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15.12.2024

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Diplomatico e pastore
31 Gennaio 2014

Diplomatico e pastore

Una vita riservata, tutta dedita al servizio della Chiesa. Esemplare dal punto di vista del comportamento, Papa Pacelli saprà arricchire la sua epoca con un insegnamento articolato e profondo.

La vita del futuro Pio XII, dalla nascita all’ascesa al papato, si presenta quanto mai lineare e priva – almeno sul piano personale – di eventi fuori dal comune: dà l’impressione di una quieta e tenace preparazione a una meta, nella Chiesa e nel mondo, comunque di alta responsabilità.

Eugenio Pacelli, romano

Eugenio Pacelli nasce a Roma il 2 marzo 1876. I Pacelli, originari di Acquapendente nel Viterbese, erano giunti a Roma all’inizio dell’Ottocento: il nonno di Eugenio, Marcantonio, era stato chiamato a Roma per un incarico nella magistratura pontificia. Sarà tra i fondatori de L’Osservatore Romano grato il ricordo» (Lucio D’Orazi, Pio XII. Eugenio Pacelli. Attualità di un Papa inattuale, p. 48). Questo tratto di serietà e di rigore, di riservatezza e di sostanziale timidezza saranno l’habitus che lo accompagnerà lungo tutta la non breve esistenza e che gli attirerà allo stesso tempo apprezzamenti e antipatie.

La vocazione

La vocazione sacerdotale di Eugenio Pacelli affiora nell’estate del 1894. Nell’ottobre dello stesso anno entra al Collegio Capranica di Roma e si iscrive all’università Gregoriana. L’intenso impegno negli studi gli crea un principio di esaurimento nervoso, che lo obbliga a continuare il seminario e, per i servizi resi alla Chiesa, verrà insignito del titolo di marchese. Anche il padre, Filippo, e un fratello Francesco – che sarà fra i protagonisti della Conciliazione del 1929 -, si segnaleranno al servizio della Sede Apostolica.

In un liceo «laico»

Compiuti gli studi elementari, Eugenio Pacelli viene iscritto all’età di nove anni al liceo-ginnasio Ennio Quirino Visconti di Roma, un istituto statale. Egli crescerà così in questo ambiente decisamente «laico» a contatto con i ram polli della classe dirigente romana e italiana. Un suo compagno di classe di allora così lo descrive molti anni dopo: «[…] Una volontà ferrea, una austera integrità di costumi e di carattere: gentilissimo con tutti, socievole, anche se un po’ riserbato. Era alto, per la sua età, magro, con gli occhiali. Studiosissimo, fornito di un’intelligenza vivida e equilibrata, ci sorprendeva per la sua prontezza in greco e in latino […]. Amava tutti i compagni e ne serbò sempre vivo e come esterno. Superata la crisi, si iscrive a teologia presso lo Studio di Sant’Apollinare – la futura Lateranense -, nonché – anche qui in contrasto con le abitudini del tempo – a filosofia, presso l’università statale di Roma, sebbene per un solo anno, il 1895-1896.
Il 2 aprile 1899 viene ordinato sacerdote e celebra la prima messa il giorno successivo nella basilica di Santa Maria Maggiore. S’iscrive, quindi, secondo la tradizione di famiglia, alla facoltà di giurisprudenza.

Semplice «minutante»

Durante il secondo anno di legge entra nella Segreteria di Stato. Laureatosi nel 1904 in utroque ;ure, Eugenio Pacelli «brucerà» in pochi anni le tappe della carriera diplomatica vaticana: sottosegretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari nel 1911, pro-segretario l’anno seguente, segretario nel 1914, nunzio nel 1917. In coincidenza con quest’ultima nomina, Benedetto XV lo eleva alla dignità episcopale, in una data estremamente significativa: il13 maggio 1917, giorno della prima apparizione della Madonna a Fatima.

Nunzio in Germania

Inviato presso il governo bavarese, si sforzerà di dimostrare prima a re Luigi III e poi al Kaiser Guglielmo II l’insufficienza delle controversie alla base del conflitto e supplicherà il ritorno alla negoziazione, pronosticando un esito funesto per tutti se la guerra fosse continuata. A lui, inoltre, toccherà il compito di trasmettere al governo germanico la nota di Benedetto XV ai Paesi belligeranti, contenente il celebre appello a far cessare l’«inutile strage».
Tutti i tentativi di giungere alla pace – gli ultimi erano stati quelli mossi dal beato Carlo d’Asburgo, imperatore d’Austria-Ungheria – non avranno però seguito e il conflitto consumerà fino in fondo il suo destino di distruzione.
La stagione tedesca del futuro pontefice – che conserverà un affetto particolare per la Germania, dove tornerà a passare tutte le sue vacanze estive fino all’ascesa al pontificato – termina nel 1929, allorché Pio XI lo richiama a Roma e, dopo averlo creato cardinale, nel 1930 lo nomina Segretario di Stato.

Segretario di Stato del successore di Pietro

Nei nove anni nei quali ricoprirà tale carica, il cardo Pacelli coltiverà intense relazioni con i governi e le comunità cristiane di tutto il mondo. La sua attività lo porterà oltreoceano – nel 1934 in Argentina e Brasile, poi, nel 1936, in forma privata, negli Stati Uniti, dove stabilirà duraturi rapporti di simpatia con il presidente Franklin Delano Roosevelt – e lo farà ricorrere a mezzi di trasporto allora inconsueti, soprattutto per un dignitario pontificio, come l’aeroplano. Nel 1935 è a Lourdes; due anni dopo è a Lisieux per la beatificazione di Santa Teresina; nel 1938, in Ungheria. Nel 1933 sarà il regista del concordato con il governo hitleriano da poco insediatosi. Mentre si addensano le nere nubi di un altro immane conflitto fra le nazioni europee, il 10 febbraio 1939, Pio XI muore. Proprio mons. Pacelli, cardinal camerlengo, incaricato di celebrarne le esequie e di disporne la successione, uscirà eletto nuovo Papa, dopo soli tre scrutini, dal conclave tenutosi dal 1° al 2 marzo 1939. Non stupisce che di fronte alla temperie del momento la scelta cada su un prestigioso e sperimentato diplomatico italiano.

Nella bufera della guerra

Solo poche settimane dopo l’elezione al soglio di Pietro, Pio XII deve confrontarsi con la drammatica situazione che si viene creando in Europa. Il Papa era uno dei maggiori conoscitori della dottrina hitleriana, avendo parte cipato alla stesura dell’enciclica Mit brennender sorge, con la quale Pio XI due anni prima aveva condannato il «neopaganesimo» che imperversava in Germania. Egli, inoltre, da segretario di Stato, aveva continuato a tenere rapporti con i presuli tedeschi, soprattutto con figure di eroici pastori come Michael Faulhaber, Clemens August von Galen, Konrad von Preysing, autentiche anime della resistenza dei cattolici contro le prevaricazioni nazionalsocialiste. Anche per questo egli diventerà in poco tempo un punto di riferimento imprescindibile per le diplomazie mondiali.
Nella imminenza della guerra europea, il 24 agosto 1939, Pio XII rivolgerà un appello, ormai celebre, ai governi dei paesi in conflitto: «È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E gli imperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono. Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esseri o con la guerra».
Egli, che ha vissuto l’esperienza del primo conflitto mondiale, tenterà l’impossibile per impedire un nuovo, apocalittico dramma. E quando, purtroppo, esso esploderà, si adopererà per evitarne l’allargamento a nuovi Paesi, per mitigarne gli effetti, per abbreviarne la durata e per alleviare le sofferenze dei combattenti, dei prigionieri, dei civili duramente coinvolti nel conflitto: è rimasta famosa la sua uscita dal Vaticano per recarsi tra la popolazione romana colpita dai bombardamenti nel luglio del 1943, autentico defensor Civitatis.

La «Chiesa del silenzio»

Alla fine della guerra, dall’immenso impero euro-asiatico degli zar, alla testa del quale si è in-stallato fin dall’ottobre del 1917, il comunismo ateo dilaga e penetra fino nel cuore dell’Europa. Mentre la resistenza dei credenti fa aumentare la popolazione delle prigioni e dei campi di lavoro forzato, il mondo libero abbandona sostanzialmente alla loro sorte i fratelli nella fede, gli anti-comunisti e i popoli privati della libertà, anche quando questi talora insorgono con la forza della disperazione, come in Ungheria nel 1956.
In questi anni la Chiesa si presenta – come Pio XII scriverà nel radiomessaggio di Natale del 1951 – «con le braccia legate, con le labbra chiuse, la “Chiesa del silenzio”». Ma a tutti coloro che resi-stono con eroismo dalla Lituania al Mar Nero non mancherà mai il sostegno, il conforto, l’illumi-nazione, la preghiera del Santo Padre, che sempre, «opportune et importune», leverà la sua voce per loro. Una voce che si farà particolarmente vibrante quando saranno colpiti i grandi pastori delle Chiese dell’Est: il primate di Ungheria, Joszef Mindszenty, il presule jugoslavo Aloys Ste-pinac, quello cecoslovacco Josef Beran e l’arcivescovo di Varsavia Stefan Wyszynski.
Nel 1948 Pio XII sarà l’anima della mobilitazione popolare che in Italia porterà alla grande vittoria elettorale cattolica del 18 aprile, che sbarrerà per lungo tempo la strada al comunismo.
Il pontificato di Pio XII, che si conclude il 9 ottobre 1958, non va assolutamente letto con le lenti spesso deformanti di una ecclesiologia «postconciliare» o nel raffronto – e contrapposizione con figure di pontefici successivi, né, d’altro canto, va rivisitato in chiave nostalgica, come emblema di una Chiesa pre-conciliare mitizzata, tutta luci e niente ombre, come a taluni piace auspicare. Esso va invece interpretato dal suo interno, calandosi nei panni e con le categorie di pensiero di coloro, in primo luogo del Papa stesso, che si sono trovati a viverlo da protagonisti o da semplici fedeli.

LA PRIMA ENCICLICA

«Venerabili Fratelli! Vi può essere dovere più grande e più urgente di “annunziare… le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Eph. III,8) agli uomini del tempo? E vi può essere cosa più nobile che sventolare il vessillo del Re davanti i ad essi,che hanno seguito e suguono bandiere fallaci, e riguadagnare al vittorioso vessillo della Croce coloro che l’hanno abbandonato?».
(Enciclica ..Summi pontificatus del 20 ottobre 1939).

«All’inizio del cammino che conduce all’indigenza spirituale . morale del tempi presenti, stanno i nefasti sforzi di non pochi per detronizzare Cristo, il distacco dalla legge della verità, che Egli annunziò, dalla legge dell’amore, che è il soffio vitale del suo regno. Il riconoscimento dei diritti regali di Cristo e il ritorno dei singoli e delle società alla legge della sua verità e del suo amore sono la sola Via di salvezza».
(Enciclica Summi pontiticatus del 20 ottobre 1939).

Dossier: Pio XII. Un Papa per la Chiesa di sempre

IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 36 – 37 – 38

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