15.12.2024

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Dopo il genocidio. Cambogia sempre rossa
1 Febbraio 2014

Dopo il genocidio. Cambogia sempre rossa



Negli anni Settanta del secolo scorso si è consumato in Cambogia uno spaventoso genocidio. Circa il 25% della popolazione eliminato in nome del comunismo maoista. Dopo oltre tre decenni e nonostante un costoso processo, giustizia e verità stentano a emergere. Forse perché al potere ci sono ancora dei comunisti, seppure di un’altra fazione

A quasi 30 anni dalla caduta del regime, e dopo un decennio di tentennamenti, nel 2006 si sono aperte a Phnom Penh, capitale della Cambogia, le udienze del Tribunale Penale Internazionale contro i responsabili di un massacro inaudito, definito da alcuni un “autogenocidio”. Sono i cosiddetti “Khmer rossi”, accusati di genocidio, crimini contro l’umanità, omicidio, tortura e persecuzione religiosa. Ma tutto avanza a rilento, nell’indifferenza e con risultati risibili, anche se per il solo periodo 2006-2011 sono stati spesi 141 milioni di dollari. I funzionari in attesa degli arretrati di retribuzione (per esempio i traduttori, come accaduto in marzo) ogni tanto scioperano, oppure giudici e avvocati danno forfeit per via di certe pressioni. Per ora c’è un solo condannato, all’ergastolo, Kaing Khek Lev, nome di battaglia “Duch”, responsabile del famigerato carcere S-21 della capitale (oggi è il museo Tuol Sleng sul genocidio), per mesi anche imputato unico. Da metà del 2011 sono sotto processo l’ex capo di Stato, Khieu Samphan, 81 anni; l’ideologo del regime, Nuon Chea, 86 anni; e l’ex ministro degli Esteri, Ieng Sary, 87 anni. La sanguinaria Ieng Thirith, detta la “first lady dei Khmer rossi” (è moglie di Ieng Sary e sorella di Nuon Chea), è stata scarcerata nel settembre 2012 poiché affetta da Alzheimer. Il gran regista della mattanza, Pol Pot, è morto in prigione nel 1998.

Come si è giunti alla Cambogia comunista

Nell’ottobre 1930, in Cina, viene fondato il Partito Comunista Indocinese (PCI) come “regionalizzazione” strategica del Partito Comunista del Vietnam, la federazione creata da Ho Chi Minh (1890-1969) in febbraio fra le tre forze marxiste-leniniste già attive in Vietnam. Al ritorno del colonialismo francese, dopo l’occupazione giapponese della regione nella Seconda guerra mondiale (1939-1945), che aveva comportato la messa fuorilegge del PCI fino al 1945, s’impone una nuova strategia. Nel 1951, il PCI si ramifica in sezioni “nazionali” attive in Vietnam, Laos e Cambogia, Paese noto, pure internazionalmente, anche con il nome di Kampuchea, nella lingua dei Khmer, l’etnia maggioritaria nel Paese. Nascono il Partito dei Lavoratori del Vietnam (PLV), il Pathet Lao (cioè “Nazione laotiana”, in realtà creato già nel 1950 come fronte anticolonialista) e il Partito Rivoluzionario del Popolo di Kampuchea (PRPK).
Nel 1953, nella Cambogia abbandonata dai francesi dopo la sconfitta nella prima fase della Guerra d’Indocina (1946-1954) – la seconda essendo la Guerra del Vietnam – viene restaurata la monarchia parlamentare di Norodom Sihanouk (1922-2012), ma gli anni 1960 sono una grande escalation di guerriglia comunista, gestita da quelli che il re chiama “Khmer rossi”. Matura così, con l’appoggio della CIA, il golpe militare operato nel 1970 dal generale Lon Nol (1913- 1985), già primo ministro del regno e ora presidente della neonata repubblica. In esilio a Pechino, Sihanouk si allea a Saloth Sar, nome di battaglia “Pol Pot” (1925-1998), leader dei Khmer rossi, creando il Fronte Unito Nazionale Khmer. La fine della Guerra del Vietnam, che intronizza i comunisti a Saigon il 30 aprile 1975, porta al potere il Pathet Lao a Vientiane il 2 dicembre e i Khmer rossi a Phnom Penh il 17 aprile.

Un regime aberrante
Dapprima i Khmer rossi nominano re Sihanouk presidente, ma senz’alcun potere, poi, nel 1976, lo arrestano per “restaurazione monarchica”. Condannato a morte, riesce a fuggire a Taiwan. Il “nuovo corso” viene chiamato “Kampuchea democratica”, ma è uno dei regimi più bui e sanguinari della storia, simile alla follia anabattista che nel 1534-1535 travolse la cittadina tedesca di Münster e al genocidio giacobino che nel 1793-1794 annientò la Vandea, all’incubo dell’Albania comunista di Enver Hoxha (1908-1985) e al Terzo Reich (1933- 1945) nazionalsocialista. Con Pol Pot trionfa l’ala nazionalista e filocinese dei Khmer rossi. Il modello è Mao Zedong (1893-1976) e soprattutto lo sono le sue “campagne rieducative”, i suoi laogai, gli stermini di massa, le disastrose utopie economiche, gli esperimenti sociali più assurdi e ovviamente la persecuzione di tutte le religioni.
Gli stranieri vengono espulsi o uccisi. I contatti esterni sono chiusi (ma non le ambasciate di Albania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Laos e Jugoslavia). L’Unione Sovietica e i suoi alleati, primi fra tutti gli scomodi vicini del Vietnam, vengono scacciati con la violenza perché rei di avere riconosciuto il regime di Lon Nol. Strutture e risorse sono statalizzate. Nelle fattorie comuni i cambogiani sono deportati a lavorare come schiavi in nome di un collettivismo che produce solo carestie. La tonnellata di riso prodotta da ogni ettaro di terra coltivabile dev’essere presto triplicata: e i turni di lavoro si fanno di 12 ore senza pause, con poco cibo e nessuna assistenza.
Le professioni “borghesi” (insegnanti, avvocati, medici) sono cancellate. Chiusi scuole e ospedali. La medicina occidentale è sostituita da “rimedi nazionali”, ed è il disastro sanitario. Banche, finanza e denaro sono aboliti. Così anche la magistratura. Le religioni sono dichiarate fuorilegge ed estirpate da organismi ad hoc. Possedere manufatti occidentali è un reato capitale, come parlare una lingua estera o portare quegli occhiali che consentono di leggere le “bugie” straniere. I “nemici del popolo” sono falcidiati per “classi”, per esempio la vecchia burocrazia; con la morte sono puniti anche i reati più piccoli. La specificità dei mariti e delle mogli è dichiarata superata; a chiunque è impedito levare anche solo un dito su minori e altri sottoposti, giacché questo è consentito solo allo Stato; e i figli vengono strappati ai genitori per essere educati dal partito. Persino la lingua viene trasformata, e ognuno deve ideare nuovi caratteri “rivoluzionari” di scrittura.
Si cerca, insomma, di rifare daccapo il mondo, giacché quello esistente è sbagliato. E così il calendario rivoluzionario fissa l’“Anno zero” alla presa del potere di coloro che, rifiutando il nomignolo “monarchico” di “Khmer rossi”, si definiscono “Khmer prima dell’Anno zero”: sono i creatori del mondo corretto da cui iniziano spazio e tempo rinnovati, il Big Bang della Rivoluzione.

Il “partito-dio”

Viene persino stabilita l’esistenza dell’“Angkar Padevat”, cioè “Organizzazione Rivoluzionaria”, o “Angkar Loeu”, cioè “Alta Organizzazione”: è un’oscura entità superiore a tutto, di cui persone e cose sono solo strumenti. Al popolo è imposto di adorarla come una “divinità politica”.
Sublimazione del Partito comunista cambogiano, i cui componenti sono per lo più ignoti alle masse, è la fonte del bene e del male, lo strumento della giustizia, il guardiano della rivoluzione, la misura della morale, il boia contro i “nemici del popolo” e il consolatore delle masse ossequiose. I suoi “sacerdoti” sono i membri del “Nucleo del Partito”, ossia il comitato centrale del “Kena Mocchhim”, cioè l’“Apparato del Partito”. Assumono il titolo di “Fratello” seguito da un numero progressivo. È una classe dirigente cinica e spregiudicata, fatta di cinquantenni di estrazione borghese spesso educati in quelle medesime università francesi che dal 1968 cercano d’imporre in Occidente una controcultura in ampia parte ispirata proprio al maoismo. Pol Pot, il “Fratello numero 1”, era del resto un fervido ammiratore della Rivoluzione Francese (1789-1815), a Parigi (dove dal 1949 al 1953 spese una borsa di studio in radioingegneria con risultati disastrosi per via dell’impegno politico) ebbe come maestro e amico il filosofo marxista-esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905-1980), nel 1950 aderì a una brigata internazionale di operai comunisti che si recò a costruire strade nella Jugoslavia marxista, nel 1951 entrò nel Circolo Marxista Khmer allestito dagli studenti cambogiani in Francia e nello stesso anno s’iscrisse al Partito Comunista Francese.
La manovalanza brutale dell’“Angkar” è inquadrata nell’“esercito rivoluzionario”, composto da una massa fanatizzata di semiselvaggi arretrati e analfabeti, tra cui assai di frequente spiccano gli adolescenti “rieducati”. Violenze, torture, assassini e massacri sono all’ordine del giorno.

L’ecatombe

Il numero dei morti mietuti certifica bene l’essenza del regime. Le truppe d’invasione vietnamite che vi hanno messo fine hanno parlato di 3,3 milioni di vittime. Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Stato ne ha calcolato 1,2 milioni, l’Università di Yale 1,7 milioni e lo studioso Rudolph J. Rummel, dell’Università delle Hawaii, autore del fondamentale Stati assassini. La violenza omicida dei governi (trad. it. a cura di Stefano Magni, Rubbettino, 2005), due milioni. Pol Pot ne ha ammessi 800mila. Oggi è accreditata una stima che indica la cifra in quasi due milioni. Ma sono i termini percentuali a far inorridire. Il censimento del Paese nel 1972 aveva contato 7,1 milioni abitanti: il che significa che, in un tempo rapidissimo, da metà del 1975 alla fine del 1978, è stato eliminato – calcolando prudentemente – più del 25% della popolazione.

Potere ai (vecchi) compagni

Il regime omicida dei Khmer Rossi è stato deposto il 7 gennaio 1979 dai vietnamiti che hanno invaso il Paese il 22 dicembre 1978. Dopo un decennio di guerra civile, le elezioni del 1993 hanno comportato il ritorno della monarchia. Tradito da alcuni dei suoi, Pol Pot è stato arrestato nel 1997. Nel 2004, Siahnouk ha abdicato in favore del figlio Norodom Sihamoni.
Ma chi dal “cessate il fuoco” del 1991 detiene il potere nel Paese è il Partito del Popolo Cambogiano (PPC), cioè il partito comunista filovietnamita imposto a suo tempo da Hanoi; l’intervento vietnamita era del resto forse stato propiziato proprio dai suoi simpatizzanti all’interno della “Kampuchea democratica”. Il PPC parla ora di “socialismo democratico”, eppure è in gran parte composto da ex Khmer rossi appartenenti all’ala “perdente” negli anni bui di Pol Pot ma sempre parte integrante della sua macchina di morte: per esempio, il suo vicepresidente e attuale Primo Ministro cambogiano Hun Sen. Pol Pot è finito come quel Maximilien Robespierre (1758-1794) che tanto amava: vittima a tradimento del Terrore da lui stesso creato, in modo che i suoi compagni terroristi potessero succedergli applauditi come “coraggiosi” tirannicidi.


Ricorda

«Eravamo impietositi soprattutto dalla sorte di venti bambini, figli di deportati dopo il 17 aprile 1975. Quei bambini avevano rubato perché avevano fame. Li avevano arrestati non per punirli, ma per metterli a morte in modo molto crudele:
– le guardie carcerarie li picchiavano e li prendevano a calci finché non morivano;
– ne facevano dei giocattoli viventi attaccandoli per i piedi al tetto e, lì appesi, li facevano dondolare, poi a calci cercavano di riportarli alla posizione di partenza;
– vicino alla prigione c’era uno stagno; gli aguzzini vi gettavano i piccoli prigionieri, li tenevano immersi premendoli con i piedi e, quando quegli sventurati venivano presi da convulsioni, li lasciavano emergere un attimo per poi rificcarli subito sott’acqua.
Noi, gli altri prigionieri e io, piangevamo di nascosto sulla sorte di quei poveri bambini che avevano lasciato questo mondo in una maniera così atroce. I carnefici erano otto guardie carcerarie. Bun, il capo, e Lan (ricordo solo questi due nomi) erano i più terribili, ma tutti hanno preso parte a queste azioni ignobili, tutti hanno gareggiato in crudeltà per fare soffrire i loro compatrioti».
(Testimonianza di un ex-funzionario cambogiano, in AA.VV., Il libro nero del comunismo, Mondadori, 1998, pp. 574-575).



IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 22 – 24

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