Strumento di evangelizzazione, baluardo di libertà,difesa dal totalitarismo:la Dottrina Sociale della Chiesa è ancora poco conosciuta. Spunti per una riflessione.
In epoca moderna si è imposto un progetto culturale, sociale e politico che ha concentrato i valori più alti (religiosi, morali, culturali, civili) nello Stato totalitario. Gli esiti sono stati, a dir poco, drammatici e funesti: basti pensare al regime marxista-leninista dell’Unione Sovietica, al fascismo italiano e al nazismo tedesco. Non v’è da stupirsi più di tanto se tale progetto, sostanzialmente ateistico, consideri la Chiesa una scomoda presenza, una acerrima nemica da relegare all’opposizione, limitare nella libertà o, nei casi estremi, persine da eliminare.
Ciò premesso, si comprende bene come la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) nasce, innanzitutto, dalla sua consapevolezza di rappresentare una concezione cristiana e cattolica “tradizionale” che vuoi farsi presente concretamente, in aperta dialettica con quella laicista “moderna” e contemporanea. Proprio con la DSC, la Chiesa si assume il compito di affermare l’esistenza di un modo diverso di considerare la persona umana, la ragione, la famiglia, la società e lo Stato.
È compito della Chiesa affermare con chiarezza e sostenere con forza quella visione dell’uomo e della realtà, attestata da una tradizione di fede due volte millenaria e radicata addirittura nella Rivelazione divina in Cristo. E poiché nella politica si gioca l’intera visione dell’uomo, è ovvio che la Chiesa subisca l’attacco da parte di chi vuole imporre un progetto totalmente estraneo alla sua. Resta il fatto che la DSC è il più serio tentativo della presenza missionaria della Chiesa: essa mira a far incontrare con la fede l’uomo concreto, con le sue problematiche storiche, personali e sociali. Se non l’avesse fatto, avrebbe vanificato la fede e tradito l’uomo. La DSC attinge dalla Sacra Scrittura, “utile – scrive san Paolo – per insegnare, convincere, correggere e formare, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tim 3,16). E la Tradizione vivente della Chiesa trova nella Parola scritta insegnamenti fondamentali che riguardano la persona umana e la sua irrinunciabile dimensione sociale.
Pur tenendo conto dei diversi contesti socio-culturali nei quali si sono venuti a trovare il popolo dell’Antica Alleanza, Gesù e la Comunità primitiva, il teologo morale trova nella Legge, nella Profezia e nella Sapienza, contenute nella Parola rivelata e nella Tradizione ecclesiale, molti punti acquisiti e qualificanti il Magistero Sociale della Chiesa. Gli esempi non mancano: la sacralità di ogni persona creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua natura sociale, la carità come legge nuova del discepolo che perfeziona la giustizia; l’esigenza di spazi adeguati per vivere liberamente la propria sequela di Cristo anche con tutti i fratelli della comunità ecclesiale; la dignità e i significati del lavoro, la destinazione universale dei beni e il diritto di proprietà; il primato del Regno di Dio nei confronti di ogni realtà o istituzione terrena, la reale possibilità della Chiesa di svolgere la sua missione dando a Dio quel che è di Dio, ecc.
Dunque, come si può ben intuire, la DSC si radica nella specifica missione evangelizzatrice della Chiesa e costituisce strumento imprenscindibile e parte integrante della “nuova evangelizzazione”. La DSC appartiene all’ambito della teologia morale, riceve la sua originale identità dalla Rivelazione stessa e assume da questa peculiare disciplina teologica fonti e metodo. Ne consegue che i principi di riflessione, le direttive d’azione, i criteri di giudizi contenuti nella DSC non appartengono, dunque, al campo ideologico delle elaborazioni, teorie o sistemi socio-politici; e non forniscono soluzioni tecniche ai problemi sociali di ogni tempo e luogo. Essa consiste, insegna Papa Giovanni Paolo II, nella “accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo e della società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente: per orientare, quindi, il suo comportamento cristiano” (Sollicitudo rei socialis, 41).
Si può capire facilmente, allora, come la DSC, già contenuta nell’insegnamento apostolico e senz’altro in quello dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali, si è sviluppata con il susseguirsi degli avvenimenti storici. Per sua natura poi, essa realizza la sua efficacia storica nella misura in cui tutta la comunità ecclesiale diviene responsabile testimone della rilevanza sociale del Vangelo: “Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2422).
Anche in questo campo, infatti, è accertata convinzione della Chiesa che la “natura” e la “grazia”, la “ragione” e la “fede” non si contrappongono, ma si esigono, si illuminano e si rafforzano a vicenda. Le società mutano in continuazione, ma la Chiesa non può rinunciare ad essere presente ed esercitare la sua missione. In tal senso, la DSC altro non è che uno strumento della sempre “nuova evangelizzazione”, che mira a far si che ogni uomo possa trovare in Cristo la propria verità e salvezza. Alla “nuova creatura”, nata dall’incontro con Cristo, è dato anche un nuovo orizzonte di conoscenze e di azione, entro il quale potrà dare soluzione anche ai suoi problemi sociali; non senza una seria elaborazione culturale e in costante corretto dialogo con ogni uomo di buona volontà.
Purtroppo, nella rigorosa scristianizzazione operata nella società moderna e contemporanea, l’Avvenimento salvifico cristiano è stato sistematicamente sostituito con la concezione dell’uomo che basta a se stesso e che si realizza in un “progetto ateistico” (Centesimus annus, n. 23). A tale impostazione antropologica non potevano che opporsi gli interventi del Magistero ecclesiale dell’ultimo secolo. L’hanno fatto con la denuncia e con la proposta; seguendo un metodo più deduttivo o più induttivo, esortando al discernimento e a partire dall’uomo. L’hanno fatto ribadendo punti fondamentali, che costituiscono un “corpus” articolato e organico di tutto rispetto. Li richiamiamo in estrema sintesi. In primo luogo: priorità della persona sulla società. La persona umana consiste ed è ben definita solo a partire dal suo rapporto con Dio, al quale è naturalmente aperta e del quale è creata immagine e somiglianza. Creata per se stessa, non può mai essere ridotta a mezzo; ha dignità infinita, è soggetto di diritti inalienabili; deve restare alla radice, al centro e al vertice di ogni forma di socialità. Dall’incontro con Cristo, la persona riceve una novità ontologica e un nuovo principio di conoscenza e di azione. Tutto ciò evita che sia ridotta a frammento della materia fisica o a numero anonimo di qualsiasi colletti-vismo. Le situazioni culturali, socio-economiche e politiche, dei diversi tempi e luoghi, poco o tanto la condizionano; ma non la determinano mai del tutto. Con la sua libertà creativa intrattiene relazioni e costruisce una società al suo servizio. Una società e uno Stato sono realmente democratici nella misura in cui riconoscono e si pongono al servizio della libertà di questo tipo di uomo, e innanzitutto della libertà di professare anche comunitariamente la propria religione.
In secondo luogo: preminenza della società sullo Stato. La persona umana per sua natura è anche un essere sociale, data la sua innata indigenza e la sua connaturale tendenza a comunicare con gli altri. Ne consegue che per la crescita integrale della persona è necessaria la partecipazione e l’integrazione sociale; ma qualsiasi forma di società civile deve restare sempre al servizio della persona. Le persone si esprimono e crescono, dando liberamente origine a diverse forme di società dette “organismi intermedi”: famiglia, associazioni el forme di cooperazione educative e lavorative, enti locali, ecc. Il potere politico, il diritto e le strutture economiche sono al loro servizio e ne integrano le insufficienze in vista dell bene comune.
Ne deriva che lo Stato liberale non deve confinare nella sfera privata el individuale i valori etici, religiosi, ideali del cittadino; lo Stato totalitario non deve asservire, concentrare, dominare ogni valore ed iniziativa sociale; lo Stato sociale, del benessere, assistenziale, non può tollerare un vuoto istituzionale, giuridico e politico.
In terzo luogo: la Chiesa non è subordinata allo Stato. La sbandierata formula “libera Chiesa in libero Stato” è servita, di fatto, ad intendere la distinzione e la separazione della Chiesa dallo Stato come assorbimento della Chiesa nello Stato. Lo Stato liberale (e ancor più quello totalitario) ha preteso di concedere diritto ad esistere e di normare ogni espressione ed opera esterna e sociale dell popolo cristiano. La Chiesa è stata ridotta ad una funzione pedagogica e morale, sempre all’interno dello Stato, come parte integrante di esso, come “strumento del regno”. Ciò è avvenuto dai tempi di Machiavelli, della formula “cuius regis, eius et religio”, della Costituzione civile del clero, dei recentemente caduti regimi dell’Est europeo, ecc.
La Chiesa ha sostenuto la distinzione tra Chiesa e Stato dai tempi del Decreto di Papa Gelasio I (+ 496) al Concilio Vaticano II. La dimensione religiosa e quella politica non sono realtà omogenee. Quella religiosa appartiene alla libertà di coscienza delle persone; non tocca mai allo Stato laico stabilire cosa si deve credere o modificare, tanto meno impedire di professare la propria fede. Se ciò avvenisse, il cristiano è tenuto ad obbedire prima a Dio che agli uomini (cfr At 4,19). Sostenendo questo la Chiesa ha rappresentato in questo ultimo secolo la più tenace alternativa al totalitarismo di Stato, teorizzato e tragicamente realizzato. Sono in molti, pertanto, a doverle gratitudine.