Può sembrare esagerato, cominciare questo percorso storico dall’epoca apostolica. Alcuni obietteranno che a quel tempo non esisteva una Liturgia organizzata e codificata e che difficilmente si può parlare allora di “riforma” liturgica, quanto piuttosto di “formazione” della Liturgia.
Cosciente di ciò, so che in questo caso più che di “riforma” bisognerebbe parlare, forse, di accomodamento. Ma è certo che la nascente Chiesa vive i cambiamenti che si applicano all’interno delle sue celebrazioni, in quei tempi, come un’autentica “riforma liturgica”. In un certo senso, nel campo celebrativo questo adattamento segna il passaggio di un gruppo nato nel seno del popolo ebreo ad una Chiesa cattolica, universale e missionaria.
Mi soffermo sul cambiamento più visibile e fondamentale, quello della celebrazione del Sacramento dell’Altare.
Questo Sacramento prende come punto di partenza rituale l’ultima cena pasquale celebrata da Gesù Cristo con gli Apostoli, prima della Passione. I quattro evangelisti e san Paolo danno notizia di questo fatto. In quella memorabile Cena, il Signore introduce vari cambiamenti sul tradizionale rito della Pasqua degli ebrei, così istituisce il Sacramento e dà origine ad una nuova ritualità che, attecchita sulle tradizioni liturgiche di Israele, le supera, portandole alla “pienezza”.
Di ciò offre fedele testimonianza la Scrittura: i Sinottici narrano sommariamente di una cena giudaica, perché (evidentemente) già conosciuta, per incentrarsi sulla novità cristiana, ovvero sul Sacramento. E la prima di queste novità più significative sono le parole con le quali il Maestro accompagna il gesto, realizzato dopo lo “spezzare il pane”, per darne ad ognuno dei commensali un pezzo per cominciare a cenare.
I primi cristiani cominciano a chiamare la loro celebrazione sacramentale “Frazione del Pane”. Essi, specialmente a Gerusalemme, si abituano a mantenere le tradizioni oranti degli ebrei osservanti. Accorrono alle ore prescritte a pregare nel Tempio e partecipano ai culti sinagogali, e di questo ci sono abbondanti prove nel Nuovo Testamento. Il sabato però, dopo aver partecipato al culto delle letture, salmi e preghiere della Sinagoga, quando col cadere dal pomeriggio cominciava il primo giorno della settimana, si ritirano nelle proprie case per “Spezzare il Pane” intorno agli Apostoli.
Ben presto, due eventi colpiscono fortemente le comunità giudeo- cristiane: da un lato, la persecuzione ebrea contro di esse, che aumenta a partire dalla lapidazione di S. Stefano e che raggiunge il suo apice sotto la direzione di Saulo; d’altro lato, dopo la conversione di Saulo, la crescente introduzione del cristianesimo nella diaspora e tra i gentili.
La prima circostanza provoca in larga misura l’abbandono dell’abitudine di andare alla Sinagoga e la nascita della Liturgia della Parola unita alla Frazione del Pane realizzata nelle case. Così, la prima parte della Messa odierna conserva forti influssi sinagogali. A sua volta, ciò permise una più sistematica e costante rilettura cristiana di tutto l’Antico Testamento e la gestazione graduale degli scritti del Nuovo Testamento.
Più marcato fu il secondo cambiamento.
Gli ebrei avevano una lunga tradizione di culto domestico, gioioso ma parco e pio, intorno ai cibi, e in modo singolare per la Cena Pasquale. Invece, tra i pagani del mondo greco-latino, il senso delle cene sociali era molto diverso: erano il momento per mostrare ricchezza e ceto sociale dell’anfitrione ed erano occasione per godere dei sensi, mangiando e bevendo senza misura e lasciandosi dopo trasportare ad altre velleità. L’unico senso religioso che questi banchetti – specialmente le cene – potevano avere per i pagani era che il mangiare carni di animali sacrificati ad “idoli” si associava con il culto della divinità in questione.
Quando san Paolo fa crescere comunità cristiane in città importanti come Corinto, sorgono problemi. Come nel caso delle pratiche legali giudee, l’apostolo Paolo porta la questione non davanti ai “sapienti” bensì innanzi agli “Apostoli anteriori a lui”, indipendentemente da quello che erano stati prima o avessero cessato d fare, vale a dire innanzi a uomini che erano stati pescatori o (tutt’al più) esattori di tributi, non certo maestri della Legge o sacerdoti giudei.
Quello che sappiamo è che, cominciando dalle comunità paoline, il rito cristiano della “Frazione” del Pane si va gradualmente separando da quello che era la cena di comunità, una refezione di carattere religioso-sociale.
Così, gradualmente, nelle comunità cristiane guadagna terreno la prassi di iniziare leggendo la Legge ed i Profeti, al modo sinagogale, per seguire con la lettura di scritti o lettere degli Apostoli e poi ascoltare l’interpretazione cristiana dei testi veterotestamentari letti, così come gli insegnamenti e i fatti della vita di Cristo, trasmessi dalla bocca degli Apostoli o dei loro immediati collaboratori nella missione.
Poi si procede ad offrire suppliche e preci, al modo sinagogale, per tutte le necessità, si presentano pane, vino ed acqua e si realizza la “Frazione” del Pane tra canti e lodi a Dio, per finire molte volte con una colletta in favore dei poveri. (2 Continua)
IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 47