In Birmania vige un regime comunista, staliniano e dichiaratamente ateo.
Sono nazionalizzate le scuole, le banche, le industrie, le piccole e medie aziende artigianali, i negozi, le terre, i giornali, le radio, gli alberghi e i ristoranti.
E lo Stato si crede onnipotente.
In base a questi principi il governo ha nazionalizzato le banche, le industrie, le piccole e medie aziende artigianali, i negozi, le terre, i giornali, le radio, gli alberghi e i ristoranti; e poi le scuole e il sistema sanitario. Il 31 marzo 1964 è la volta delle scuole cristiane e un missionario scriveva (In “Venga il Tuo Regno”, Pime Napoli 1985, pp. 238-239.): «Il governo, dichiarando sue tutte le scuole private si è appropriato pure dei fabbricati, del denaro, delle terre e perfino delle automobili e dei pullman che trasportavano gli alunni alle scuole. Naturalmente il governo non dà alcun compenso, mentre i debiti restano a carico degli antichi proprietari».
Il giornale governativo The Guardian così giustifica questa decisione del governo: «L’educazione è il fatto sociale più importante per trasformare la società e orientarla al socialismo, per raggiungere uno stato economicamente giusto e fiorente contemplato nel piano detto “La via birmana al socialismo”. In tale società l’educazione deve essere diretta ai bisogni della società e condurre a promuovere non solo pensieri, abitudini, ma anche tutto un modo di vita conforme alla “Via birmana al socialismo”. Bisogna perciò impartire una educazione che sia uniforme non solo nei programmi, ma anche nella qualità in tutte le scuole dell’Unione Birmana».
Il governo si dichiara “socialista” ed esclude di essere un comunismo sovietico o maoista, ma professa il materialismo, nega l’esistenza dell’anima umana, insegna che tutti i fondatori di religione sono deceduti, introduce l’insegnamento dell’ateismo e della filosofia marxista nelle scuole e assume come verità indiscussa che la proprietà è un furto per cui tutto appartiene al popolo, cioè al partito “socialista birmano” che esprime gli interessi del popolo, coordinando ogni cosa al “bene sociale”. Il regime è detto “Lanzin”, cioè “la via” al socialismo birmano: si tratta di una preparazione remota al vero socialismo il cui avvento si prospetta in un lontano futuro.
Il testo costituzionale rivela chiaramente la mentalità, la strategia per la trasformazione della società in senso socialista che i regimi comunisti perseguono dove ancora sopravvivono (Cina, Corea del nord, Vietnam, Cuba, ecc.). Ma è facile notare che queste intenzioni dichiarate in favore delle “scuole statali” e contro le “scuole private” portano all’imposizione graduale del “pensiero unico” fin dalla più tenera infanzia (i figli appartengono allo Stato, non alle famiglie!), togliendo all’uomo il tesoro più bello che Dio gli ha dato: la libertà di pensiero, di scelta, di azione. Nessuna dittatura tendenzialmente totalitaria può lasciare libertà all’educazione.
Le scuole cattoliche e protestanti godevano di una reputazione secolare in tutta la Birmania, le famiglie si stimavano fortunate se potevano iscrivere i loro figli alle scuole cristiane. Il risultato della scelta statalista nel campo dell’educazione (come in altri settori della vita civile) è stato la decadenza dell’insegnamento e l’arretratezza del paese per mancanza di persone preparate. Oggi, ad esempio, anche il governo militar-socialista cerca di ricuperare i quarant’anni in cui non veniva più insegnata la lingua inglese se non nelle scuole superiori; non si trovano più insegnanti di inglese, i giovani conoscono solo la “lingua nazionale” che fuori del paese non serve quasi a nulla. Una delle migliori eredità che la vicina India ha ricevuto dall’Inghilterra è la lingua della nazione colonizzatrice, conosciuta da buona parte della popolazione e soprattutto dai giovani, che le ha permesso di inserirsi facilmente nel progresso scientifico e tecnologico mondiale, mentre la Birmania, ora che si sta aprendo al mondo esterno, è ancora bloccata da questo limite (ma ce ne sono tanti altri).
In Italia si dice che il comunismo non c’è più, che il pericolo di finire in un regime comunista è scomparso. È vero, ma il danno peggiore dell’ideologia socialista-comunista è quello espresso nel testo appena letto: la mentalità dello Stato onnipresente che porta alla fine o alla mortificazione del libero mercato; lo Stato che educa i giovani e orienta la società verso il “pensiero unico”; la proprietà privata è un furto quindi la tendenza allo statalismo: l’educazione dei giovani è compito dello Stato, non della famiglia; l’ateismo come inevitabile prevalere di un’ideologia sconfitta dalla storia sulla libertà dell’uomo; e via dicendo. L’eredità peggiore del comunismo è questa “cultura” (mentalità), che sopravvive a tutte le smentite della storia.
DA NON PERDERE
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 18-19
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