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12.12.2024

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Dalle fiamme di Parigi al “rogo” dei cristiani
31 Gennaio 2014

Dalle fiamme di Parigi al “rogo” dei cristiani

 

 

 

La lezione d’Oltralpe, le polemiche sulla legalità e quel clima di intolleranza che sa di “già visto”

C’è un legame tra le notti di fuoco delle periferie francesi, i lavavetri di Bologna scacciati da Cofferati e la candidatura di un ex prefettoa sindaco di Milano: l’ordine pubblico eretto a idolo. Una strategia cieca quando, nello stesso tempo, forze superlaiciste vecchie e nuove puntano a far tacere – anche con l’oltraggioe l’intimidazione, come è successo a Torino – la voce e l’esperienza di chi, come i cattolici, può dare un’anima alla politica e alla convivenza civile.

Provate a immaginare questa rapida sequenza cinematografica. All’inizio, le scene drammatiche dei roghi che hanno devastato, a partire dalla fine di ottobre e per diverse settimane, le periferie degradate di Parigi e di altre città francesi, con migliaia di automobili date alle fiamme dalle bande metropolitane, formate in gran parte da giovani immigrati musulmani di terza generazione. Che non si concepiscono più legati alla terra d’origine dei loro nonni e genitori, ma non si sentono nemmeno francesi, attratti e allo stesso tempo respinti da un Paese rigorosamente laicista e statalista, che non riesce ad accoglierli e ad offrire loro alcun punto di riferimento in termini di valori e di speranze.
Poi, a seguire, spostiamoci in un incrocio del centro di Bologna, con un lavavetri imberbe fermo al semaforo, a cui un vigile sta intimando di andarsene: per Sergio Cofferati, il sindaco “rosso” della città soprannominato Tex Willer, quel ragazzo non è altro che un malandrino da allontanare con la forza perché offende il decoro del “grasso” e borghese capoluogo emiliano. Dissolvenza sul volto accigliato dell’ex capo della Cgil comunista e ci ritroviamo a Milano, alla conferenza stampa di presentazione della candidatura di Bruno Ferrante a sindaco della città meneghina, sotto le bandiere variopinte dell’Ulivo & dintorni. Niente da dire sul personaggio in sé, probabilmente un’ottima persona. Peccato che fino a qualche ora prima fosse il prefetto – cioè un uomo scelto da Roma per rappresentare lo Stato – della stessa realtà urbana che ora intende guidare con un mandato popolare, dopo il passaggio, inutile ma diventato ormai rituale delle cosiddette “primarie”, che si terranno a gennaio 2006. Circostanza inedita, questo affacciarsi dei sindaci-sceriffi nell’area politica che si definisce progressista: residui ottocenteschi in pieno XXI secolo spruzzati di Far West, quasi che a un certo arco di forze non resti altro da fare che affidarsi appunto ai rappresentanti del sindacato e delle istituzioni, per poter governare con qualche probabilità di successo negli enti locali. Insomma, sindaci di sinistra con un (presunto) programma di destra tutto ordine e legalità, per avere il consenso della gente che chiede innanzitutto sicurezza. Ma niente di più.
Cambiamo ancora una volta scenario. Il nostro film si sposta ora in un’altra metropoli italiana, Torino. In questo caso, di sindaci sceriffi neppure l’ombra, dal momento che gli inqualificabili episodi di intolleranza anticattolica che sono accaduti nel capoluogo piemontese (una chiesa profanata e scritte violente e offensive sui muri dell’Università), non solo sono stati ampiamente sottovalutati da chi doveva vigilare e intervenire, ma sono stati praticamente ignorati dagli organi di stampa, prontissimi invece a far da cassa di risonanza quando episodi simili, o anche meno gravi, prendono altre direzioni. Vale la pena soffermarsi un po’ di più su quanto accaduto nella città sabauda, anche per compiere una preziosa opera di informazione a beneficio dei nostri lettori.
Sabato 22 ottobre, durante la celebrazione della Messa serale, un centinaio di manifestanti staccatisi da un corteo no global assalgono la chiesa del Carmine di Torino: un petardo è fatto esplodere all’interno, suscitando il panico tra le persone che vi sono raccolte in preghiera, mentre decine di scalmanati (scusate la brutalità dell’esposizione, ma i fatti vanno raccontati, non censurati) urinano sulla facciata dell’edificio sacro in segno di disprezzo. Infine la bella facciata settecentesca è imbrattata con scritte ingiuriose del tipo “Nazi-Ratzinger” e “Con le budella dei preti impiccheremo Pisanu”. Il tutto, pare, tra l’indifferenza dei poliziotti che scortano la manifestazione. Poche ore dopo, nella notte tra quello stesso sabato 22 ottobre e domenica 23, sempre a Torino, durante l’occupazione dell’Università di Palazzo Nuovo, le bacheche degli studenti sono devastate e “pasticciate” da un gruppo di giovani che manifesta contro la riforma scolastica. Compaiono scritte come “Abortiamo la Chiesa”, “Viva la pillola abortiva” (Torino è la città dove si sta “sperimentando” la famigerata RU486); e frasi ancora più offensive verso Dio, il Papa, il cardinal Ruini, l’Opus Dei e don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione.
Goliardate? No. Semplicemente la perfetta e tempestiva esecuzione di una strategia che intende colpire la Chiesa e la comunità cattolica, e i cui mandanti morali sono quegli uomini politici, soprattutto di area radical-libertaria e socialista-laicista, che hanno intrapreso la battaglia frontale per il superamento del Concordato, l’abolizione dei “privilegi” della Chiesa cattolica e per mettere il bavaglio ai vescovi e impedire loro di intervenire, come hanno sempre fatto, per promuovere il bene comune e a tutela del benessere del popolo.
La presenza e l’opera dei seguaci di Cristo nel mondo, soprattutto dopo l’invito del Concilio a testimoniare la propria fede condividendo con carità il bisogno degli altri, è un fatto indigesto.
Sia nella lontana Indonesia, dove tre studentesse sono state decapitate da fondamentalisti islamici solo perché cristiane, che, ormai, nella nostra Europa. Tornano inquietanti rigurgiti di anticlericalismo e laicismo esasperato. Peccato che quella presenza e quell’opera, come il lievito nella pasta, possono dare un contributo fondamentale per un incontro fecondo e non conflittuale tra culture diverse. Nella Francia dei lumi invasa dai figli di Allah e nell’Italia dell’assistenzialismo, le politiche di protezione sociale non bastano più. Servono donne e uomini veri che s’incontrino per quello che sono, con la loro storia e i loro valori, confrontandosi e ponendo le basi per il reciproco rispetto e una convivenza pacifica. Negando identità e spazi di espressione si nega questa possibilità di incontro.
Non è casuale che le ragazze francesi di credo islamico, cui nelle scuole pubbliche è proibito indossare il velo (ma a quelle cristiane è parimenti impedito di indossare le croci), quelle ragazze si iscrivano massicciamente alle scuole cattoliche, che si mostrano più aperte e tolleranti. E non è un caso, venendo a noi e rimanendo nell’esempio dell’educazione, ma non solo, che i più riusciti esempi di convivenza e integrazione anche in Italia si registrino negli istituti non statali di matrice cattolica. E lo stesso discorso vale per il mondo del lavoro, della cooperazione, ecc.
In conclusione, parafrasando e mescolando – ci si perdoni l’ardire – due celebri frasi, pronunciate rispettivamente da Adolf Hitler e da Enrico IV re di Navarra: se Parigi brucia, val bene una messa. Ovvero: di fronte ai gravissimi disordini, alle ribellioni sociali, all’odio e all’inimicizia che sempre più caratterizzano le nostre periferie urbane – non solo quelle francesi – perché frapporre ostacoli alla possibilità di vivere quell’esperienza unica di amicizia e di fraternità che propone la Chiesa? Perché pretendere di far tacere i vescovi, sinceramente preoccupati di mettere al primo posto la dignità dell’uomo, a qualunque religione o gruppo sociale appartenga, come ben hanno fatto quelli francesi, riuniti a Lourdes, nei giorni più caldi della rivolta?

 

 

IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 10 – 11
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