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15.12.2024

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Dio e la matematica
31 Gennaio 2014

Dio e la matematica

 



I più grandi matematici di tutti i tempi trovavano compatibile la loro scienza e l’esistenza di Dio. L’universo, per loro, mostrava chiari segni dell’opera di un Creatore. Segni che la matematica sa leggere

L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante) può far passare è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio.
La storia della matematica è però lì a dirci il contrario. Partiamo da Pitagora, il celebre filosofo greco al cui nome è associato il teorema forse più famoso di tutti i tempi, sempre citato al principio di ogni storia della matematica (magari insieme ad Archimede). Pitagora aveva le idee molto chiare: la matematica non è una invenzione dell’uomo, ma una scoperta. È la realtà stessa ad essere intessuta di matematica, fondata sul numero. La filosofia greca coglie l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora identifica il numero come fonte di questa razionalità. Scrive l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo Dio è un matematico: «I pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In effetti per loro Dio non era un matematico ma la matematica era Dio». Ciò significa che i Pitagorici coglievano come vera sostanza della realtà qualcosa di intangibile, di invisibile; qualcosa che precede la realtà materiale, che la supera e la informa. Sarà poi Platone, con la sua metafisica, a dare alla matematica un ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle realtà matematiche «un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza dell’universo stesso».
Fatto: l’universo fisico esiste, non è capriccioso e caotico, ma ordinato. Riflessione filosofica: la matematica, immateriale, ne rappresenta il fondamento, la sostanza. Si vede bene che siamo perfettamente all’interno di una concezione che non pone il mondo “a caso”, ma al contrario ne riconosce l’intima intelligenza, armonia, matematicità. Da dove viene questa armonia? Per Platone dal mondo metafisico, divino, delle idee e, tramite esse, dall’opera del Demiurgo. Prima dunque che Galileo scriva che «la matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo»; prima che il grande pisano definisca la natura come «il libro… scritto in lingua matematica» – alludendo molto chiaramente, quanto all’autore del libro, ad un Dio Creatore – è evidente a chi affronta questa disciplina che la matematica nasce da un atto di fede nella non assurdità del mondo; da un atto di stupore di fronte al fatto che ciò che ci circonda non è regolato dal capriccio; dall’intuizione, per dirla con Platone, che «Dio geometrizza sempre».
Scriverà in pieno Novecento il grande matematico cattolico Ennio De Giorgi: «Il mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse una capacità, unica tra le altre scienze, di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili».
La matematica dunque ci mette di fronte ad un fatto: l’universo si presenta a noi come qualcosa di intelleggibile alla nostra ragione. Non è un dato scontato. Per L. De Broglie «noi non ci meravigliamo abbastanza del fatto che una scienza sia possibile, cioè che la nostra ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò che accade attorno a noi» (L. De Broglie, Fisica e Metafisica, Einaudi, 1950, p. 216).
Non ci meravigliamo abbastanza, si potrebbe chiosare, del fatto che una sola creatura si ponga anzitutto domande che vanno ben al di là dei bisogni primari, delle esigenze che evoluzionisticamente sarebbero necessarie alla sopravvivenza, e che sia in grado di andare al fondo della realtà, a ciò che la regola e la fonda. Il mistero dell’intelleggibilità del cosmo fa il paio con il mistero di una creatura, e solo quella, che vuole e sa leggere tale intelleggibilità. Quasi a dimostrazione, ne dedurrebbe un credente, che entrambe le ragioni, quella di Dio che fonda l’universo, e quella dell’uomo, fatto «a immagine e somiglianza di Dio», che lo interpreta e lo penetra, hanno una origine comune. Sono ben comprensibili allora non soltanto la divinizzazione del numero di Pitagora e la metafisica di Platone, ma anche il linguaggio biblico, così spesso ripetuto nell’epoca delle cattedrali: Dio ha fatto l’universo «secondo numero peso e misura» (Sap11,20).
Quest’idea appartiene anche alla storia del pensiero medievale, in particolare di quello francescano, tutto intento nello scorgere nella natura e nella sua bellezza non un ammasso informe, non una materia principio del male, ma i segni della Ragione e della Bontà creatrice. Di qui l’idea di un pioniere della scienza moderna, il medievale Roberto Grossatesta, per cui Dio è il «Numerator et Mensurator primis»; oppure il pensiero di san Bonaventura, il quale scriveva: «tutte le cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri: è necessario che tutte le cose abbiano una proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, conduce alla Sapienza» (cit. in Stefano Zecchi, Storia dell’estetica, vol.I, Il Mulino, 1995, p. 159).
Giovanni Keplero, scopritore delle leggi del moto dei pianeti, nato come teologo e matematico, non argomenterà in modo dissimile la sua fiducia nella bontà e bellezza della creazione. La sua intuizione di fondo fu che la matematica è «la struttura ontologica dell’Universo». Scriverà: «La geometria precede l’origine delle cose, è coeterna alla mente di Dio, è Dio in persona (cosa c’è in Dio che non sia Dio?); la geometria ha fornito a Dio gli archetipi della creazione e fu impiantata nell’uomo contemporaneamente alla somiglianza di Dio» (cit. in R. Timossi, Dio e la scienza moderna, Mondadori, 1999, p.41). Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati, si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un regista, un Legislatore supremo. Un Dio «dell’ordine e non della confusione » (God of order and not of confusion), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac Newton.
Eric T. Bell, autore del celebre volume I grandi matematici, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio e Pascal. Bell ricorda, di entrambi, la fede convinta in un Dio Creatore e il rapporto privilegiato con il celebre matematico gesuita padre Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che «le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente», e la visione del matematico Pascal, perfettamente in linea con la teologia medievale, secondo cui «la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine». Dopo costoro, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone Leibniz: siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico che, oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e a offrire un importante contributo al calcolo infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come «soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo».
Dopo Leibniz, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero, definito «il matematico più prolifico della storia »: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot. Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: «Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a Diderot era come parlargli cinese… Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere… Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: “Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio esiste: rispondete”. Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia… ». Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire «due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima » (E. Bell, I grandi matematici, Sansoni, 1966, p.147-148).
Non interessa qui sapere se e quanto quelle dimostrazioni siano veramente credibili, ma notare piuttosto che anche Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario! Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’immortalità dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua Teoria dei miracoli. Imitato in questo tentativo ardito dal matematico George Boole nel suo Leggi del pensiero e soprattutto da uno dei più grandi geni della matematica di tutti i tempi, Kurt Godel, il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era a «ricondurre il mondo ad unità razionale», scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano (R. G. Timossi, Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Godel. Storia critica degli argomenti ontologici, Marietti 1820, 2005).
Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando per esempio anche Carl Friedrich Gauss, considerato da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che il mondo sarebbe un non senso, l’intera creazione una assurdità, senza immortalità dell’anima e senza Dio. Oppure potremmo citare un altro gigante dell’Ottocento, Augustin Luois Cauchy, nato a Parigi nel 1789. Di lui possiamo ricordare, brevemente, la profonda fede cattolica, l’avversione ai principi materialistici e rivoluzionari dei giacobini e la vita intessuta di opere di carità. Faceva infatti parte della San Vincenzo de’ Paoli e di numerose altre associazioni cattoliche, dedite a soccorrere i più poveri, ma anche a stampare libri di devozione e a contrastare i principi rivoluzionari. «Qualche ora prima del suo decesso – scrive Bell, che lo considera “uno dei cattolici praticanti più sinceri che siano mai esistiti” – s’intratteneva con l’arcivescovo di Parigi a proposito di certe opere di carità che si proponeva di fare (per tutta la vita ebbe a cuore la carità). Le sue ultime parole all’arcivescovo furono: “Gli uomini passano, ma le opere restano”». Motivi di spazio ci permettono di citare un altro solo dei tanti grandi della matematica credenti: Georg Cantor (1845-1918). Era un appassionato di filosofia e teologia medievale, così devotamente credente (un protestante con simpatie cattoliche) da chiedere, ottenendolo, il consenso alle autorità romane riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano con la metafisica e la teologia).
Spiace per Odifreddi, che verrà ricordato per i suoi libri, scadenti, di filosofia e teologia, non certo per i suoi contributi alla matematica, ma persino l’unico matematico vivente inserito nelle graduatorie dei più grandi di sempre, Alexander Grothendieck, formatosi in una famiglia atea comunista, è approdato poi alla fede in Dio.


Per saperne di più…

Mario Livio, Dio è un matematico, Rizzoli, 2009.
Roberto G. Timossi, Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Godel. Storia critica degli argomenti ontologici, Marietti 1820, 2005.
Eric Bell, I grandi matematici, Sansoni, 1966.

 

 

 

 

 

IL TIMONE n. 110 – Anno XIV – Febbraio 2012 – pag. 22 – 24
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