Nei giorni scorsi, cercando una scheda dove avevo appuntato vecchie letture, mi sono tornate in mano le cartelle dove ho conservato il materiale non utilizzato per le mie Ipotesi su Maria. Un libro, questo, uscito nel 2005 con ben cinquanta capitoli per un totale di 546pagine. Non potevo mettere a troppa dura prova sia l’editore (quanto più un libro è “spesso”, tanto più – ovviamente – è costoso) sia il lettore, necessariamente attento anch’egli alla spesa e, soprattutto, intimidito da un numero esorbitante di pagine. Oggi, soprattutto, con le “distrazioni” che giungono da ogni parte e che tagliano i tempi destinati alla lettura. Insomma, con rammarico, in quelle Ipotesi ho dovuto lasciare da parte molte altre cose che avrei voluto farvi confluire. Del resto, lo avevo messo in conto, verificando – durante il lungo lavoro preparatorio – la verità del vecchio adagio: de Maria, numquam satis, di Maria non si potrà mai dire abbastanza. Questo è uno dei maggiori segni di credibilità della mariologia: nei pochi cenni evangelici che riguardano la Theotòkos il tempo e la riflessione hanno scoperto, e continuano a scoprire, sempre nuove verità e misteri.
Comunque, sfogliando con interesse gli appunti ritrovati che conservavo in quelle cartelline (la gioia di palpeggiare vecchia carta, invece di leggere testi sullo schermo, impedendoci il gusto del tatto…), sfogliandoli, appunto, mi è venuto in mente che avrei potuto farne partecipi i lettori del Timone, utilizzandoli per questa rubrica. Contenti – li conosco ormai bene – i lettori, contento io pure che parlo sempre volentieri di Maria, anche perché la sua figura ha tra l’altro una valenza fortemente e direttamente “apologetica”. Lo è, innanzitutto, nella difesa della fede ad intra, nei confronti cioè di una teologia ammannita talvolta su cattedre “cattoliche” che, scoprendo dopo cinque secoli la Riforma e rifiutando di considerarne gli esiti disastrosi, vorrebbe ridurla da Madre della Chiesa (come la proclamò solennemente in Concilio Paolo VI) a semplice “membro della Chiesa”. Invece che “pregare Maria”, dovremmo, a sentir loro, limitarci a “pregare con Maria”. È la teologia che vorrebbe “rileggere” – sinonimo, per molti, di dissolvere – gli invisi dogmi che la riguardano e che non nasconde il fastidio per la devozione popolare, a cominciare da pellegrinaggi e santuari. Dimenticando, tra l’altro, che proprio i luoghi di apparizione mariana sono stati i soli a non registrare flessioni, anzi ad aumentare i frequentatori, in quella crisi postconciliare che in fondo non è ancora del tutto conclusa.
La “Madonna”, la “mia Signora”, come sempre l’ha chiamata e la chiama l’amore del popolo, ha un ruolo apologetico decisivo anche perché (è una delle tesi centrali di Ipotesi su Maria), la mariologia non è altro che un ramo della cristologia: le verità che su di lei proclama la Chiesa non sono, in realtà, per lei, bensì per il Cristo. Laddove non è dato alla Madre ciò che le compete, presto anche il Figlio si spoglia della sua gloria e della sua grandezza, prima o poi l’Incarnazione è giudicata un’affermazione ingenua, anch’essa da “demitizzare”, e il cristianesimo scivola verso l’arianesimo, diventando una morale, un umanesimo, una filantropia. Se non una bella favola orientale. Com’è puntualmente avvenuto nelle comunità protestanti nate dalla Riforma del XVI secolo, ridotte ormai da almeno un secolo a rincorrere le mode culturali e sociali via via egemoni per sacralizzarle con qualche versetto biblico staccato dal contesto. Proclamando di voler togliere alla Madre per ridare al Figlio, hanno finito per perdere entrambi. Insomma, per chi è attento alla difesa di quella fede che (per dirla con Benedetto XVI) «sembra spegnersi come una candela che non trova più alimento» ed è consapevole che l’alimento, purtroppo, spesso è sottratto da certi “cattolici adulti”, il ritorno a Maria è una indispensabile reazione apologetica Non dimenticando mai l’antica antifona: «Tu sola hai distrutto tutte le eresie nell’universo mondo». Per dirla con le parole di san Bernardo da Chiaravalle, il grande doctor marianus: «Finché pensi a lei non puoi errare. Finché segui lei non puoi deviare». Ma la Madonna è, ovviamente, una realtà “apologetica” anche nei confronti degli avversari espliciti della fede, nei confronti dei polemisti anticristiani: basta riandare alla avversione tenace e feroce verso quei santuari approvati dalla Chiesa che i clericali “aggiornati” sopportano con fastidio ma rassegnati, non potendo sopprimerli, ma che gli increduli di ogni tipo vorrebbero chiudere tout court. Si pensi che alla fine dell’Ottocento, e poi ancora negli anni Trenta del secolo scorso, il Parlamento della massonica Terza repubblica francese discusse seriamente se emanare un decreto per la chiusura di Lourdes “per ragioni sanitarie”, visto il pericolo di contagio per l’assembramento di tanti malati. Più volte, nello stesso Parlamento, ci furono interrogazioni per arrivare a quella chiusura “per ragioni di ordine pubblico”: anche se la folla era del tutto pacifica e se mai c’erano stati problemi per la gendarmeria dei Pirenei, la turba stessa di quei “superstiziosi” minacciava la stabilità, la dignità, l’immagine internazionale della Francia repubblicana, democratica, razionalista. Si pensi, ancora, all’odio del Portogallo e del Messico massonici verso Fatima e Guadalupe o l’accanimento con cui, durante la guerra civile spagnola, comunisti ed anarchici tentarono di sfondare le difese attorno a Saragozza con lo scopo primario di incendiare El Pilar, il maggiore santuario mariano della nazione. Nel diario di guerra di quel Pietro Nenni, ancora onorato da qualcuno e al quale sono dedicate vie, piazze, scuole, si legge della sua amara delusione: volontario con le sinistre iberiche, il leader dei socialisti italiani passò lunghe settimane nelle trincee che circondavano la capitale aragonese e scrisse del desiderio feroce – eppur alla fine, grazie a Dio, frustrato – di distruzione radicale nel vedere in lontananza le cupole e le torri della grande basilica, così vicina eppure così irraggiungibile. Si pensi al gusto con cui il giovane generale Bonaparte fece spogliare interamente il santuario di Loreto, non solo per avidità ma anche – anzi soprattutto, come disse egli stesso – in spregio all’“idolo”, come chiamava la Madonna nera lì venerata.
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Insomma, non ho bisogno di cercare pretesti per giustificare il mio desiderio di aprire qui un nuovo spazio mariano, dopo quello dedicato a Lourdes in occasione dei 150 anni dalle apparizioni. Anzi, giusto a questo proposito c’è una primizia per i lettori che, generosamente, hanno voluto dirmi che avevano gradito quelle puntate: il meglio di quanto pubblicato su Bernadette e dintorni, lo troveranno, assieme ovviamente a molto altro, nel libro che, a Dio piacendo, conto di pubblicare entro questo 2011. Un altro libro su Lourdes? si chiederanno in molti. E non avranno torto. In effetti, pare che, solo in francese, le opere – grandi e piccole, ambiziose o popolari – su quanto avvenuto alla grotta di Massabielle siano più di cinquemila e, per giunta, in continuo aumento. Innumerevole, poi, quanto stampato in altre lingue, in tutti gli idiomi del mondo. Che cosa dire, dunque, di nuovo, di non risaputo, di non raccontato infinite altre volte? Ebbene, questa è proprio la domanda che mi ha accompagnato nei molti anni di ricerca. In precedenza, in quanto ho scritto su Maria, avevo cercato temi ed episodi poco o per nulla frequentati. A cominciare da quel Gran Milagro, quell’inaudito reimpianto di una gamba avvenuto nel marzo del 1640 nel villaggio aragonese di Calanda, per intercessione di quella Vergine del Pilar cui sopra ho accennato. Ebbene, dopo oltre tre secoli e mezzo, quel mio libro era il primo in italiano che desse notizia di un prodigio pur tanto clamoroso: addirittura el milagro de los milagros, come lo chiamano gli spagnoli. Tra i primi pubblicati sul tema, almeno in tempi recenti, fu anche il volume che scrissi con Rino Cammilleri su Gli occhi di Maria (questo il titolo), cioè sugli eventi straordinari che accompagnarono la campagna di saccheggio e di violenza dell’esercito rivoluzionario francese, nel 1796. Nei molti capitoli di Ipotesi su Maria, poi, numerose sono le pagine dedicate a santuari o ad episodi poco conosciuti, e non soltanto in Italia.
E che combino ora? Un ennesimo libro sull’epopea mariana più conosciuta, sul santuario più frequentato del mondo? Ebbene, la sfida è proprio questa. Cercare, cioè, di mostrare che, dopo un secolo e mezzo, c’è ancora molto da dire su quella vicenda che sembra soltanto una favola infantile: «C’era una volta una bambina che andava nel bosco per cercare legna quando, in una grotta, le apparve una bella Signora…». C’è ancora molto da scoprire, o riscoprire, in ambito storico, ci sono accostamenti che non sono stati fatti, ci sono riflessioni da compiere su certi eventi, o date, scambiati per casuali. C’è, poi, da scoprire sino in fondo, tra l’altro, che il “senso di Lourdes” (per usare il termine del benemerito abbé Laurentin che mi è stato maestro nella ricerca, con le sue preziose raccolte di documenti) non sta soltanto nella speranza di guarigione per i malati nel corpo, ma anche nella possibilità di guarigione per lo spirito, rafforzando la fede per chi già ne partecipa ed aiutando nel cammino chi non l’ha ancora raggiunta. Una Lourdes, dunque, quello che mi interessa, più che mai “apologetica”, una indagine condotta soltanto con gli strumenti della storia rigorosa. Dunque, con tutto il rispetto per la necessaria e talvolta preziosa letteratura devozionale, una Massabielle lontana da spiritualismi, elevazioni edificanti, esclamazioni e sospiri. Penso possa essere già una traccia di quanto mi sono proposto il titolo previsto: Se Bernadette non ci ha ingannati. Stiamoci attenti: se quella piccola ignorante che Maria scelse e predilesse ha detto il vero, tutto è vero: Dio, Cristo, la Chiesa… Ma lasciamo i progetti per venire all’immediato. Trovo nelle cartelline ritrovate, per cominciare, una scheda dove mi sono appuntato una parola dalla Prima ai Corinti (15,41: «Una cosa è lo splendore del sole, altra cosa lo splendore della luna…»). Mi chiedo se non ci possa essere, qui, un nascosto accenno mariano, quasi una enigmatica, magari inconscia intuizione di Paolo. Come si sa, sin dagli inizi, la Tradizione ha avvicinato la Vergine alla luna. Questa non è una stella, è solo un satellite che non ha luce propria. La stella sfolgorante è il Figlio, non la Madre. Se il sole non la colpisse per noi non esisterebbe, sarebbe invisibile. Non solo: così come è l’influenza lunare, tale è quella mariana. Influenza possente, eppure nascosta e misteriosa. La luna provoca, ogni giorno e ogni notte, l’incessante salire e scendere delle maree, ma lo fa con tale forza discreta che ancora Galileo non aveva capito il rapporto tra cielo e terra e pensava che quel moto periodico fosse determinato dallo “scuotimento” della Terra che gira sul suo asse. Come c’è voluto molto tempo per scoprire la funzione della luna, così sono occorsi molti secoli per scoprire quelle verità su Maria che la Chiesa ha racchiuso, sinora, in quattro dogmi. Lo “splendore del Sole”, per usare il termine paolino, è evidente a tutti, ma non lo è quello della luna. Pensiamo, oltre al ciclo delle maree, a quell’altro ciclo straordinario che è quello femminile: legato esso pure alla forza del satellite, di cui rispetta i tempi, e legato direttamente alla vita. Ma, qui pure, questo intervento intimo, nel corpo stesso di miliardi di persone di sesso femminile, si realizza in modo discreto, anzi segreto: la forza e insieme il nascondimento, il chiaroscuro, come mostra anche la riservatezza delle donne per quel ciclo di cui spesso non osano fare neppure il nome. Sono solo alcuni appunti, bisognosi di approfondimento: qui, volevamo soltanto accennare alle possibili scoperte che si potrebbero fare indagando sul quel legame Maria – Luna che la Tradizione ha subito compreso e che, forse, san Paolo stesso ha intuito.
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A proposito di san Paolo. È nota l’obiezione dei riformatori e ora, con ritardo di tanti secoli, di una certa intellighenzia cattolica: sia nelle Lettere che nelle molte parole che gli sono attribuite dagli Atti, l’apostolo delle genti non fa mai il nome di Maria. Sarebbe la conferma, dunque, che la sua figura non era ritenuta rilevante dalla Chiesa nascente e che tutto ciò che è stato costruito su di lei non è che una escrescenza abusiva e tardiva. Insomma, la mariologia come “cancro del cattolicesimo che occorre estirpare”, secondo la sprezzante espressione (di molta educazione ecumenica, come si vede…) di Karl Barth che, proprio perché teologo di grandi capacità e di grande carisma, è stato secondo noi uno dei maggiori deformatori del cristianesimo autentico. Un ideologo di genio, che tutto ha costretto a forza nel suo schema previo, come da sempre fanno i dottrinari. Si parte da un presupposto, in questo caso la giustificazione per sola fede, e la lettera della Scrittura (considerata in modo intoccabile come fosse il Corano) è piegata per confermare quanto si voleva dimostrare.
Paolo, dunque, non fa il nome di Maria? In verità, l’Apostolo non parla di molte altre cose: ai miracoli di Gesù, ad esempio, non fa alcun cenno, concentrando la sua attenzione solo sul Miracolo su cui tutto si basa: la risurrezione. In generale, Paolo non sembra interessato alla vita terrena di Gesù, nulla aggiunge a quanto sappiamo dai vangeli, con la sola eccezione della parola del Signore che cita, a Mileto, agli anziani di Efeso: «Ricordiamo che Gesù disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere”». È, questo, il solo detto che Paolo ci tramanda e che non sta nei vangeli. Del resto, lo fa capire chiaramente: «Se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così» (2 Cor 5,16). Se, però, l’Apostolo non fa il nome della Vergine ne richiama la funzione: ed è questo ciò che importa. Lettera ai Galati 4,4: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…». Sembra un semplice inciso e, invece, stando a uno dei maggiori docenti di mariologia, il salesiano tedesco Georg Soell, morto di recente, «questo, dal punto di vista dogmatico, è il testo più importante sulla Madre sempre Vergine del Nuovo Testamento. Qui in effetti, si aggancia la mariologia direttamente alla cristologia, mediante l’attestazione della sua maternità». Sempre secondo il professor Soell, qui sono poste le chiare premesse del dogma fondamentale mariano che dopo quattro secoli sarà proclamato ad Efeso: la maternità divina. In effetti, dice il teologo, «c’è qui una logica stringente: 1) Nella pienezza dei tempi, il Figlio di Dio fu dal Padre mandato nel mondo; 2) Il suo ingresso nel mondo avvenne con la nascita nel ventre di una donna; 3) Questa donna, dunque, nel piano divino stesso, è non solo madre di Gesù ma madre del Cristo Dio».
Altro che silenzio paolino, come pretendono coloro che pure affermano di volere basarsi sulla Scrittura, e su quella soltanto! Ma c’è dell’altro da non trascurare: Paolo non dice “Maria”, ma parla di “una donna”. Eppure doveva conoscerla bene, non soltanto come partecipe della Chiesa nascente ma anche perché, nella lettera a Filemone e in quella ai Colossesi, l’Apostolo parla come suo “collaboratore” di Luca, l’evangelista che della Vergine era intimo e ne ricevette le notizie che solo il suo testo riporta. Ma Paolo non fa il nome della “donna”, perché ciò che conta non è tanto lei, non sono le sue vicende personali, quanto il suo ruolo nel piano di Dio. I vangeli stessi non ci raccontano la storia di Maria, ma ne indicano la presenza nei momenti fondamentali della storia del Figlio: annunciazione, nascita, epifania, inizio vita pubblica, passione, morte, nascita della Chiesa. È logico che l’apostolo non ne faccia il nome storico ma che ricordi il compito di quella “donna” nella storia della salvezza. In effetti, coloro che vorrebbero demitizzarla non hanno compreso che, in lei, non è tanto l’individuo storico che interessa ma è il “tipo teologico”, la sua funzione misteriosa eppure chiara. Fanno i conti di quante parole le sono dedicate nel Nuovo Testamento e, siccome non sembrano molte, ne deducono che nemmeno noi dobbiamo parlarne tanto. Ma questo significa dimenticare che, come dicevamo, né i Vangeli né Paolo hanno l’intenzione di presentarci la biografia di una vergine di Nazareth: a loro interessa la Vergine-Madre che avrebbe potuto chiamarsi in altro modo e provenire da un’altra famiglia, perché ciò che importa è che Dio aveva deciso di inviarci il Figlio non facendolo scendere dal Cielo ma passando attraverso un utero femminile. Fu scelta lei, a lei fu dato il privilegio dell’anticipo della redenzione ma, al di là di ciò che attiene direttamente a quella redenzione, non sono le sue vicende umane ad essere importanti. Non a caso, dopo l’accenno degli Atti alla sua presenza a Pentecoste, su di lei scende il silenzio, non vi è nessun cenno del Nuovo Testamento agli anni che la separano dal nuovo, definitivo incontro con il Figlio. Dunque, dare a quella “donna” il posto che merita non significa elevare in modo abusivo una persona umana, trasformare la Maria storica in una sorta di dea: bensì, significa far posto, con lei, a ciò che in lei, ab aeterno, Dio stesso ha voluto.