proposito. Ma certo quella risurrezione finale della carne che sappiamo attenderci mostra quantomeno che la “forma” di questo mondo, cioè la materia, seppure trasfigurata, continuerà in modo misterioso ma reale a farne parte. E dunque, perché no?, anche quella “forma” che oggi sono questi nostri animali dei quali ci stiamo occupando.
Comunque sia quel punto di arrivo, sta di fatto che ciò non ci esime da quelle che sono le nostre responsabilità oggi. E cioè dal dover riconoscere che, soprattutto con quegli animali che ci stanno più vicini fino a condividere spesso la nostra casa e la nostra esistenza, noi dobbiamo trovare il giusto modo di convivere. E dunque non idolatrarli, come spesso oggi avviene, ma nemmeno ignorarli o peggio ancora non trattarli adeguatamente. Essi, infatti, risentono assai del nostro comportamento nei loro confronti con una reattività molto forte che può migliorarli o peggiorarli. Vogliamo fare qualche esempio? Anzitutto, sappiamo bene come queste bestiole si adeguino al comportamento del padrone, possano cioè diventare nevrotiche se egli lo è, addirittura pericolose se maltrattate. Ma anche come sappiano sviluppare doti incredibili di dedizione e di aiuto all’uomo se trattate bene, istruite con pazienza e amore. Basterebbe pensare anche solo ai cani che guidano i ciechi o ai tanti animali che oggi vengono utilizzati per praticare quella che viene chiamata la pet terapy. È infatti ormai ampiamente dimostrato come soprattutto persone con difficoltà motorie o psicologiche possano trarre benefici anche grandi interagendo con animali addestrati allo scopo, resi cioè capaci di trasmettere semplicemente ciò che sono, e cioè esseri accoglienti e amorevoli pur nei limiti dei loro istinti. Ma fa parte anche dell’esperienza comune di ogni buon padrone capire quanto la sua bestiola sia costante e serena nel dimostrargli quell’affetto che la sua indole le permette. E questo in ogni caso: che egli sia ricco o povero, bello o brutto, maschio o femmina, sano o malato, giovane o vecchio, istruito o di scarsa cultura. Basterà che lo accudisca un poco, cioè che lo nutra e non lo maltratti, ed avrà comunque la sua riconoscenza.
I casi più clamorosi di dedizione finiscono sui giornali, ma ognuno di noi potrebbe raccontarne molti altri. Certo, ognuno a modo suo perché un cane non è un gatto e nemmeno un cavallo.
C’è dunque, come si vede, da riflettere molto sul nostro rapporto con questi animali. C’è da capire bene perché Dio abbia voluto che soprattutto alcuni tra loro avessero con noi questo rapporto privilegiato. Questo, perché essi possono essere per noi davvero un’opportunità per crescere nella nostra umanità, perché con la loro presenza stimolano la nostra attenzione, obbligandoci in un certo senso a metterci in gioco accudendoli, rispettandoli e amandoli almeno quel tanto che è necessario. Ma lo scambio è reciproco perché a nostra volta, se ci comporteremo in modo corretto, avremo da loro tutta la riconoscenza, l’affetto e la tenerezza di cui sono capaci. Insomma, una interazione reciproca vera, uno scambio vitale autentico e rigenerante; alla fine, un autentico dono di Dio. Una possibilità concreta di portare maggiore equilibrio a vite che per mille motivi rischiano di esserne prive. A bambini senza fratelli, a persone troppo sole, ad anziani con qualche difficoltà, a famiglie che hanno bisogno di allargare il loro spazio affettivo.
Senza esagerazioni, certo, perché esiste pur sempre una chiara differenza tra persone e animali, una precisa distinzione che va mantenuta. Ma anche senza chiusure, che potrebbero alla fine rivelarsi una delle tante forme di egoismo. Come mi ha fatto capire questa ormai nostra “Micetta”, quando mi ha pian piano, delicatamente, “costretta” ad riaprire ancora una volta il cuore.
IL TIMONE N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 56 – 57
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