Sfatata la menzogna dell’esplosione demografica ci si è accorti con un brusco risveglio dei gravi problemi causati dalla diminuzione delle nascite. Bisogna ricreare una cultura della vita, che solo il cristianesimo può suscitare: ecco il compito dei cattolici.
Ci siamo. Tutti ormai si sono accorti che è arrivato il cosiddetto “inverno demografico”. Ovvero non si fanno più figli, con tutto quel che ne consegue in termini di problemi sociali. Pensioni, occupazione, immigrazione, sanità sono tutte questioni che sono strettamente correlate al drastico calo della fertilità e al conseguente invecchiamento della popolazione. O meglio, alla eccessiva rapidità di questo processo, dato che l’invecchiamento della popolazione è anche naturale frutto dello sviluppo che ha, tra gli altri effetti, quello dell’aumento della vita media. Per molti, anche cattolici, si tratta di un brusco risveglio dopo anni in cui si è agitato lo spauracchio di un’improbabile esplosione demografica, in cui troppe persone sono rimaste succubi degli allarmi catastrofisti del genere “Siamo troppi, il pianeta sta scoppiando”. Addirittura oggi scopriamo che il problema si pone in termini ancora più seri per i Paesi in via di sviluppo. Proprio in maggio la Commissione Economica e Sociale dell’Onu per l’Asia-Pacifico (UN/ESCAP) lanciava l’allarme sulla brusca caduta della fertilità in questi Paesi che – contrariamente ai Paesi sviluppati hanno pochissimi programmi sociali per fare fronte ai problemi legati all’invecchiamento della popolazione. E le conseguenze, avverte l’Onu, si sentono già: ad esempio in quei Paesi – Indonesia, Corea del Sud, Thailandia maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria del 1997. Ma un risveglio brusco – come spesso accade – produce azioni inconsulte, o quantomeno poco ragionevoli.
Così; in Italia ad esempio, è tutto un chiedere al governo di fare leggi che permettano di invertire la tendenza, visto che nel nostro Paese la situazione è particolarmente grave, con un tasso di fertilità di 1,25 figli per donna (solo la Spagna è messa peggio con 1,22). Così che sta avanzando una mentalità – ripeto, anche fra i cattolici – per cui l’aumento della natalità è una questione “politica”, che sostanzialmente è nelle mani del governo. Si sta cioè affermando una tentazione statalista molto pericolosa. Ma se si legittima l’intervento dello Stato – in quello che è ritenuto un caso di necessità per far fare più figli, perché non dovrebbe essere legittimo l’intervento dello stesso Stato per bloccare le nascite qualora si ritenga che esse siano troppe? Le implicazioni dell’approccio statalista sono evidenti.
Allora forse è meglio chiarire almeno tre punti fondamentali:
1. La decisione su quanti figli avere spetta ai genitori, non allo Stato. Per questo la Santa Sede, nelle varie sedi internazionali, non si è mai opposta al principio della pianificazione familiare, se questa è intesa nel suo significato originario, cioè della libertà della coppia di stabilire quanti figli avere e quando averli (un concetto che si coniuga tranquillamente con la “procreazione responsabile”). Diverso invece se la “pianificazione familiare” come accade – viene usata come schermo per promuovere il “controllo delle nascite”, cioè l’imposizione da parte dello Stato del numero di figli che ogni coppia è legittimata ad avere.
2. Al governo si deve dunque chiedere di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle coppie di esercitare la loro libertà e responsabilità. Ovvio dunque che in un Paese come l’Italia sia giusto mobilitarsi, perché da ogni punto di vista – fiscale, scolastico, sanitario, sociale, lavorativo, abitativo -le coppie con figli sono discriminate e penalizzate. Ma è una questione di giustizia, guai a pensare questo in termini di “incentivi alla natalità”. In questo senso, credo vadano rifiutate le proposte di “premi” in denaro alle donne che fanno due-tre figli e più.
3. Per quanto importanti siano gli asili-nido, il lavoro flessibile e altri servizi sociali, la vera motivazione che spinge una coppia ad avere figli è culturale e non socio-economica. Si fanno figli se si ha una mentalità aperta alla vita, perché non c’è un assegno capace di compensare la fatica e la responsabilità di far nascere e crescere un figlio. E allo stesso modo non esistono “disincentivi” che possano annullare il desiderio, la felicità e l’orgoglio di avere una discendenza (la Cina insegna). Oltretutto l’idea che basti una legislazione favorevole per fare impennare le nascite è anche smentita dai fatti.
Spesso i Paesi nord-europei vengono citati ad esempio perché lì le nascite sarebbero in ripresa proprio grazie alle politiche familiari in atto e, più in generale, grazie a un clima sociale più attento alle esigenze di chi ha i figli. Ma i dati dimostrano che tra il 1980 e il 2000, nell’ambito dell’Unione Europea, l’aumento della fertilità riguarda solo 4 Paesi (Danimarca, Lussemburgo, Olanda e Finlandia) e la variazione è decisamente minima. Mentre altri Paesi, con legislazioni e ambienti sociali analoghi (Svezia e Gran Bretagna), registrano comunque un calo della fertilità. Il semplice cambiamento socio-economico, dunque, non provoca svolte epocali.
È perciò sull’aspetto culturale che dobbiamo concentrarci. E qui si può ben dire che il principale contributo che noi cattolici possiamo dare è l’evangelizzazione, perché l’esperienza cristiana è capace di creare una cultura nuova, una vera cultura della vita. Cristo non rappresenta forse la vittoria della vita sulla morte? “Creati a immagine e somiglianza di Dio – l’origine della vita – uomini e donne sono chiamati a cooperare con il Creatore nella trasmissione del dono della vita umana” (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Dimensioni Etiche e Pastorali delle Tendenze Demografiche, n.73).
E dove altro si può imparare questo sguardo?
È dunque auspicabile che i cattolici crescano in questa consapevolezza e comincino ad usare in modo più appropriato strumenti che già hanno a disposizione, a cominciare dai sacramenti: i corsi di preparazione al matrimonio, ad esempio, non possono essere una grande occasione di annuncio e testimonianza?
Tassi di fertilità
Paese |
1980 |
1999 |
2000 |
Belgio |
1,7 |
1,61 |
1,65 |
Danimarca |
1,6 |
1,74 |
1,76 |
Germania |
1,6 |
1,37 |
1,34 |
Grecia |
2,2 |
1,30 |
1,30 |
Spagna |
2,2 |
1,20 |
1,22 |
Francia |
2,0 |
1,77 |
1,89 |
Irlanda |
3,3 |
1,89 |
1,89 |
Italia |
1,6 |
1,23 |
1,25 |
Lussemburgo |
1,5 |
1,71 |
1,78 |
Olanda |
1,6 |
1,64 |
1,72 |
Austria |
1,6 |
1,32 |
1,32 |
Portogallo |
2,2 |
1,49 |
1,54 |
Finlandia |
1,6 |
1,73 |
1,73 |
Svezia |
1,7 |
1,50 |
1,54 |
Regno Unito |
1,9 |
1,68 |
1,64 |
Unione Europea |
1,8 |
1,45 |
1,53 |
Fonte Eurostat
RICORDA
“All’interno del popolo della vita e per la vita decisiva è la responsabilità della famiglia […]. La famiglia è chiamata in causa nell’intero arco di esistenza dei suoi membri, dalla nascita alla morte. Essa è veramente il santuario della vita…, il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Per questo, determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia nel costruire una cultura della vita”.
(Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica, Evangelium vitae, 1995, n. 92).
TIMONE N. 20 – ANNO IV – Luglio/Agosto 2002 – pag. 16 – 17