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12.12.2024

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Ecumenismo della verità
31 Gennaio 2014

Ecumenismo della verità

 

 

In Gennaio si celebrerà la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Si può dialogare sapendo che una sola è la vera Chiesa? Ecco la strada tracciata dalla Dichiarazione Dominus Iesus. Scritta da Ratzinger nel 2000. E fortemente voluta dal Papa.

 

La Dichiarazione Dominus Iesus, vuole offrire una risposta a un disagio presente nel mondo cattolico e dentro l’esperienza ecclesiale. Paradossalmente, questo disagio esiste nei ceti intellettuali, là dove l’esperienza di fede si fa, o si dovrebbe fare, cultura e teologia, cioè comprensione e comunicazione della fede.
Il disagio è tutto interno: «Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo». Il problema è prendere coscienza che c’è un annuncio missionario, che costituisce la preoccupazione fondamentale della Chiesa. Questa vive per realizzare un annuncio missionario, per comunicare Cristo. Se ciò viene messo in pericolo, è in pericolo qualcosa di sostanzia. le, non un particolare. La Chiesa non può fare a meno della missione se non rinunciando a se stessa: «Il perenne annuncio missionario della Chiesa oggi viene messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso non solo de facto ma anche de jure (o di principio)».
Vi sono tante religioni, ed è un fatto, ma “le teorie di tipo relativistico» affermano: è giusto che ce ne siano tante, perché nessuna è la vera. Anzi: guai se ve ne fosse una vera! Di conseguenza, si ritengono superate verità come il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l’unità personale fra il Verbo Eterno e Gesù di Nazareth.
Tali teorie hanno fatto prevalere all’interno della Chiesa una concezione per cui non si capisce più lo specifico del cristianesimo. Che il Papa aveva riaffermato, in un modo più sintetico, nella Tertio millennio adveniente: «Il cristianesimo non è la religione degli uomini che cercano Dio, ma di Dio che ha cercato l’uomo».
Di questa specificità non si è più coscienti, ma siccome siamo nel mondo per annunciare questa specificità, se non ne siamo coscienti, non l’annunciamo. Quale cristiano praticante oggi pensa che la sua funzione nel mondo è di annunziare Cristo a tutti? Chi pensa che gli islamici hanno bisogno di Cristo come tutti gli uomini? Chi non pensa invece, più istintivamente, che ciascuno ha la sua religione, perciò se uno è nato in occidente è cattolico, il buddismo è di chi è nato in estremo oriente, l’islam di chi è nato nel medio oriente?
Con tale criterio di giudizio, la religione diventa un fatto contingente che dipende dalla storia, dalla cultura, dalla razza. Così, se uno afferma: «lo sono la religione vera» è fondamentalista e mette in crisi la convivenza che poggia sulle differenze. Se tutte le differenze hanno lo stesso valore, è possibile la convivenza. Se una delle differenze dice: «lo sono la verità» crea una situazione di violenza.
Sto cercando di esprimere la convinzione che ha su questo problema non l’ateo o il miscredente, ma il cattolico praticante. Il quale vive in una situazione in cui la coscienza della propria identità è così alterata che non gli è più chiara la sua responsabilità.
Molti pensano: c’è un relativismo inevitabile, ma questo è un bene, perché l’unica cosa non relativa è l’uomo che cerca Dio. I modi con cui l’uomo cerca Dio, i volti che dà a questo Dio, il tipo di rappresentazione che si fa di questo Dio, le singole formulazioni storiche sono importanti, ma non sono esse che hanno valore. Ciò che ha valore non è l’idea di Dio che viene formulata dal grande fondatore di religioni o che viene realizzata nella formulazione culturale di una religione. Quello che importa è che la religione è un contenuto dell’uomo.
Si capisce bene allora come, in quest’ottica, le religioni siano tutte importanti ma nessuna è assoluta. C’è un relativismo di fatto che diventa di diritto.
Molti affermano: «Ciò che è assoluto non è Dio, è l’uomo. Dio è l’espressione dell’assolutezza dell’uomo». Questa è una riduzione antropologica della fede: la fede ridotta a dimensione dell’uomo. Questo tipo di mentalità ci condiziona.
Tanti uomini, anche di Chiesa, dicono: «lo la penso così, per te è vera un’altra cosa, cerchiamo di andare d’accordo». Se uno pretende di avere la verità in tasca, è finita. Per noi cattolici Dio è Trino, per i musulmani è Allah, e guai se noi pretendiamo di imporre la Trinità ai seguaci di Allah o viceversa. Noi viviamo in un ambiente in cui tutto il valore è condensato nell’uomo e anche la religione, se ha valore, ha valore come contenuto storico, contingente. Quello che non muta è il fatto che l’uomo ha sempre bisogno di Dio. Mutano i modi con cui rappresenta Dio, le formulazioni religiose, filosofiche, metafisiche.
La Dichiarazione Dominus Iesus prende atto che viviamo in una situazione relativistica tale per cui noi cristiani rischiamo di pensare che anche il cristianesimo sia solo una delle tante formule possibili della religiosità universale. Ciò che è universale è la religiosità contingente, storica. Ci sono teologi cattolici per i quali il cattolicesimo è finito con il Concilio Vaticano Il, perché era la forma religiosa dell’Occidente cristiano-medioevale. Ora si parla di una religione universale, della quale il cattolicesimo costituirà solo un punto e alla quale potrà partecipare nella misura in cui rinuncerà a credersi esso stesso una religione universale. Invece, il mistero di Cristo è il mistero della salvezza di tutti gli uomini; ha dunque una portata universale. È per tutti, anche per gli islamici. È vero che l’uomo deve seguire la sua coscienza, ma questo ha un valore soggettivo. lo non gli dico di non seguire la sua coscienza, gli dico che cosa la sua coscienza dovrebbe seguire fino in fondo se vuole essere vero. La sua coscienza deve seguire la verità che gli porto io, non perché l’ho costruita io, ma perché mi è stata data in dono. Noi portiamo quello che abbiamo ricevuto, non quello che abbiamo costruito con le nostre capacità filosofiche o teologiche. Il Verbo di Dio che si è fatto carne passa di generazione in generazione attraverso il mistero della sua Chiesa, nella quale è rimasto presente. Non nei libri scritti o nelle pratiche religiose, ma innanzitutto nell’unità fra i suoi: «dove due o tre saranno insieme in nome mio io sono con loro… fino alla fine del mondo».
Secondo Giovanni Paolo Il, la 00minus lesus «chiarisce gli elementi cristiani essenziali, che non ostacolano il dialogo, ma mostrano le sue basi, perché un dialogo senza fondamenti sarebbe destinato a degenerare in vuota verbosità.
Lo stesso vale anche per la questione ecumenica. Se il Documento, con il Vaticano Il, dichiara che “l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica”, non intende con ciò esprimere poca considerazione per le altre Chiese e comunità ecclesiali. Questa convinzione s’accompagna alla consapevolezza che ciò non è merito umano, ma un segno della fedeltà di Dio che è più forte delle debolezze umane e dei peccati, confessati da noi in modo solenne davanti a Dio e agli uomini all’inizio della Quaresima. La Chiesa cattolica soffre – come dice il Documento – per il fatto che vere Chiese particolari e comunità ecclesiali con elementi preziosi di salvezza siano separate da lei.
Il Documento esprime così ancora una volta la stessa passione ecumenica che è alla base della mia enciclica Ut unum sint.
È mia speranza che questa dichiarazione che mi sta a cuore, dopo tante interpretazioni sbagliate, possa svolgere finalmente la sua funzione chiarificatrice e nello stesso tempo di apertura». (Angelus, 1 ottobre 2000).

IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 16 – 17

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