L’equiparazione del matrimonio alle unioni di fatto e a quelle omosessuali presuppone un modo di pensare relativistico e antimetafisico. Se non si insegna l’amore e il rispetto per la realtà creata non si può fermare la deriva nichilistica. Che produce solo disperazione.
Circa cinque anni fa, esattamente il 16 marzo 2000, una risoluzione del Parlamento europeo equiparava il matrimonio alle cosiddette unioni di fatto, comprese quelle omosessuali. È risaputa l'influenza discreta ma reale che i vertici europei hanno nei confronti dei governi nazionali, sia per ragioni economiche sia soprattutto per quella sorta di "potere di influenzare" che alcune realtà esercitano su altre. Capita spesso di sentire dire quelle frasi che non fanno più notizia ma esprimono una mentalità diffusa: "l'ha detto la televisione", "è scritto sui giornali", così come un tempo si diceva "l'ha detto il parroco" oppure "il maestro", senza naturalmente andare troppo per il sottile nel verificare che cosa e quale effettivo grado di competenza possano avere oggi la televisione o i giornali (quali?) così come un tempo il parroco o il maestro. Egualmente, sul piano politico, la cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali nei confronti delle istituzioni europee consiste certamente in una cessione effettiva dal punto di vista legislativo, ma anche e forse soprattutto consiste nel fatto che le risoluzioni europee indicano la "strada" verso cui anche gli Stati membri devono incamminarsi, piaccia o non piaccia. "L'ha detto l'Europa", si sente dire con sempre maggiore frequenza e la smorfia di disapprovazione eventuale di chi pronuncia la frase non impedisce il fatto.
Negli ultimi anni l'Olanda, il Belgio e la Spagna, ma anche la Croazia e ancora prima l'Ungheria si sono uniformati o hanno preceduto la risoluzione europea, ma la pressione che viene condotta dai media, dalle forze politiche, dagli intellettuali progressisti, anche da alcuni governi regionali come quelli di Toscana e Umbria, va tutta in questa direzione. AI contrario, fra il mese di agosto e il 2 novembre 2004, tredici Stati del Nord America hanno votato a grande maggioranza emendamenti alla Costituzione che stabiliscono come l'unico matrimonio che può essere accettato come tale è quello che unisce un uomo e una donna. Ma questa è un'altra storia.
In Europa si sta ripetendo qualcosa di già visto e sperimentato in occasione della legalizzazione del divorzio, dell'aborto, con le significative eccezioni, in Italia, negli ultimi anni, delle leggi sulla droga e sulla fecondazione assistita, che poiché andavano in una direzione opposta alla liberalizzazione hanno suscitato l'ira di tutte le forze antiproibizioniste. Insomma, sta crescendo una pressione sempre più insistente e insinuante, che probabilmente non ha ancora il consenso della maggioranza della popolazione, ma lo sta conquistando grazie anche all'assenza di un'adeguata propaganda a favore della famiglia e del matrimonio.
Ma ciò che vorrei far notare in queste brevi riflessioni è la portata dell'iniziativa in corso, che certamente vuole scardinare il matrimonio e la famiglia come modalità "normale" della vita civile, affermando che non vi è più un solo modello di famiglia. Per raggiungere lo scopo, tuttavia, vi è ancora qualcosa di piùprofondo da scardinare e riguarda l'atteggiamento della persona verso la realtà, verso la natura, verso la Creazione. Soltanto mettendo in discussione questo atteggiamento sarà possibile arrivare a equiparare l'unione di fatto o quella omosessuale al matrimonio. E questo modo di ragionare è quello che sta alla base del pensiero e della conseguente civiltà sviluppatasi in Occidente dai filosofi greci ai Padri della Chiesa, a san Tommaso d'Aquino, sempre insegnato dalla Chiesa cattolica e arrivato fino ai nostri giorni, del quale noi siamo semplici testimoni e ripetitori, per quanto ne siamo capaci. Questo modo di pensare è stato ancora una volta recentemente ricordato da Giovanni Paolo Il con parole che leggerete al termine di questo articolo, tanto preziose ed efficaci che ho voluto trascriverle interamente, anche se sono state pronunciate ad altro proposito rispetto al tema di cui mi sto occupando.
In discussione, appunto, è quel modo di pensare che la rubrica Fides et ratio o gli articoli di Giacomo Samek su questo stesso giornale o gli interventi a proposito del senso comune di mons. Antonio Livi cercano di ricordare e di promuovere. È il primato dell'essere, il riconoscimento che l'uomo incontra una realtà creata, una natura che gli viene offerta con una sua intelligenza, una bellezza e una intrinseca bontà che riflettono la nobiltà del progetto di Colui che tutto questo ha voluto che esistesse. Mi scuso con gli specialisti di filosofia per l'improprietà del linguaggio, ma vorrei che tutti comprendessero l'importanza di questa verità, fondamentale anche per capire il perché è doveroso combattere certe battaglie sul piano morale.
Infatti, non si tratta di apprezzare la maggiore efficacia per l'educazione dei figli, per esempio, della famiglia eterosessuale rispetto a qualunque altro modello; questo, probabilmente ancora per molto tempo, lo riconosceranno anche i nemici della famiglia. Quello che bisogna affermare è che quando l'uomo smette di cercare la verità e il bene nella realtà della Creazione e comincia a ritenere che tutto quello che tecnicamente o volontaristicamente può fare deve essere permesso dallo Stato e dalle diverse autorità sociali, allora per la civiltà comincia l'autodistruzione, la deriva verso la barbarie. Lo Stato deve garantire a ogni persona i diritti che le spettano, comuni a tutti gli altri uomini, ma è auspicabile per il bene comune che riconosca le leggi naturali scritte nel creato. Nel caso in questione, l'autorità politica che riconoscesse la stessa valenza pubblica che attribuisce al matrimonio a unioni che non vogliono avere un rilievo pubblico – come è il caso di chi decide di convivere – o a quelle che prescindono dalla natura che distingue le persone in maschi e femmine, è uno Stato che ha già minato le fondamenta della convivenza civile.
Quando si smette di insegnare l'esistenza delle verità fondamentali anche dove si dovrebbe, come si è fatto per tanto tempo, ci si incammina verso triste traguardo.
RICORDA
«Esiste infatti una profonda logica al processo di scoperta. Gli scienziati si avvicinano alla natura sapendo di affrontare una realtà che non hanno creato, ma ricevuto, una realtà che lentamente si rivela alla loro paziente indagine. Essi percepiscono, spesso solo implicitamente, che la natura contiene un Logos che invita al dialogo. Lo scienziato cerca di porre le giuste domande alla natura, mantenendo al contempo di fronte ad essa un atteggiamento di umile ricettività e perfino di contemplazione. Lo "stupore" che ha dato vita alla prima riflessione filosofica sulla natura e alla scienza stessa, non viene assolutamente meno con le nuove scoperte. Infatti, aumenta costantemente e spesso suscita un timore reverenziale per la distanza che separa la nostra conoscenza della creazione dalla pienezza del suo mistero e della sua grandezza».
(Giovanni Paolo Il, Discorso ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, dell'8 novembre 2004).
BIBLIOGRAFIA
Pontificio Consiglio per la Famiglia, Dichiarazione Les medias a proposito detta Risoluzione del Parlamento Euro-peo del 16 marzo 2000 che equipara la famiglia alle «unioni di fatto», comprese quelle omosessuali, in Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della Santa Sede, 2000, voI. 19, EDB, Bologna2004, pp. 60-63.
IL TIMONE – N. 39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 58 – 59