Impressionante calo nella nazione iberica di antichi Ordini religiosi. Si accorpano province perché stanno scomparendo. Ma all’orizzonte si intravvedono nuove realtà. Così la speranza non muore…
Il valente blog Messa in Latino rilanciava a gennaio la notizia di un imminente accorpamento di province dei più importanti ordini religiosi in Spagna, a causa del loro inarrestabile prosciugamento. A fare impressione sono soprattutto gli ordini che sono nati in terra iberica e che per secoli sono stati pilastri della Chiesa non solo locale. A partire dai Domenicani: se nel 2016 celebreranno l’800° anniversario di fondazione, contemporaneamente le provincie domenicane di Spagna, Aragona, Andalusia, Portogallo e il Vicariato del Santo Rosario saranno unificate. Stessa sorte per la Compagnia di Gesù: il prossimo anno le province di Aragona, Andalusia, Castiglia, Loyola e Tarragona verranno fuse. Non vengono risparmiati nemmeno i figli di santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce: nel 2014 le province di Navarra, Burgos, Castiglia, Andalusia, Aragona, Valencia, Catalogna e Portogallo diventeranno un’unica entità. E a proposito dei Carmelitani scalzi, alcuni numeri danno l’idea del declino: nel 2010 c’erano 433 religiosi in tutta la Spagna, di cui 230 erano sopra i 60 anni (92 sopra gli 80) e 203 erano sotto i 60 anni (di cui solo 25 sotto i 40 anni). Il che significa, approssimativamente, che tra vent’anni i Carmelitani nella loro terra d’elezione potrebbero essere circa 200 con un’età media vicina agli 80 anni e solo qualche decina al di sotto dei 60: una sopravvivenza residuale.
Quello degli ordini religiosi storici è in realtà un collasso annunciato da tempo. Lo pseudo “spirito del Concilio” che con il pontificato di Giovanni Paolo II ha cominciato a perdere vigore nel clero diocesano spagnolo, lasciando un certo spazio per il recupero di un equilibrio cattolico, ha trovato i suoi alfieri più irriducibili proprio tra frati e suore. Una scelta “identitaria” catastrofica – che ha avuto come contrassegno formale la repulsione per l’abito religioso, scomparso dalla stragrande maggioranza dei conventi maschili e femminili – alimentata negli anni ’70 e ’80 anche dalle suggestioni della teologia della liberazione affermatasi in America Latina e che ha trovato in Spagna, per gli ovvi legami culturali e linguistici, forse la principale cassa di risonanza. Ma poiché lo Spirito, quello vero, è più forte degli abbagli e delle infedeltà degli uomini di Chiesa, vale la pena segnalare alcuni fenomeni in controtendenza che, seppur piccoli, lasciano intravvedere l’aspetto più incoraggiante del futuro del cattolicesimo spagnolo: un futuro da “minoranza creativa”, per usare l’espressione cara a Ratzinger.
Vescovi, laici e…
Non sarebbero poche le cose da dire per quanto riguarda le iniziative laicali, fiorite in un mondo che si interseca con i movimenti, primo fra tutti il Cammino Neocatecumenale, e da loro ha trovato nuova linfa. Come la piattaforma civica HazteOir (fatti sentire) o l’attivissimo Forum delle Famiglie, due realtà che sono state tra i motori della varie mobilitazioni in difesa della vita e della famiglia negli anni del governo Zapatero.
Anche per quanto riguarda la nuova generazione di vescovi, non sono poche le figure che meriterebbero una digressione. Solo due esempi: Xavier Novell, 44 anni, vescovo di Solsona, in Catalogna, una delle diocesi e una delle regioni più secolarizzate del Paese, è partito da seminarista su posizioni progressiste, ha vissuto una “conversione romana” durante gli studi teologici alla Pontificia Università Gregoriana, ed è tornato in patria deciso ad intraprendere una pastorale svecchiata da anacronismi e fisime curiali. Ha investito in particolare sulla formazione dei giovani, teologica e liturgica in primis, per renderli attori di un apostolato non solo parolaio. Nel gennaio 2012 è stato insieme a Romá Casanova, vescovo della vicina diocesi catalana di Vic, e Dominique Rey, vescovo di Tolone in Francia, tra i protagonisti di un incontro sulla nuova evangelizzazione (tra i relatori era presente anche don Andrea Brugnoli, delle Sentinelle del Mattino) che con 500 partecipanti da tutto il Paese ha lanciato un segnale forte alla Conferenza episcopale spagnola.
Un altro vescovo che si è segnalato per carattere e qualità pastorali è José Ignacio Munilla, classe 1961, pastore prima a Palencia e dal 2009 a San Sebastian, nei Paesi Baschi, l’altra regione che contende alla Catalogna il primato nelle statistiche sulla secolarizzazione e con un clero segnato da spinte anti-nazionaliste oltre che anti- romane. Per avere un’idea del clima che lì si respira, basti dire che quando Munilla ha fatto il suo ingresso a San Sebastian ha avuto come accoglienza una lettera firmata da 131 sacerdoti, tra cui tutti gli arcipreti e 85 dei 110 parroci della diocesi, che lamentavano come il nuovo vescovo «non fosse in alcun modo la persona adatta per svolgere il ministero episcopale nella nostra diocesi». Oltre a un seguito di dimissioni da consigli pastorali e da incarichi di curia. L’accusa verso il nuovo arrivato era di essere troppo conservatore e troppo nazionalista, insomma un agente della normalizzazione della Chiesa “indipendentista” basca voluto dal Vaticano. Munilla non si è lasciato intimorire e in tre anni, affrontando di petto anche i settori ecclesiali ultrà, ha affermato la sua autorità e iniziato un lavoro di recupero di una situazione incancrenitasi nei decenni.
…nuove realtà
Poiché però si partiva in questo articolo dal collasso degli ordini religiosi, meritano di essere evidenziati alcuni casi di reazione alla morìa di vocazioni proprio in questo ambito, specificamente quello delle religiose. Munilla, nato nei Paesi Baschi, si è tuttavia formato in quella che per tanti anni è stata un’isola felice in una Chiesa spagnola frastornata, ossia la diocesi di Toledo. E non a caso da Toledo ha preso il via, silenziosamente, una splendida storia.
Negli anni ’70 la guida della Compagnia di Gesù da parte del generale Pedro Arrupe creò molte tensioni fra i “novatori” e i Gesuiti della vecchia guardia, i quali ritenevano che l’ordine si fosse incamminato su una via di tradimento della propria missione e della propria storia. In Spagna la situazione divenne critica a tal punto che un gruppo di Gesuiti chiese a Paolo VI, nel 1974, la possibilità di formare una provincia autonoma alla dirette dipendenze da Roma. Sarebbe stata di fatto una scissione, con ricadute enormi – e probabilmente benefiche – per la Compagnia e per la Chiesa. Paolo VI fu dissuaso dall’accettare la proposta. Al gesuita Luis María Mendizábal, fra coloro che cercarono di creare una provincia “ignaziana” e di smarcarsi da Arrupe, toccò un esilio in patria: riparò a Toledo, sotto la protezione del cardinale González Martín, suo amico ed estimatore. Lì, nella cittadina di Oropesa, lontano dai riflettori, ebbe l’ispirazione di fondare un ordine di suore: la Fraternità riparatrice nel cuore di Cristo sacerdote. Una realtà disciplinata e austera, che prese come modello santa Teresa d’Avila e la sua stringente riforma della vita carmelitana. Il seme fu gettato nel 1977 e da allora la pianta è cresciuta, lentamente, tanto che oggi conta oltre 100 religiose, chiamate le “suore azzurre” dal colore dell’abito. Accanto a loro sono nati anche una fraternità sacerdotale e il movimento di apostolato laicale Getsemani.
Un altro frutto della diocesi di Toledo è quello che ha visto protagoniste 6 suore che nel 1999 hanno lasciato il monastero di agostiniane contemplative di Talavera de la Reina per dedicarsi a una vita attiva. Dopo un periodo in cerca di un’identità nuova, trascorso in parte anche nell’eremo di Lecceto in provincia di Siena, sono tornate in Spagna e nel 2005 hanno fondato la Comunità della Conversione che, ispirandosi alla conversione di sant’Agostino, ha come fine l’annuncio ai lontani. Oggi sono una quarantina, giovanissime, e hanno da poco aperto una casa a Carrion de Los Condes, in Castiglia, una delle tappe obbligate del cammino di Santiago, per intercettare i bisogni e il cuore aperto delle migliaia di pellegrini che da lì transitano ogni anno.
Ma il caso che ha destato più impressione, recentemente, resta il cosiddetto “miracolo di Lerma” – dal nome del paesino vicino a Burgos, sempre in Castiglia – e di cui si è parlato in Italia in occasione dell’ultima giornata mondiale della gioventù. Si tratta delle circa 200 consacrate, di età media inferiore ai 30 anni, che affollano il monastero dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo. Una comunità nata attorno al carisma di madre Verónica Berzosa, 47 anni, e grazie a decine di vocazioni provenienti da alcuni movimenti, in particolare dal Cammino Neocatecumenale. Nate come clarisse, nel dicembre 2010 sono state riconosciute come nuovo istituto di diritto pontificio chiamato “Iesu communio”. Suore di vita attiva, seppur caratterizzate da una preghiera intensa, hanno declinato il carisma originario in uno originale votato alla missione e alla nuova evangelizzazione. E come le suore di padre Mendizábal, anche le suore di Lerma hanno scelto un abito di colore azzurro, fatto per di più con il tessuto resistente dei jeans. Quando si dice una stoffa mariana…
IL TIMONE N. 121 – ANNO XV – Marzo 2013 – pag. 28 – 29
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