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15.12.2024

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Don Bosco
31 Gennaio 2014

Don Bosco


È stato uno dei più grandi educatori ed evangelizzatori. Aveva una sola preoccupazione: dare gloria a Dio e salvare anime. Anche quelle dei giovani “peggiori”

«Tutto passa: ciò che non è eterno è niente!», così ripeteva spesso san Giovanni Bosco (1815-1888) e questo fu il suo programma di vita. Lascia scritto il suo primo biografo, Giovanni Battista Lemoyne (1839- 1916): «Il più vivo desiderio di don Bosco, l’unico scopo della sua vita era la distruzione del peccato e che Dio fosse più conosciuto, servito, adorato ed amato in ogni luogo e da tutti».
Mancano due anni al bicentenario della sua nascita e la Famiglia Salesiana si è già mobilitata per festeggiare uno degli uomini più conosciuti al mondo, uno dei sacerdoti che ha lasciato nella storia un’impronta indelebile. Molti aspetti “inediti” emergono dai diciannove volumi monumentali redatti dai Salesiani Lemoyne, Angelo Amadei (1868-1945), Eugenio Ceria (1870-1957). Don Bosco era continuamente accompagnato dai sogni (per umiltà, don Bosco così definiva le sue visioni), dalla presenza di Maria Santissima, dalla Provvidenza. Egli intraprendeva i suoi folli progetti (venne considerato da molti un «pazzo») soltanto dopo averli vissuti nei “sogni”.

Formare buoni cristiani

Di fronte agli enormi e incontestabili successi educativi ottenuti da san Giovanni Bosco ci sarebbe la tentazione di formulare una più che ingannevole considerazione: nel XXI secolo è più difficile educare rispetto al XIX secolo. Don Bosco non sarebbe di questa opinione. Il tempo in cui egli educò fu difficilissimo, a partire dagli stessi allievi e non soltanto dalle circostanze a loro intorno. Gesù Cristo e Maria Santissima gli fecero vedere, già a 9 anni, chi sarebbero stati i suoi allievi: «belve feroci» che lui e i Salesiani avrebbero trasformato in agnelli.
Due furono i suoi ambiziosi obiettivi educativi (i Servi di Dio sono santamente ambiziosi, perché, se non lo fossero, non raggiungerebbero e non praticherebbero le virtù eroiche): condurre i ragazzi, anche quelli peggiori, a divenire «onesti cittadini e buoni cristiani» e attraverso di loro riformare la società, restaurando la civiltà cristiana ed estirpando le idee giacobine e liberali che la Rivoluzione Francese aveva inoculato nella cultura europea.
Don Bosco lottò con tutte le sue forze contro il liberalismo e contro la Massoneria, difendendo con passione e determinazione la fede cattolica e la Chiesa, che in quegli anni veniva aggredita con violenza dai gruppi di potere politici e culturali massonici e anticlericali. Don Bosco stesso fu più volte vittima di aggressioni, di minacce di morte, di attentati alla sua vita.
La cultura massonica veniva inoculata anche attraverso pedagoghi cristiani, ne è illuminante esempio l’operato dell’Abate Ferrante Aporti (1791-1858). Egli fu l’introduttore in Italia degli “Asili d’infanzia”, secondo il piano del protestante scozzese John Owen (1771-1858), responsabile di una setta sansimoniana. Aporti eresse il suo primo asilo nella città natale di Cremona nel 1830 e nello stesso tempo formò, con un proprio metodo, i maestri di scuola elementare.
Benché esistesse già in Torino, fin dal 1825, un fiorente asilo d’infanzia, di chiara impostazione cattolica (il primo in Italia), fondato dal Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838), i liberali proponevano nuovi modelli pedagogici per annientare l’istruzione di Santa Madre Chiesa, proponendo metodi d’impronta protestante. Gregorio XVI (1765-1846) nel 1839, con una circolare ai Vescovi dello Stato Pontificio, aveva fatto proibire gli Asili d’infanzia «in quanto erano della qualità promossa dal medesimo Aporti».
Don Bosco venne incaricato dall’Arcivescovo di Torino, Monsignor Luigi Fransoni (1789-1862), di verificare e di riferire ciò che veniva realmente insegnato nella nuova “Scuola di metodo”, perciò si fece uditore delle lezioni “alla moda” che Aporti teneva, con grande concorso di insegnanti, alla Regia Università di Torino. Don Bosco, che non era uomo di moda, ma di Dio, si accorse immediatamente che dalle lezioni venivano subliminalmente esclusi i misteri della religione. Per esempio, Aporti non voleva che si parlasse mai ai giovani dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso. La religione per Aporti era un sentimento, per Don Bosco la ragione della vita.
Aporti, che dopo qualche anno smetterà di celebrare la Santa Messa, escludeva le immagini della Madonna e dei santi, tanto dalle pareti, quanto dalle premiazioni… nella scuola venne lasciato il posto soltanto al Crocifisso, raggiungendo l’obiettivo delle sette e delle Logge. La scristianizzazione ha poi proseguito la sua corsa e oggi anche i Crocifissi spariscono dall’orizzonte sociale. Quando il salesiano don Francesco Cerruti (1885-1917), direttore generale degli Studi e delle Scuole salesiane, molti anni dopo, presenterà a don Bosco il Regolamento degli Asili d’infanzia per le Figlie di Maria Ausiliatrice, dirà il fondatore dei Salesiani: «Vuoi sapere chi allora fosse davvero Aporti? Il corifeo di coloro che nell’insegnare riducono la religione a puro sentimento. Tu ricordati bene che una delle magagne della pedagogia moderna è quella di non volere che nell’educazione si parli delle massime eterne e soprattutto della morte e dell’inferno».

Il «Capo dei birichini»

L’autorità di don Bosco, che derivava dalla sua amorevole paternità, era impressionante, la si percepiva anche quando era assente: per esempio, se doveva allontanarsi dalla classe, era sufficiente che lasciasse il suo tricorno sulla cattedra per mantenere il silenzio e l’ordine. Un altro esempio: poco dopo la Pasqua del 1855 ottenne dal Ministro dell’Interno Urbano Rattazzi (1808-1873) il permesso di portare a spasso i ragazzi del Riformatorio (il carcere minorile) di Torino: partì con loro il mattino presto, li condusse a Stupinigi e li riaccompagnò tutti e 300 alla “Generala”. Nessuno di loro fuggì: fu un episodio che riscosse un grande clamore.
Come faceva il «Capo dei birichini» (così si firmava) ad ottenere l’obbedienza? Non doveva gridare, bastava uno dei suoi sguardi taglienti, bastava che non proferisse parola, era sufficiente non dare il buongiorno o la buonanotte e l’ospite del suo Oratorio comprendeva la propria manchevolezza e colpa: a volte scoppiava in pianto e spesso si pentiva. Quello sguardo, quell’assenza di parole, quell’ignoramento erano la punizione più temuta dai giovani di Valdocco e ciò per due ragioni: avevano paura di aver perso la considerazione e l’amore di colui che consideravano più padre del proprio padre. «Cor unum et anima una»!

Ragione, Religione e amorevolezza

Il vincente metodo preventivo di don Bosco è sintetizzato nella formula: «ragione, Religione e amorevolezza». Questa pratica è appoggiata alle parole di san Paolo: «Charitas patiens est… Omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet» (1 Cor 13,4). Ovvero: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque cosa». Messa quotidiana, confessione, Comunione frequente erano i pilastri che don Bosco consegnava ai suoi amati ragazzi e a loro ricordava sempre le parole di san Filippo Neri: «Fate tutto quello che volete, a me basta che non facciate peccati». Ai peccati il fondatore dei Salesiani non diede mai tregua e per tale motivo il demonio andò a visitarlo più volte, perseguitandolo.
Scrutava i cuori, otteneva miracoli, resuscitava i corpi, levitava e poi: miracoli eucaristici, bilocazioni, profezie (anche sulla Chiesa) «allo scopo di promuovere la restaurazione cristiana dell’umana società», come afferma Lemoyne, «deviata dal sentiero della verità». Il Signore inviò, quindi, un uomo «di umili natali, ignoto e povero, senza alcuna ambizione e cupidigia, ma sospinto dalla sola carità verso Dio e verso il prossimo, zelantissimo della gloria di Dio, benemerentissimo della civiltà e della religione». Fu così che «riempì il mondo del suo nome» e siamo ancora qui a riempirlo, a quasi duecento anni dalla sua nascita, perché mai sazi di lui.

DA NON PERDERE

Cristina Siccardi, Don Bosco mistico (La Fontana di Siloe – marchio Lindau – pp. 402, € 24,50)

Raramente la figura di san Giovanni Bosco e la sua spiritualità sono presentate in modo corretto e completo. Cristina Siccardi offre un quadro “inedito” e dimostra, attingendo alle ricchissime fonti primigenie – le più attendibili in assoluto –, che egli visse sempre di “sogni”, ovvero fu continuamente visitato dal Divino, perché chiamato a realizzare un grande progetto nel quale la dimensione soprannaturale e quella naturale dovevano toccarsi, conducendo i ragazzi «peggiori» a divenire degli «onesti cittadini e dei buoni cristiani». Quello che emerge da queste pagine, dunque, non è il «santo sociale», ideologicamente impostato, non è il «manager », così in voga negli anni ’70 e ’80, non è il precursore della moderna psicologia, ma un uomo fatto di cielo e di carità, che si adopera per instaurare il Regno di Dio sulla terra. Uno straordinario sacerdote che lottò indefessamente, seguendo gli indirizzi della Tradizione e usando gli strumenti della dialettica e della carta stampata, per opporsi agli errori e alle eresie, al liberalismo e alla Massoneria, difendendo con passione e determinazione la fede cattolica e la Chiesa.

IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 26 – 27

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