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12.12.2024

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Dopo il «gender» ci aspetta il «queer»
3 Giugno 2014

Dopo il «gender» ci aspetta il «queer»

Il percorso verso la distruzione della natura umana non conosce sosta. Si affaccia all’orizzonte un’altra aberrazione, secondo la quale si può essere indifferentemente donne in corpi maschili o uomini in corpi femminili

 

 

 

Il movimento filosofico noto come «decostruzionismo», la cui origine è legata al nome di Jacques Derrida (1930-2004), si sviluppa a partire dagli anni Settanta del XX secolo. Non è semplice definirlo e descriverlo (e qui di seguito saranno inevitabili alcune semplificazioni), sia perché in generale gli autori riconducibili a tale linea di pensiero si oppongono ad ogni tentativo di definire qualsiasi concetto (da cui l’inevitabile complessità di alcuni dei seguenti discorsi), sia perché Derrida, in particolare, sviluppa la sua riflessione in un contesto culturale complesso, in cui convergono, tra l’altro, la critica poststrutturalista allo strutturalismo, l’influenza di Marx, Nietzsche e Freud e il confronto con la fenomenologia di Husserl e con l’ermeneutica heideggeriana.

 

Contro la metafisica

Derrida accoglie l’invito di Heidegger a distruggere la metafisica e lo fa portando alle estreme conseguenze l’antimetafisica strutturalista.

Lo strutturalismo ha negato l’esistenza di ogni sostanza (uomini, cose, spirito, materia) e ha ridotto la realtà a un’unica rete (pensiamo, per intenderci, alla rete di internet) di relazioni, ritenute autosufficienti, di cui ogni individuo che sembra esistere non è che un tratto. Con questa tesi, però, lo strutturalismo continuava ad affermare la possibilità di conoscere appunto le relazioni.

Ora, proprio questa fiducia nell’esistenza e nella conoscibilità delle relazioni appare a Derrida come un’espressione del desiderio di salvaguardare qualche significato stabile del discorso filosofico e qualche aspetto stabile della realtà.

Così, per contro, il decostruzionismo contesta la validità di qualsiasi principio logico, nega per esempio il “principio di identità” e il “principio di non contraddizione”, e asserisce che affermare l’esistenza di strutture relazionali (ancora ammesse dallo stutturalismo) equivale a voler dominare la realtà con il logos (la ragione umana), equivale a voler imporre i nostri schemi mentali all’essere.

In questo senso, Derrida parla di «logocentrismo », quale tendenza della ragione a porre come fondamento (della sua attività e dell’essere in generale) l’esistenza e la razionalità della realtà, che viene raffigurata con concetti univoci (con un solo significato) e con un significato definito.

 

La celebrazione delle differenze

Lo scopo ultimo della decostruzione è scardinare qualsivoglia significato mediante la moltiplicazione dei significati delle parole. Dai decostruzionisti il significato di ogni termine linguistico viene così esposto a nuove configurazioni, innesti e assemblaggi senza che sia possibile individuare in esso alcun senso ed alcun fine.

Contestando l’identità delle cose, delle persone, ecc., contestando e negando l’esistenza di una essenza delle cose, negando l’esistenza di ciò che è comune a più cose, entità, ecc. (per esempio, per la metafisica l’essenza di uomo è ciò che è comune a tutti gli uomini, che poi possono essere diversi per molti aspetti), il decostruzionismo vuole proclamare il primato della differenza, vuole celebrare la differenza, la différance come la chiama Derrida (il termine francese usato da Derrida è volutamente scritto con la a anziché con la e di différence, come invece sarebbe corretto, per motivi che qui sarebbe lungo spiegare). La pratica decostruttiva, nelle intenzioni di Derrida, è strettamente associata a risvolti etici e politici: la stessa nozione di différance «istiga alla sovversione» verso ogni forma di potere e di repressione dell’alterità.

 

L’identità sessuale scompare

È in questo contesto, teorico e insieme politico, che l’ideologia gender viene superata. L’ideologia gender dice che il sesso con cui nasciamo biologicamente è irrilevante e sostiene che noi siamo moralmente autorizzati a vivere e a comportarci come ci sentiamo psicologicamente, siamo moralmente autorizzati ad attribuirci il genere che vogliamo e a vivere conseguentemente a questa scelta: nella versione base di questa ideologia, i generi da scegliere a proprio piacimento sono 5: maschio, femmina, bisessuale, omosessuale e transgender; ma ci sono versioni di questa ideologia in cui si asserisce un ventaglio di scelta fra molti più generi.

Ma, come detto, oggi l’ideologia gender lascia il posto alla teorizzazione queer, che attinge dal decostruzionismo. «Queer» significa strano, obliquo, strambo e indica un modo di pensare e vivere la sessualità che rifiuta esplicitamente l’identità sessuale come dato biologico (il nascere maschi o femmine) e nega la distinzione sessuale. La teoria queer rifiuta ogni identità fissa e data, non disponibile all’uomo, afferma che si può essere indifferentemente donne in corpi maschili o uomini in corpi femminili, sia cambiando chirurgicamente il proprio corpo, sia accettando ambiguità sessuali e compresenza in se stessi di maschile e femminile, preferendo l’indeterminazione all’identità sessuale. In questa prospettiva, l’identità non esiste: tutt’al più esiste l’identificazione che ciascuno fa di se stesso, ma essa è una costruzione fluida e sempre destinata a cambiare nell’agire quotidiano. Così, in nome dell’antiessenzialismo (la critica antimetafisica al concetto di sostanza e di essenza), la teoria queer non solo intende smascherare e negare la visione della sessualità radicata nella natura maschile e femminile, ma giunge a prescriverne il superamento in nome del polimorfismo (la molteplicità di forme di sessualità) e del pansessualismo.

 

Una critica

Da un punto di vista teorico l’inconsistenza del decostruzionismo e dell’antropologia ad esso collegata è immediatamente evidente: se non esiste alcuna sostanza, né esiste una natura umana e, in generale, non esiste un’identità delle cose, la proclamazione del primato della differenza non ha alcun significato: la differenza infatti è tale solo a partire dal confronto tra identità tra loro diseguali.

Inoltre, se il discorso decostruttivista ha intenzione di trasmettere un messaggio, deve attribuire necessariamente un significato intelleggibile ai termini che esso stesso utilizza e questo può avvenire solo fondandosi sul principio d’identità e sul principio di non contraddizione, il cui valore risulta così contemporaneamente affermato e negato dal decostruzionismo. Se non vale il principio di non contraddizione ogni parola ha un significato, il significato opposto e infiniti significati: ma in tal modo, anche il discorso dei decostruzionisti diventa insignificante e non scalfisce la filosofia metafisica.

Tuttavia, la critica teorica corre il rischio di mancare il bersaglio perché, come notava Hilary Putnam, «criticare il decostruzionismo è come cercare di fare a pugni con la nebbia» (Rinnovare la filosofia, Garzanti 1998, p. 108).

Se la decostruzione è soprattutto una pratica che si propone di promuovere la dissoluzione delle identità, la critica più rigorosa ed efficace sembra consistere nella proposta di valorizzare, testimoniare e difendere pubblicamente la gioia di vivere e l’armonia che nasce dall’accettazione di sé e della propria identità sessuale data per natura e per nascita, anzi dal concepimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per saperne di più…

 

Laura Palazzani, Sex/gender: gli equivoci dell’eguaglianza, Giappichelli, 2011.

 

 

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