Questo spazio che il giornale mi mette ogni mese a disposizione è eclettico, nel senso che può essere liberamente riempito da ogni “genere letterario”: dalla teologia all’esegesi biblica, dalla storia alla cronaca e anche, perché no?, alla pagina di diario. Ne approfitto, dunque, e stavolta sembrerò divagare un poco, dandomi a considerazioni nate dall’esperienza personale e che oggi ho voglia di esporre. Ma anticipo che ciò che sto per raccontare sbocca, alla fine, in un caso che mi è occorso di recente e, partendo da questo, cercherò di fare qualche considerazione non personale bensì generale.
Succede, dunque, che – come i lettori de il Timone sanno – lo scorso ottobre la Mondadori ha pubblicato il mio Bernadette non ci ha ingannati. Come ogni volta (e grazie a Dio: è il segno dell’attenzione dei lettori), subito dopo la pubblicazione di un libro cominciano le richieste di presentarlo, nelle località più varie della Penisola e nei luoghi più diversi, dalla parrocchia al circolo di “liberi pensatori”, dal convento cappuccino al Rotary o al Lions per VIP benestanti. Un tempo potevo accettare almeno una parte di questi inviti, ma era la pienezza delle forze a permettermelo. Ora che la giovinezza è lontana, devo limitarmi a qualche presentazione “strategica”, potenzialmente in grado, cioè, di mettere in moto quel passa-parola che è il motore nascosto di ogni best seller. Non ho lavorato solo nei giornali ma anche nelle case editrici e dunque so che il libro che ha successo nelle librerie (e che, soprattutto, ci resta a lungo) non è quello che gode, ma solo momentaneamente, di una ricca pubblicità e di buone recensioni; ma è quello che coinvolge a tal punto i lettori della prima tiratura da indurli a consigliarlo o a regalarlo a parenti e amici. I quali, se soddisfatti dal volume suggerito o donato, mettono in moto una sorta di “catena di sant’Antonio” che porta, appunto, alle alte tirature.
Gli esperti editoriali sanno bene che il best seller non è costruibile a tavolino, che non è prevedibile ma è, in fondo, un “oggetto misterioso” che dipende, ben più che dagli investimenti pubblicitari o redazionali, da una sorta di vero e proprio referendum popolare. E il “popolo” dei lettori è imprevedibile anche per il più sofisticato dei sociologi. Non credete alle lagne dello scrittore con pochi lettori, che accusa l’editore o il silenzio della critica per le sue mancate fortune letterarie. Ci sono molti libri che hanno cambiato addirittura la storia e che sono usciti dalla penna di scrittori quasi sconosciuti e stampati in poche copie, nonché malamente distribuiti da editori artigianali e ignorati, almeno al principio, dai recensori. Ma hanno saputo toccare corde così profonde e in fondo enigmatiche – nel bene ma anche nel male – che i primi, pochi lettori hanno sparso la voce attorno a sé e li hanno portati a successi clamorosi e duraturi. Soprattutto la letteratura religiosa è ricca di simili esempi.
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La sto facendo lunga, lo so, ma tutto questo è per dire che se un’opera è valida non occorrono presentazioni “a pioggia”, città per città, ma basta far sapere a pochi ma motivati gruppi che quel libro è uscito, che esiste. Se, dopo la lettura, a quei pochi piacerà e ne parleranno nel loro ambiente, pian piano il cerchio si allargherà sempre più. Insomma, visto che, ogni volta che pubblico un libro, non sono affatto sicuro che oltre a me interesserà anche altri, lo sottopongo a questo test selettivo, vedo se ha in sé la forza di accendere il fuoco occulto del passa-parola, se i primi lettori saranno o no il detonatore che provoca le ristampe. Dunque, tutto sommato non mi dispiace di rinunciare alle molte presentazioni, per tentare di imporre a ogni costo il mio nuovo parto. Mi dico, invece: facciamolo conoscere ad alcuni e, se ha in sé la forza, si imporrà, altrimenti dopo un poco sparirà. E sarà giusto così, non sarò certo io a lamentarmi. Il libro è una libera offerta che deve incontrare una libera domanda. Se l’incontro non c’è, tanto peggio per esso e per l’autore.
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Ma ecco che vengo, finalmente , a un piccolo eppur significativo episodio vissuto in queste settimane. Dicevo che ho dovuto in gran parte declinare gli inviti a presentazioni, pur esprimendo il mio ringraziamento e il mio rammarico sinceri. Ma ci sono casi in cui non è possibile il rifiuto. Così ho dovuto accettare la richiesta di una nostra vecchia amica alla quale più volte, per libri precedenti, avevo fatto la promessa di andare. Promessa sinora mancata, ma che ades so dovevo proprio onorare. L’associazione culturale di cui la donna fa parte nella sua città di provincia si è subito mobilitata per organizzare al meglio l’incontro. Ma, l’altro giorno, ho ricevuto una telefonata imbarazzata. Succede, infatti, che l’associazione di cui dico sia legata alla Fondazione che controlla la banca locale. Banca che, tra l’altro, ha un’origine di tutto rispetto, poiché fa parte di quelle cooperative per il credito fondate dai cattolici alla fine dell’Ottocento per sfuggire alla finanza massonica che dominava la finanza e ostacolava più che poteva le iniziative dei credenti. Nella telefonata l’amica, con qualche disagio, mi diceva che temeva di dover annullare l’appuntamento. La cosa, lo confesso, egoisticamente non mi dispiaceva, evitandomi un viaggio e un impegno gravosi, ma non mi sono piaciuti affatto i motivi per i quali tutto è stato alla fine annullato. In effetti, un gruppo di cattolici “adulti e democratici”, ben noti in diocesi per il loro impegno sociale e politico, avevano manifestato apertamente il loro dissenso. Bernadette – dicevano in sostanza – era povera se non miserabile e per tutta la vita rifuggì dalla ricchezza. Come si poteva parlare di lei, presentare la sua figura, nel confortevole auditorium messo a disposizione della città per ogni evento culturale, ma costruito e mantenuto da una fondazione bancaria? Non era uno scandalo, elogiare e venerare quella ultima tra gli ultimi, accettando di essere ospiti della finanza? Quei “cristiani politicamente impegnati” avevano fatto capire che, se la presentazione si fosse fatta, essi avrebbero sentito il dovere di boicottarla, per non mescolare proletari e capitalisti.
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In casi come questi, di così anacronistica demagogia sessantottina, rifuggo dall’inutile indignazione e mi limito a scuotere il capo, magari con un sorrisetto amaro. Così – pregando l’amica di lasciar subito perdere e di annullare la mia venuta, senza discussioni e polemiche – le ho però ricordato alcune cose che sfuggivano a quei cattolici engagés. Se li avessi incontrati, gli avrei raccomandato di non scandalizzare i fratelli nella fede non andando mai, dicesi mai, a Lourdes perché il santuario, con oltre 400 dipendenti a contratto, è la maggior impresa della città. Impresa che ha ovviamente un’amministrazione, in contatto quotidiano con le banche, dalle quali dipende la sua esistenza, grazie alle intese finanziarie che permettono di avere crediti per sostenere le ingentissime spese. Non solo: risalendo alle origini del grande complesso religioso, con ben quattro basiliche sorte dal nulla, gli avrei ricordato che l’Apparsa nella grotta chiese “una cappella”, ma non lasciò assegni o lingotti d’oro per erigerla. La costruzione di Lourdes è una sorta di epopea, dove il popolo si quotò per dare quanto poteva e il clero combatté una quotidiana battaglia, tra spese che crescevano sempre, minacce di fallimenti, l’ombra incombente della bancarotta. E tutto questo, necessariamente, coll’appoggio continuo delle indispensabili banche. Le quali tra l’altro, nel 1958, salvarono mons. Théas, il vescovo del primo centenario, dalla rovina finanziaria, unendosi in un consorzio per fronteggiare i grandi debiti contratti dal Santuario, impegnatosi coraggiosamente nella costruzione della basilica sotterranea da 20.000 posti, la più grande del mondo. Di più: se Bernadette, come tutte le religiose, fu povera a Nevers, povera non era la sua congregazione, quella delle Sorelle della Carità e dell’Istruzione cristiana, una delle famiglie religiose in maggior sviluppo nell’Ottocento, con centinaia di case, scuole, ospedali da mantenere o in costruzione. Con conseguente gran movimento di denaro, seguito da un apposito ufficio proprio in quella Casa Madre dove la veggente e futura santa fu ospite sino alla morte. Una contraddizione, forse addirittura una vergogna, se dovessimo seguire l’utopica logica dei moralisti clericali: ma come, quella povera Bernadette accettava di essere mantenuta e curata da consorelle che, affiancate da un gruppo di commercialisti esperti in finanza, lavoravano con le banche invece di lanciare contro di loro minacce apocalittiche?
Ma, se vogliamo continuare sulla linea dell’irrealtà – quella che contrassegna gli ideologi come questi – non dimentichiamo un’altra “vergogna”: quel mio libro che ero chiamato a presentare è stampato dalla Mondadori, cioè da uno dei maggiori gruppi editoriali europei. Un’azienda ricca, dunque, che lucra sulla povera per eccellenza? Un altro scandalo, una contraddizione addirittura blasfema! Che fare, allora, se c’è da diffondere un libro su Bernadette: un samizdat, il ciclostile di una volta, fotocopie o la messa in rete, purché si scelga un sito gestito – chessò? – da senza casa, da clochard? Ma “gli ultimi” hanno però un computer? Sanno usarlo?
Se dedico spazio a questo, in fondo, piccolo episodio è perché rivela che nella Chiesa non è morto quel cocktail di demagogia, di inquinamento comunista, di pauperismo ideologico, di irrealtà utopica che contrassegnò la “contestazione” del post Concilio. Questo cocktail, devo dire, a me ha risparmiato una trasferta faticosa, ma non è gradevole scoprire come minoranze ideologiche che credono di impersonare il “vero” cristianesimo siano ancora in grado di condizionare almeno le Chiese locali.
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Per finire (almeno per questa volta…) con la veggente di Lourdes, un piccolo aneddoto singolare. Mi ha scritto un lettore, un anziano autore della Settimana Enigmistica per la quale ha prodotto e produce soprattutto rebus, anagrammi, giochi in genere di parole. Se ha preso contatto con me è per comunicarmi di avere scoperto che il preciso anagramma del nome Bernadette Soubirous così suona: E or restano dubbi su te. Mi diceva, scherzando, quell’estroso signore che era più che mai necessario che qualcuno scrivesse un Bernadette non ci ha ingannati visto che, stando all’anagramma, i dubbi degli scettici restavano e andavano risolti.
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Dalle recenti agenzie di notizie: «È terminato da poco l’immane sforzo collettivo, di molti laboratori universitari nel mondo collegati tra loro, per determinare la sequenza dell’enorme genoma del frumento che, per la sua complessità, aveva sfidato sinora tutti gli sforzi degli scienziati. Il risultato è straordinario: il grano possiede quattro volte più geni degli uomini e un genoma oltre cinque volte più grande del nostro. Si tratta, dicono quegli esperti, di una pianta eccezionale, assolutamente unica. Forse nessun’altra è più complessa, e in effetti racchiude ancora molti segreti ».
Leggendo, il cristiano non può non pensare al fatto che proprio il grano fu prescelto da Dio come “contenitore” del mistero eucaristico. Un fatto unico, questo, in una pianta unica? Domande forse senza risposta, ma suggestive.
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Non ho alcun “profilo” su Facebook né mai ho frequentato Twitter. Il fatto è che, per quanto riguarda Facebook, mi dicono sia un buon mezzo per trovare amici con i quali conversare, scambiarsi opinioni, insomma corrispondere. Ma il mio problema è tentare di gestire con cortesia e un minimo di frequenza gli amici che già ho, figurarsi se se ne aggiungessero altri, quegli infiniti altri che frequentano la Rete! Ogni sera trovo la posta elettronica piena di decine di mail, cui troppo spesso, purtroppo, non riesco a rispondere. No, non ce la faccio più a rispondere a tutti, e me ne rammarico molto, visto che mi facevo il dovere di farlo quando le lettere erano in busta affrancata. Un incubo, se dovessi occuparmi anche delle “quattro chiacchiere in libertà” che, spesso, chiedono i frequentatori di Facebook
Quanto a Twitter: scrivere è un lavoro faticoso, in fondo disumano, non dimentichiamo che, per la stragrande maggioranza del tempo da cui gli uomini sono sulla terra, tutta la cultura fu soltanto orale. Gesù stesso parlò soltanto, non scrisse nulla. La scrittura è un fatto molto recente, considerati i ritmi lunghissimi della storia. Per me, in ogni caso, rappresenta una gran fatica, tanto che la gioia non è lo scrivere ma l’avere finito di farlo. E dovrei forse riempire le pause del lavoro, appunto, di scrittura, per comporre “messaggini” sulla tastiera, per dar notizia di quanto faccio o penso in quel momento? Se ne avessi la voglia e il tempo, terrei semmai quel diario privato, riservato, che avrei voluto fare e che non ho fatto, se non per pagine staccate e discontinue. Tra l’altro, mi pare che non si debbano superare i 140 caratteri per ogni invio: ma questo è un aggravio di fatica, niente costa più tempo e pena della sintesi. Mi viene in mente quel tale alla fine di una sua lettera: «Scusate se sono stato lungo, ma non ho avuto abbastanza tempo e voglia per essere breve».
Dico questo perché leggo che anche Benedetto XVI è ora presente in Twitter. Penso che, cortese e buono com’è, abbia ceduto alle pressioni di qualcuno del suo entourage, qualcuno tra quelli che pensano che l’attualità del Vangelo e la modernità del cristiano si mostrino in simili cose.
Quel che è certo è che c’è un pizzico di forzata “ipocrisia” in questo: se non ha tempo né voglia di impiegare tempo per questo neppure uno come il sottoscritto, figurarsi il pontefice! Dunque, ciò che apparirà su quello spazio non verrà da lui. Per ora, mi dicono, l’iniziativa ha provocato soprattutto un effetto poco entusiasmante: richiamare cioè, dalle viscere oscure della Grande Rete tutti gli esibizionisti, i frustrati, i blasfemi, i pornografi che si sfogano e cercano qualche briciola di presunta visibilità “scrivendo al Papa” e riempiendolo di ingiurie il più possibile pittoresche od oscene, pensando così di essere simpatici e originali. Poiché, in tutto, parteggio per un cristianesimo dell’et-et, non escludo certo dall’evangelizzazione questi nuovi strumenti, ma continuo a pensare che il vero apostolato stia, e starà sempre, nel tête à tête, nell’incontro tra persone, tra uomini e donne concreti, non virtuali. Come è convinto del resto, e come ci ha ricordato più e più volte nei suoi libri e discorsi, lo stesso Benedetto XVI.
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La cosa è molto significativa e non a caso ha provocato le reazioni stupite e sprezzanti della sinistra “pura e dura” e l’irritazione dei protestanti italiani, che hanno espresso la loro delusione in un’editoriale su Riforma, il settimanale dei valdesi e metodisti. Succede, cioè, che una televisionenazionale abbia convocato tutti e cinque i partecipanti alle “primarie”, cioè le elezioni per scegliere il candidato alla presidenza del consiglio, del Partito Democratico, il nome che (dopo averne cambiato tanti altri) si sono dati i vedovi e gli orfani del PCI, nonché una parte di coloro che formarono la sinistra democristiana. Al PD si sono associati i partitini di coloro che non si sono per niente “pentiti” e che si ostinano ad affermare che il futuro è nel comunismo. Ai cinque contendenti è stata fatta una domanda, indicativa per capire la loro prospettiva. E cioè: «Quale figura metterebbe nel suo pantheonideale? ».
Ebbene, Bersani, colui che ha poi vinto quelle primarie, non ha esitato: «Giovanni XXIII». Vendola, l’omosessuale che protesta perché non può sposare il suo convivente, il patetico profeta della rivoluzione da ricominciare, è passato da un papa a un cardinale: al centro del suo Pantheon sta «Carlo Maria Martini». La Puppato, esponente degli ambientalisti rossi, si è spinta addirittura a una senatrice democristiana: «Tina Anselmi». Tabacci, già militante della defunta DC: «Alcide De Gasperi», cioè colui che fu più avversato dal PCI di Togliatti, colui che volle l’esecrata, maledetta “legge truffa”. Renzi, il giovane gianburrasca che sfidava Bersani, ha indicato Nelson Mandela, il militante sudafricano contro l’apartheid che ha sempre rifiutato il comunismo e si è sempre definito un cristiano credente e praticante.
Non ha avuto torto il commentatore di un quotidiano: «Insomma, di cinque che erano, rappresentanti di ogni tipo di sinistra, nessuno che abbia potuto o voluto citare come propria fonte di ispirazione un leader della sinistra, presente, passata, nazionale, europea, mondiale. Nello studio televisivo è andata in scena la “rottamazione” dell’intero patrimonio, storico, mitico della gauche». In effetti, per rifare il conto: quattro candidati hanno indicato come figure ideali dei cattolici, mentre uno ha scelto un cristiano di tradizione anglicana, la più vicina al cattolicesimo.
IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 64 – 66
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