15.12.2024

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Considerazioni sulla Rivoluzione Francese
31 Gennaio 2014

Considerazioni sulla Rivoluzione Francese

 

 

 

Un uomo che fa a meno di Dio, uno Stato che diventa totalitario, un odio sfrenato verso la religione cattolica e la monarchia, l’annientamento del passato e il culto della dea ragione: questi i capisaldi dell’evento preso a simbolo della nascita del mondo moderno

 

 

La Rivoluzione francese è il primo radicale tentativo di costruire una società ed una struttura statale nell’orizzonte di quella cultura che si definisce “moderna”.
Capisaldi di questa cultura sono: un uomo “senza Dio”, assolutamente autonomo ed autosufficiente che non ha bisogno di nessun riferimento religioso per conoscere la sua identità, i principi fondamentali del suo comportamento, le regole fondamentali della vita sociale. Si definisce questo mondo culturale anche come laicismo. Padre Cornelio Fabro raccoglieva l’essenza del laicismo in questa formula : “Dio se c’è, non c’entra”.
Il mondo moderno con la Rivoluzione francese ha dimostrato in modo gigantesco, negli sforzi e anche negli orrori, che era possibile creare una società e uno Stato secondo quella ragione illuministica, che è sostanzialmente una ragione scientifico-tecnologica. In particolare lo Stato costituisce l’obiettivo ultimo dello sforzo per razionalizzare la vita dell’uomo nella società.
Lo Stato diviene dunque la realtà che raccoglie tutti i valori razionali, culturali ed etici: diviene dunque il vero fatto che da valore totale alla persona ed alla società. Si può anche dire che la Rivoluzione Francese sostituisce ad uno Stato che riconosce nelle origini del potere una dimensione religiosa della vita, uno Stato che si presenta come capace di totalizzare la società: uno Stato “totalitario”, appunto. È ovvio che quindi non si è trattato di una evoluzione di pezzi della società precedente, richiesta dall’apparire di nuove esigenze, di nuovi problemi, di nuove sfide. La società precedente aveva vissuto momenti di riforma parziale che l’avevano, in qualche modo, adeguata progressivamente alla evoluzione di tempi e problemi.
La Rivoluzione francese invece crea un mondo nuovo: in tanto il mondo nuovo si può costruire se si distrugge il mondo del passato. Il mondo del passato (l’Anqien Regime) è considerato dai rivoluzionari francesi come l’insieme di tutti gli errori teorici e politici, di tutte le ingiustizie personali e sociali, di quella profonda alienazione da cui appunto l’uomo doveva essere liberato per l’esercizio di quello che gli illuministi avevano chiamato “il lume della ragione”. La Rivoluzione francese ha innegabilmente al cuore una forza eversiva del passato: il passato deve essere distrutto, addirittura nella sua consistenza materiale, nella realtà delle sue istituzioni e dei suoi costumi, nelle grandi espressioni culturali, artistiche e poetiche: perché tutto nel passato grida lacrime e sangue e l’uomo invece non deve più soffrire.
La politica, la nuova religione, che pretenderà di imporre a tutti i francesi il culto della dea ragione, è la so.la in grado di garantire “la felicità degli uomini sulla terra” (cfr. “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino”). Ma la tradizione non era un passato, la tradizione era un presente: nella presenza della Chiesa come popolo di Dio presente nel mondo la tradizione segnava la vita della persona e della società, rivelava ancora una capacità di educazione della persona e di fondazione di rapporti culturali e sociali. Per questo motivo, dall’Assemblea degli Stati Generali (1789) fino al regicidio (1793), ed al Terrore giacobino, la Rivoluzione francese assume un volto innegabilmente anti-ecclesiale ed anti-ecclesiastico. L’inizio di questa lotta contro la Chiesa francese è la Costituzione civile del clero (1790). La Chiesa francese, in quanto tende ad essere una struttura della vita sociale ed a proporre una cultura, una morale ed una immagine di società che nascono dalla fede, deve accettare di essere “normata dallo Stato”. Mentre ufficialmente si parla di “separazione della Chiesa dallo stato”, in realtà la Chiesa viene strettamente legata alla struttura giuridica ed amministrativa dello Stato. Per essere Chiesa, la Chiesa francese deve accettare di avere un riconoscimento civile dallo Stato. Così le oltre trecento diocesi francesi vengono ridotte a meno di cento e fatte coincidere con i dipartimenti, le parrocchie vengono forzosamente fatte coincidere con le province: vescovi e parroci vengono eletti dalle assemblee degli aventi diritto al voto (meno dello 0,5% di tutto il popolo francese). Viene spezzato il vincolo di comunione e di dipendenza dal Papa, a cui viene riconosciuto soltanto un primato di onore e non di giurisdizione.
Una infima minoranza del clero francese giura la Costituzione civile e formerà così la chiesa “giurata”; la quasi totalità del clero francese rifiuterà il giuramento (e formerà la cosiddetta “chiesa refrattaria”). Centinaia di migliaia di cattolici francesi scriveranno una delle pagine più fulgide del martirio della Chiesa nei tempi moderni. Giovanni Paolo II canonizzerà questa parte importante del popolo cattolico di Francia, martire, nella varietà delle sue vocazioni: vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, padri e madri di famiglia, anche fanciulli di pochi anni. Sono per noi il segno eloquente e commovente che la missione ecclesiale si svolge sempre nell’orizzonte del martirio. La Rivoluzione insieme alla Chiesa rifiuta la monarchia. Occorre intendersi bene. La monarchia non è anzitutto da considerarsi come una determinata procedura dell’esercizio del potere; la monarchia francese è la testimonianza, al di là della grandezza o della povertà dei singoli monarchi, che la radice dello Stato e del potere è di carattere religioso. Il re di Francia, incoronato nella cattedrale di Reims in una fastosa cerimonia sacramentale ed unto con il crisma delle ordinazioni episcopali, è innanzitutto il padre ed il custode della fede del popolo di Francia e della libertà della Chiesa: il suo potere effettivo di governo è certamente ampiamente condizionato da una struttura di partecipazione del clero e dei nobili e successivamente anche dei più alti esponenti della classe borghese.
“Il re deve morire perché è il re”: così tuonò Robespierre alla Convenzione, durante quel processo che gli storici più seri di oggi sono inclini a considerare più “una farsa” che una cosa seria.
Così dalla convergenza di anti-ecclesialità e di rifiuto della monarchia, tende a nascere, in piena Europa e su suolo francese, il primo esperimento di una struttura politica chiusa in se stessa, che non riconosce nessuna istanza, né superiore a sé, né accanto a sé: quella struttura totalitaria, che a qualche anno dalla solenne Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ha potuto condannare a morte decine di migliaia di francesi solo sulla base di semplici “sospetti” (“la legge dei sospetti”).
La giustizia è una giustizia “giacobina”: è l’inizio di quelle giustizie aggettivate (fascista, nazista, comunista, popolare) che l’ultimo secolo ha tragicamente sperimentato sulla propria pelle e nella devastazione della propria coscienza. La Rivoluzione francese non deve essere, comunque, demonizzata: in certi settori della vita sociale ha segnato degli indubbi progressi nei confronti dì situazioni che potrebbero essere definite “di stagnazione”: ma è indubbio che nelle sue spinte propulsive e nel processo culturale, sociale e politico che ha iniziato, e che la storia ha rigorosamente condotto a compimento, la Rivoluzione francese ha determinato quel totalitarismo politico nel quale l’umanità europea, e non solo, ha rischiato di naufragare.

 

 

 

RICORDA

 

“La persecuzione religiosa subita dai francesi cattolici durante questo periodo [la Rivoluzione francese] non ha equivalenti nella storia se non le grandi persecuzioni del XX secolo. Di tutte la Rivoluzione francese è stata il modello. La persecuzione religiosa non fu solo persecuzione contro i religiosi, ma una rivolta contro il cristianesimo, con il preciso intento di decristianizzare la nazione. La maggioranza dei preti è stata assassinata od espulsa, tutte le chiese sono state chiuse per un anno e mezzo ed il loro patrimonio requisito ed incamerato, 250 mila vandeani sono stati massacrati perché volevano andare alla Messa e restare fedeli a Roma”.
(Pierre Chaunu, in Stefano M. Paci, “Quante idiozie su quegli anni bui”, in 30GIORNI, n. 1, gen. 1987, p. 19).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Jean Dumont, I falsi miti della rivoluzione francese, Effedieffe, Milano 1989.
Pierre Gaxotte, La rivoluzione francese, Mondadori, Milano 1989.
Reynald Secher, II genocidio vandeano, Effedieffe, Milano 1991.
Massimo Introvigne, La Rivoluzione francese: verso un’interpretazione teologica?, in Quaderni di Cristianità, n. 2, Piacenza 1985, pp. 3-26.
Francois Furet, Crìtica della rivoluzione francese, Laterza, Bari-Roma 1980.
Francois Furet – Mona Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani, Milano 1988.

 

 

 

IL TIMONE N. 17 – ANNO IV – Gennaio/Febbraio 2002 – pag. 22 – 23

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