Siamo circondati da brutte notizie. Scrivo queste righe mentre – per stare solo al campo della cronaca – tv e giornali riferiscono di eventi tragici, talvolta criminosi: il terremoto che ha colpito l’Emilia causando 7 morti e danni immensi; l’attentato alla scuola brindisina con la morte di una giovanissima studentessa; quell’ancor giovane padre di famiglia che in un momento di assurda follia ha gettato dal settimo piano del suo appartamento a Brescia prima il figlio di 4 anni, poi la figlioletta di soli 14 mesi e infine si è tolto la vita seguendoli nel vuoto: e tutto ciò – dicono le cronache – a motivo di una lite con la moglie che, sconvolta, ha assistito alla tragedia. Tre eventi funesti, scelti però nel mucchio di tanti, troppi fatti angosciosi di cui i mass media ci informano quotidianamente.
E nell’animo esplodono domande.
Che cosa dobbiamo pensare di fronte a questa realtà?
Se la vita è appesa a un filo, e per quanto la si curi, si stia attenti, si sia prudenti, la si può perdere per cause improvvise e imprevedibili, talvolta banali quasi sempre incomprensibili, ha senso la nostra esistenza? O dobbiamo arrenderci all’assurdità di un desiderio innato di vivere, stroncato da circostanze che non dipendono da noi?
E ancora, a partire da una prospettiva cristiana: in che stato si trova, ora, la nostra anima? Siamo pronti a lasciare questa “valle di lacrime” anche senza preavviso? Domanda tutt’altro che banale, perché sappiamo bene di dover comparire davanti a quel Signore che – seppure con infinito amore – ci chiederà in ogni caso conto della nostra esistenza. Domande alle quali, alla fin fine, solo la fede è in grado di rispondere offrendoci qualche “bagliore” illuminante ciò che, in realtà, per la sola ragione resta un mistero: ci attende un’altra vita. Qui, in questo mondo – come dicevano i nostri vecchi – siamo solo di passaggio, così che, se questa prospettiva è vera – e lo è –, vivere dieci o cent’anni ha un valore relativo.
Ci attende l’eternità, dinanzi alla quale un decennio, un secolo o un millennio sono nulla. Certo, è una verità – questa – difficile da assimilare anche per chi vive coltivando il dono della fede, data l’umana debolezza. Ma è la sola verità capace di dar senso a ciò che altrimenti sarebbe soltanto un assurdo.
Resta ancora un punto da risolvere. Di fronte a certi eventi, che colpiscono innocenti, esplode incontenibile un desiderio di giustizia. Quando la morte sopraggiunge a causa dell’umana malvagità, colpendo innocenti che altro non chiedevano se non di vivere in santa pace, si esige che il bene tolto ingiustamente sia restituito e chi ha sbagliato paghi. Troppo il male inferto per cavarsela a buon mercato.
È un desiderio innato, buono, che va coltivato. A cui risponde, però, esaurientemente solo la fede: Dio non mancherà di riempire, con giusta e sovrabbondante misura, il vuoto lasciato dal bene sottratto a un innocente. A noi, resta la cristiana speranza che i colpevoli paghino il dovuto nel corso di questa esistenza. Altrimenti, salderanno il conto nell’altra vita, dove ogni sete di giustizia sarà esaudita. Lì, il prezzo è più caro. Forse, addirittura per sempre!
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