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12.12.2024

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«Deus Caritas est»
31 Gennaio 2014

«Deus Caritas est»

 

 

La tanto attesa prima enciclica. Per aiutarci a capire come il Dio cristiano venga incontro a ogni uomo, amando sempre per primo. E come ci chieda di imitarlo nei rapporti con noi stessi e con il prossimo. La carità sociale e politica compito del laicato.

Nell’ormai consistente genere costituito dalle «lettere encicliche», cioè dalle «lettere circolari» dei Romani Pontefici – un genere iniziato nella prima metà del secolo XVIII – si colloca il gruppo, numericamente esiguo ma storicamente rilevante, di quelle pubblicate dai singoli Papi in apertura del loro servizio petrino, talora esplicitamente indicate anche nel titolo come programmatiche, talora implicitamente tali.
In questo gruppo credo si situi in modo inequivoco la Lettera Enciclica «Deus Caritas est» del Sommo Pontefice Benedetto XVI ai Vescovi, ai Presbiteri e ai Diaconi, alle Persone Consacrate e a tutti i Fedeli Laici sull’amore cristiano, datata 25 dicembre 2005 e pubblicata il 25 gennaio 2006, alla quale, da allora ma anche prima della sua pubblicazione in misurati annunci, il Santo Padre ha fatto e viene facendo costante riferimento come a leitmotiv, come a «motivo guida», del suo Pontificato. E come risposta essenziale e fondativa alla domanda dell’uomo in genere, e dell’uomo del tempo presente in specie e nella sua versione di credente, cioè alla «domanda di senso» non relativa alla cosiddetta «esistenza di Dio», ma alla natura, al carattere di Dio per certo «esistente».

La coincidenza fra Rivelazione e Rivelatore
La risposta a tale domanda nella Scritturche la supporta – contempla e descrive Dio in relazione con la creazione e con la creatura, e identifica questa relazione non solo come «di causa», ma come una relazione «di convivenza», appunto «d’amore». E il mezzo con cui la Rivelazione illumina tale relazione è il messaggio della stessa Rivelazione: «All’inizio dell’essere cristiano – afferma infatti il Papa – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). Rivelatore e Rivelazione coincidono e gettano luce sulla creazione e, soprattutto, sul vertice della creazione stessa, sull’uomo creato «a immagine e somiglianza di Dio».
L’Amore che è Dio scende sull’uomo e nell’uomo s’iscrive come agape, come eros e come philia: il primo è «amore a Dio» e, comunque, «amore divino»; il secondo è «passione d’amore», a proposito del quale l’amore fra uomo e donna «[…] emerge come archetipo di amore per eccellenza» (n. 2); e il terzo è «amore di amicizia», «amore per il prossimo». Dunque, «in un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto» (n. 1).
Quindi «l’intima natura della Chiesa» (n. 25) – secondo sant’Agostino (354-430) «mondo riconciliato» (Serm. 96) e, in parole di papa Paolo VI (1963-1978), «riconciliante» (Esortazione Apostolica «Paterna cum benevolentia», dell’8 dicembre 1974) – «[…] si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia)» (n. 25).
Dopo l’Introduzione, nella prima parte dell’enciclica, intitolata L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza, il Santo Padre affronta anzitutto Un problema di linguaggio, cioè il degrado e l’abuso del termine «amore» nel linguaggio corrente; quindi offre definizioni in «Eros» e «Agape» – differenza e unità, affermando che «la fede cristiana […] ha considerato l’uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà » (n. 5) e denunciando la tentazione sia dello spiritualismo, che alimenta il moralismo, che del materialismo; poi espone La novità della fede biblica, sottolineando come «all’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico» (n. 11), poi indica in Gesù Cristo – l’amore incarnato di Dio e, finalmente, tratta di Amore di Dio e amore del prossimo.

La carità della Chiesa e la missione dei laici
Nella seconda parte del documento, intitolata «Caritas» – l’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale «Comunità d’Amore», papa Benedetto XVI definisce La carità della Chiesa come manifestazione dell’amore trinitario – «Tutta l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell’attività umana» (n. 19) – e La carità come compito della Chiesa; affronta il tema del rapporto fra Giustizia e carità, descrive quindi Le molteplici strutture di servizio caritativo nell’odierno contesto sociale e Il profilo specifico dell’attività caritativa della Chiesa; infine, prima della Conclusione, indica I responsabili dell’azione caritativa della Chiesa.
Proprio nella seconda parte dell’enciclica trova posto, e viene affrontato, il rapporto fra giustizia e carità: in proposito papa Benedetto XVI afferma che «il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica» (n. 28) e che «[…] la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioè all’ambito della ragione autoresponsabile» (n. 29).
Perciò, «il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici. […] Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità. Anche se le espressioni specifiche della carità ecclesiale non possono mai confondersi con l’attività dello Stato, resta tuttavia vero che la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “carità sociale”» (n. 29).
Il Pontefice esorta, dunque, alla «grande politica, quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, […] e che – secondo papa Pio XI (1922-1939) in un discorso ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, del 18 dicembre 1927 – sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore».

RICORDA
«La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito della Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione
etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili».
(Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est, n. 28).

IL TIMONE – N.51 – ANNO VIII – Marzo 2006 – pag. 12-13
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