Confessione – direzione spirituale – psicoterapia: pratiche che sembrano avere qualche aspetto in comune. Chiariamo il significato per evitare confusioni.
In queste poche righe richiameremo le definizioni di confessione sacramentale, di direzione spirituale e di psicoterapia. Il contesto attuale, infatti, ci ha abituato ad un uso confuso delle parole, attribuendo ad esse significati errati, talora persino opposti (es. il mutamento del concetto di famiglia). Invece, le definizioni costituiscono i nostri cartelli segnaletici, servono per ben orientarci. Altrimenti, il rischio che si corre, metaforicamente parlando, è di arrivare in un luogo diverso da quello previsto con perdita di tempo e di mezzi o, nella peggiore delle ipotesi, della stessa vita. In altri termini, si rischia di utilizzare dei mezzi non adatti allo scopo. Venendo a noi, quindi, cominciamo col dire che la Confessione è il sacramento che prevede l’accusa dei propri peccati davanti al sacerdote, il quale, assolvendo nel Nome di Cristo, riconcilia con Dio e con la Chiesa il penitente, contrito, che si impegna a non peccare più per l’avvenire e a fare penitenza, cioè opere degne di conversione.
Per “direzione spirituale” si intende l’arte di condurre le anime progressivamente dagli inizi della vita spirituale fino alla sommità della perfezione cristiana.
Ministro del sacramento della Confessione è soltanto il sacerdote. La direzione spirituale può essere invece svolta anche da fratelli religiosi e da laici, purché opportunamente preparati.
Del tutto diverso è il caso della “psicoterapia”, per la quale assumiamo come definizione, benché non univoca, la seguente: un trattamento finalizzato a curare patologie per di più psichiche e situazioni di sofferenza attraverso l’interazione (parola, ascolto, pensiero, relazione,…) tra paziente e terapeuta. Qui, è chiaro, non si tratta di un cammino di perfezione cristiana, bensì di curare dei disturbi, percettivi di sé e del mondo esterno e comportamentali, attraverso l’opera di un professionista.
Seguono altre differenze. La Confessione è un sacramento istituito da Gesù, non una terapia umana. Il sacerdote agisce nel Nome di Cristo su un fondamento solido e oggettivo, la dottrina di Cristo e della Chiesa, non in nome proprio sulla base di una teoria, di simpatie o di qualsivoglia convenienza. Quanto all’efficacia, solo con la Confessione, rispettando le condizioni previste, si ha la certezza del perdono dei propri peccati, riacquistando la grazia elargitaci con il sacrificio e la resurrezione di Cristo.
Nelle pratiche psicoterapeutiche può verificarsi il non raggiungimento della guarigione anche per un’errata visione antropologica: l’uomo, ai nostri tempi, è visto non come unione di spirito e corpo, intimamente associati per formare una sola natura e una sola persona, bensì come un essere animale con un quoziente intellettivo superiore alla media. Giovanni Paolo II ricordava: «Il confessionale non è e non può essere un’alternativa allo studio dello (…) psicoterapeuta. Né dal sacramento della Penitenza si può attendere la guarigione da situazioni (…) patologiche». Ci sono, come si vede, differenze sostanziali.
Nessun punto di contatto, allora, tra questi mezzi? Non esattamente. È noto, infatti, quanto il benessere dell’anima, il saper dare o ricevere il perdono si riflettano positivamente sullo stato psicofisico agendo nelle più intime profondità (Lc18,26: «Abbi di nuovo la vista. La tua fede ti ha salvato»). Indimenticabili infine le parole dell’Innominato pentito: «eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!».
Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, nr.1422-1484.
Antonio Royo Marin o.p., Teologia della perfezione cristiana, S. Paolo, 1997, par. 516.
Il sacramento della penitenza nei messaggi del sommo pontefice Giovanni Paolo II alla penitenzieria apostolica, Città del Vaticano, 2000, pag. 33.
Dossier: La Confessione
IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 46