Perché dobbiamo chiedere ai santi di intercedere per noi? Risponde il Catechismo della Chiesa Cattolica e il grande san Tommaso d’Aquino. Che ci offre cinque ragioni per affidarsi a più di un santo
Aveva un bel dire, il povero Bertolt Brecht, che è beata la terra in cui non c’è bisogno di eroi. E, per quanto quella frase messa in bocca al suo Galileo fosse un abbaglio evidentemente laico, non la si può disgiungere dalla consonanza con la desolazione della sua terra tedesca, spopolata di santi da secoli di religione luterana. Qualsiasi terra, in qualsiasi tempo, ha bisogno di eroi e, a maggior ragione, ha bisogno di santi. Non a caso, la Chiesa cattolica, che come insegna G.K. Chesterton è il luogo in cui tutte le verità si danno appuntamento, ha popolato il mondo di santi e li mostra in Cielo a quanti sono ancora pellegrini su questa terra.
Eppure, persino in casa cattolica, oggigiorno, davanti a questa mirabile concretizzazione della comunione dei santi, c’è chi arriccia il naso, fa l’“intellettualino” e butta lì concetti come credulità o superstizione. C’è chi arriva persino a parlare di paganesimo latente. Non capisce come ci si possa affidare a qualche intermediario tra gli uomini e Dio e, se deve indicare una pratica che proprio non comprende, è quella del votarsi a un santo patrono: di una città, di un mestiere, di una categoria.
Ma, se anche non piace a tanti “intellettualini” così adulti da non sentire il bisogno di affidarsi a qualcuno di più grande, questa pratica corrisponde a una verità di fede: la comunione dei santi, appunto, che anche loro dovrebbero recitare nel Simbolo Apostolico. In ogni caso, se proprio non li fa sentire bambini, prendano il Catechismo della Chiesa Cattolica e vadano al punto 956: «L’intercessione dei santi. A causa infatti della loro più intima unione con Cristo, i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità […]. Non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. […] La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine».
E poi al punto 957: «La comunione con i santi. Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d’esempio, ma più ancora perché l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio».
Tutti i cristiani battezzati, dunque, sono uniti a Gesù Cristo e animati dal suo stesso Spirito in modo da formare un solo corpo. Un regalo davvero celeste per povere creature che, lasciate sole, in cambio potrebbero offrire soltanto le loro miserie. «I meriti di Cristo» scrive padre Dragone nella sua sempre attuale Spiegazione del Catechismo pubblicata la prima volta dalle Edizioni Paoline nel 1956, «quelli incommensurabili della Santa Vergine, quelli di tutti i Santi e delle anime buone defunte o tuttora viventi formano un tesoro di valore infinito, una ricchezza di famiglia. I frutti di questo tesoro salgono a Dio come adorazione, onore, gloria, ringraziamento, e provocano una pioggia di misericordia e di grazia su tutti i cristiani della terra e del purgatorio e, indirettamente, su tutti gli uomini».
Non si potrebbe dipingere immagine più realistica e consolante della corrispondenza tra Cielo e terra, che, nella Questione 72 del Supplemento della Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino, viene esposto con cattolicissima chiarezza: «“È disposizione divina che gli esseri più lontani da Dio ritornino a lui per mezzo di quelli più vicini”, come scrive Dionigi […]. Ora, dato che i santi del cielo sono vicinissimi a Dio, l’ordine divino esige che noi, “che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore” (2 Cor, 5-6), siamo ricondotti a lui per mezzo dei santi. Il che avviene quando la bontà divina, per loro mezzo, effonde su di noi i suoi effetti benefici. E dato che il nostro ritorno a Dio deve corrispondere all’effusione della bontà divina in noi, come i doni di Dio ci giungono per mezzo dei santi, così noi dobbiamo avvicinarci a lui, per ricevere ulteriori doni, facendo ricorso ai santi. Per questo li costituiamo come intercessori presso Dio e come intermediari, quando li supplichiamo di pregare per noi».
Ecco così che, al punto 2683, il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega:«I testimoni che ci hanno preceduto nel Regno, specialmente coloro che la Chiesa riconosce come “santi”, partecipano alla tradizione vivente della preghiera, mediante l’esempio della loro vita, la trasmissione dei loro scritti e la loro attuale preghiera. Essi contemplano Dio, lo lodano e non cessano di prendersi cura di coloro che hanno lasciato sulla terra. Entrando nella “gioia” del loro Signore, essi sono stati stabiliti “su molto”. La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli di intercedere per noi e per il mondo intero». E di seguito, al punto 2684: «Nella comunione dei santi si sono sviluppate, lungo la storia della Chiesa, diverse spiritualità. Il carisma personale di un testimone dell’amore di Dio per gli uomini si è potuto trasmettere, come “lo spirito” di Elia a Eliseo e a Giovanni Battista, perché alcuni discepoli avessero parte a tale spirito. Una spiritualità è anche alla confluenza di altre correnti, liturgiche e teologiche, e testimonia dell’inculturazione della fede in un contesto umano e nella sua storia. Le spiritualità cristiane partecipano alla tradizione vivente della preghiera e sono guide indispensabili per i fedeli. Esse, nella loro ricca diversità, riflettono l’unica e pura luce dello Spirito Santo». Naturale, dunque, che ciascun fedele si affidi agli intercessori che più gli sono affini. Ma, anche in questo, nella sua saggezza la Chiesa offre dei criteri per orientarsi e per ottenere i frutti maggiori dalle proprie preghiere. E la via dei santi patroni è tra le più chiare e le più efficaci, poiché è il frutto della saggezza della Chiesa, la quale sa che, come insegna San Tommaso, i diversi santi hanno ricevuto da Dio particolari doni e, dunque, particolare efficacia per esigenze diverse.
Così, se il napoletano avrà maggior confidenza e maggior aiuto da San Gennaro, il milanese l’avrà da Sant’Ambrogio, il giornalista da San Francesco di Sales e il militare da San Giorgio o Sant’Ignazio. Per non dire della grande e fruttuosa pratica di affidarsi al santo di cui si porta il nome, vero e proprio patrono personale. Ma, se si vogliono scandalizzare ulteriormente gli “intellettualini” alla Brecht, si può continuare. Siccome la vita di ogni persona è multiforme, procede per varie strade e comporta varie attività, è buona norma affidarsi a più di un santo, chiedere aiuto a più di un patrono. È ancora la Summa di Tommaso a spiegarlo, laddove si risponde all’obiezione secondo cui sarebbe meglio affidarsi a pochi santi e scegliendoli solo tra i maggiori: “«È vero che i santi maggiori sono più accetti a Dio, ma talvolta è bene pregare anche i santi minori. E questo per cinque motivi. Primo, perché spesso uno ha più devozione per un santo minore che per un santo maggiore. Ora, l’effetto della preghiera dipende soprattutto dalla devozione. – Secondo, per combattere la noia. Poiché le stesse cose finiscono per generare fastidio. Se noi invece preghiamo santi diversi, eccitiamo per ognuno un nuovo fervore di devozione. – Terzo, perché alcuni santi hanno avuto il dono di aiutare in particolari necessità: Sant’Antonio, per esempio, ha avuto quello di liberare dal fuoco infernale. – Quarto, perché a tutti venga da noi concesso l’onore dovuto. – Quinto, perché con un gran numero di intercessori si ottiene talvolta ciò che non si ottiene con uno solo».
Come accade normalmente per tutto ciò che riguarda la dottrina cattolica, anche in questo non vi è nulla di più ragionevole. Se i santi, e soprattutto Maria Santissima, sono particolarmente cari al Signore per aver compiuto la sua volontà, non si vede perché non debbano aiutare le creature che stanno ancora sulla terra: le amano come fratelli, Maria addirittura come figli, e dunque sono bramosi di aiutarle e di soccorrerle intercedendo presso Dio. La dolce insistenza di Maria durante le nozze di Cana ne è un esempio mirabile.
Dossier: SANTI PATRONI
IL TIMONE N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 44 – 45
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