Un modo di aiutare le famiglie con figli al tempo dell’antica Roma. Per garantire la crescita e favorire l’incremento della popolazione
Tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del secolo successivo, al tempo dell’imperatore Traiano (98-117), l’impero romano era travagliato da una grave crisi sociale. L’indigenza era molto diffusa. Questo problema era andato aggravandosi lungo tutto l’arco dell’età repubblicana e una delle ragioni era stata la progressiva scomparsa della piccola proprietà fondiaria (Roma ebbe sempre un esercito cittadino e se gli uomini combattevano nessuno lavorava la terra). Fu questa una delle ragioni dell’incremento vertiginoso della plebe urbana (al tempo di Augusto la popolazione di Roma arrivava a circa un milione di individui) e della povertà dilagante, con la parallela crescita del latifondo, naturale conseguenza dell’abbandono della terra da parte dei piccoli proprietari fondiari. Inoltre la mano d’opera servile, a basso costo, aveva ridotto le opportunità di lavoro per gli uomini liberi.
In precedenza, verso la fine del II secolo a.C., per attenuare la miseria e consentire la sopravvivenza delle molte migliaia di poveri, il tribuno della plebe Gaio Gracco, che aveva proposto una riforma agraria come prima di lui aveva fatto il fratello Tiberio (la riforma fu parzialmente applicata ma venne cancellata nel corso di una diecina d’anni), aveva fatto ricorso alla distribuzione gratuita di grano a spese dello Stato, con il conseguente incremento di coloro che andavano ad ingrossare il numero dei nullatenenti, proletari e senza lavoro, da una parte, e il malumore dei benpensanti preoccupati dei costi eccessivi del welfare, dall’altra. Alcuni provvedimenti di carattere locale e temporaneo erano operati come gesto di “evergetismo” (beneficenza, ma anche interventi sussidiari rispetto allo Stato) che andò diffondendosi da Augusto in poi.
Un benefattore del tutto particolare, di manica larga e di ampie vedute, fu Plinio il Giovane, contemporaneo di Traiano, del quale fu collaboratore prezioso e geniale. Di fronte alla gravità della situazione sociale (ai problemi appena enumerati si devono aggiungere il progressivo decadimento dell’agricoltura in Italia, con una diminuzione della produzione agricola e la ridotta crescita demografica), Traiano escogitò un modo di trasferire risorse finanziarie dai proprietari fondiari alle famiglie indigenti, in particolare a coloro che non avevano mezzi per mantenere la prole (ciò era strettamente connesso con la povertà e la mancanza di lavoro). L’imperatore, perfezionando la politica del suo predecessore, Cocceio Nerva (96-98), istituì gli alimenta, che conosciamo bene grazie a due importanti iscrizioni, una proveniente dall’antica Veleia (presso l’odierna Piacenza) e l’altra dal Sannio, non lontano da Benevento. Il sistema escogitato prevedeva che ai proprietari fondiari fosse imposta una obbligazione inestinguibile al tasso annuo di interesse del 5%, da destinare all’alimentazione dei figli dei non abbienti. Ai maschi sarebbe stato concesso un sussidio di 16 sesterzi al mese fino all’età di sedici anni, alle femmine di 12 sesterzi fino all’età di quattordici (oggi si parlerebbe di «assegni familiari», ma quelli di allora erano assai più consistenti). Funzionari che si occupavano della manutenzione delle strade e che quindi percorrevano lunghi tratti della penisola italica furono incaricati di controllare e di amministrare le rendite provenienti da questo prestito obbligato (non furono istituiti nuovi funzionari destinati a questa incombenza per evitare di incrementare la burocrazia). La singolarità del provvedimento consisteva soprattutto in questo: il prestito non poteva essere rifiutato ed era a fondo perduto, per cui esso non doveva (e non poteva) essere rimborsato, ma neppure veniva estinto il debito, che anzi era ereditario e si trasmetteva col cambio del proprietario. Se non c’erano eredi la porzione di terra veniva incamerata dallo Stato romano e confluiva nell’agro pubblico (il demanio). Sullo stesso appezzamento poteva essere accesa più di una ipoteca. Questo provvedimento conseguiva alcuni risultati, oltre a quello di provvedere all’alimentazione dei figli di famiglie indigenti: il primo era un vincolo pressoché definitivo dei proprietari al loro fondo: infatti ben pochi avrebbero acquistato un terreno gravato da una o più ipoteche; il valore della terra – e quindi del bene considerato nell’antichità quello più grande – diminuiva in maniera irreversibile; i proprietari fondiari, obbligati ad accettare il prestito erogato dallo Stato e dovendo corrispondere un interesse del 5%, dovevano per necessità far rendere la terra più del tasso d’interesse, coltivandola con più cura e facendone una attività primaria fra le varie attività economiche; in questo modo la produzione aumentava e si generava un meccanismo di sana concorrenza. Lo Stato romano, le cui entrate erano imponenti, disponeva di una liquidità elevata per poter erogare mutui a fondo perduto e si preferì saggiamente intervenire con provvedimenti strutturali come l’erogazione di mutui piuttosto che proseguire sulla strada già percorsa secoli prima di una distribuzione alimentare che rappresentava un onere assai pesante per lo Stato, e ogni volta si era daccapo.
È evidente che l’intervento dei privati era obbligato e difficilmente sarebbe stato spontaneo a quelle condizioni, per cui non si può parlare di sussidiarietà tout court. Invece, così facendo, almeno i problemi immediati, che come abbiamo visto non erano solo demografici, trovavano una soluzione accettabile; inoltre, anche le famiglie meno abbienti erano incoraggiate a procreare.
Questo intervento dello Stato, prolungatosi nel tempo almeno fino al principio del III secolo (si trattò quindi di un provvedimento di successo, di durata pari o superiore ad un secolo, considerando che i documenti epigrafici che hanno restituito le notizie sul provvedimento risalgono agli anni 106-114 d.C.) dimostra la lungimiranza del governo di Traiano, il coinvolgimento di strati di popolazione più benestante nei confronti dei meno fortunati e la ricerca di una soluzione razionale e oculata di uno dei problemi più seri con i quali aveva dovuto misurarsi per secoli lo Stato romano: la bassa crescita demografica.
IL TIMONE N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 28 – 29
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