La vera emergenza della nostra società è ripristinare un modo di educare libero dalle pastoie del relativismo: l'educazione deve formare l'uomo al bene e al vero. Il ruolo delle scuole non statali.
Siamo abituati a considerare il laicismo della società attuale come una cosa normale e scontata, non ci aspettiamo che alla religione venga riconosciuto pubblicamente, cioè nelle istituzioni civili, il ruolo culturale che le spetta.
Ma se guardiamo alla storia dell'umanità ci rendiamo conto che questo stato di cose non è normale, anzi, forse è unico. Tutte le civiltà sono state religiose e quindi consapevoli che l'ordine morale, qualunque fosse, dipendeva dalla legge divina che si manifesta nel cosmo. Il processo di secolarizzazione non ha distrutto la religione, ma l'ha esclusa dalla cultura sostenendo erroneamente che, siccome la ragione non può dimostrare l'esistenza di Dio, la questione deve riguardare solo la fede del singolo. La religione è stata così ridotta a una condizione di debolezza e ininfluenza culturale.
Quando i cristiani esercitano, tra mille difficoltà economiche e burocratiche, il proprio diritto d'insegnare ed educare, vengono discriminati dallo Stato laico; gli si dice: «se vuoi una scuola confessionale, pagala! Lo Stato offre a tutti un'istruzione pubblica neutrale».
Qui incontriamo un duplice equivoco: in primo luogo i cristiani non vogliono una scuola confessionale intesa come strumento di trasmissione delle verità rivelate. Questo compito spetta alla famiglia e alla comunità ecclesiale. Essi pensano che una scuola con un'identità precisa sia uno strumento di crescita offerto all'intera comunità, sia cioè un'istituzione pubblica, anche se il gestore è privato, non un ghetto in cui rinchiudersi per non inquinare la propria cultura. La scuola deve formare l'uomo coltivando la sua umanità; essa realizza questo compito trasmettendo contenuti e metodi intellettuali, educa attracerso la ricerca e la conoscenza del vero. Nell'istruzione il contenuto di verità di singola disciplina vincola insegnante e alunno a riconoscere significati comuni. È precisamente questo rapporto con la verità come dimensione indipendente dalle opinioni soggettive a formare l'uomo, in quanto lo obbliga alla lealtà verso la verità delle cose.
Il secondo equivoco è che esista un'istruzione neutrale garantita dallo Stato. Essa si propone (impone?) come luogo di tolleranza, pluralismo e dialogo, ma in verità si riduce, nella misura in cui è fedele alla visione relativista e scettica, a informazione frammentaria e disarticolata.
L'azione d'istruire implica sia l'esistenza di un sapere con una certa articolazione, sia il riconoscimento che l'alunno è a sua volta capace di assumere informazioni e giudizi collocandoli in un sapere unitario. In altri termini, l'idea d'istruzione implica un'idea di ragione capace di verità, una ragione che non sia solo un meccanismo generatore di relazioni funzionali. Ma se è così, allora deve essere messa in discussione la fondatezza e la legittimità dell'istruzione laicista.
Non è un caso che la sua introduzione abbia coinciso con la secolarizzazione della cultura e abbia prodotto il declino dell'intelligenza e della virtù.
Il declino dell'intelligenza si manifesta nello spirito conformista dominante; esso si presenta come spirito critico, ma in realtà muove dal pregiudizio relativista secondo cui tutto è opinabile e nessuna verità è conoscibile. Il risultato è il dilagare di giudizi superficiali, erronei e presuntuosi perché non fondati sulla realtà dei fatti.
Il declino della volontà è legato all'idea che l'uomo abbia diritto alla felicità e ai beni materiali che la devono assicurare: se la felicità è un diritto e il benessere ne è parte integrante, l'idea stessa di sforzo e sacrificio risultano ingombranti residui di un passato da rimuovere. Il risultato è l'indebolimento del carattere e la confusione tra libertà e irresponsabilità.
Il problema è che cultura, educazione e istruzione non possono essere separate: quando s'insegna, contemporaneamente si educa e si fa cultura perché si trasmette un sistema di vita, una visione unitaria della realtà e non solo informazioni. La risalita può iniziare solo da un'azione educativa libera dalle pastoie dello scetticismo e del relativismo, un'educazione che formi l'uomo trasmettendogli la sua tradizione culturale.
Christopher Dawson (1889-1970), grande storico della cultura, era convinto che la società occidentale moderna non propone una civiltà, ma solo un ordine tecnologico che si appoggia a un vuoto morale e che solo la riscoperta della dimensione religiosa della cultura potrà salvare l'umanità dall'autodistruzione, ristabilendo l'equilibrio tra il mondo della tecnica e quello interiore dell'esperienza spirituale.
La questione dell'educazione e dell'istruzione è la vera emergenza della nostra società, una emergenza che deve essere affrontata non solo con interventi normativi, ma soprattutto con l'impegno di quanti hanno responsabilità educative, a partire dai genitori.
RICORDA
«L'educazione antica, la paideia classica, era conscia del fatto che ciò che contava nello studio non era la quantità del saputo, bensì piuttosto il soggetto che sapeva. Il concetto di scuola come gioco (skolé) stava appunto a significare che, come nel gioco l'importante non stava nel conseguimento dei risultati, ma nel giocare, così l'educazione non aveva di mira risultati esterni al processo educativo (non era l'addestramento per altre cose), quanto aveva di mira il soggetto stesso che imparava. L'educazione, la scuola, non erano finalizzate ad altro che a far uscire, educere, l'uomo in atto dall'uomo in potenza. L'educazione non aveva altri fini che il nostro arricchimento personale ed era ben presente nella coscienza comune il senso di un sottilissimo proverbio cinese: "tutto ciò che può essere insegnato non vale la pena di essere appreso". Ciò che può essere posseduto con una tecnica va distinto e ritenuto inferiore a ciò che non è il mero risultato in noi di un intervento esteriore ma che è la conclusione di una nostra conquista interiore.
L'educazione antica, pertanto, mirava anzitutto al come delle cose piuttosto che al che, educava non tanto al conseguimento di risultati quanto ad uno stile di vita. E l'immagine della vita come immenso e ben più vero teatro era l'espressione metaforica di questo modello educativo. Come sulla scena quello che importa non è tanto il ruolo che si svolge (principe, schiavo, cameriera o padrone) ma come lo si recita, così nella vita ciò che doveva contare era il nostro modo di viverla e non tanto la qualifica ufficiale. Noi sappiamo che questa immagine della vita come teatro è stata il modello educativo che dai greci (si pensi a Plotino) è passata attraverso tutto l'Occidente cristiano (guardiamo ad. es. a un Calderon de la Barca) fino a diventarne lo stigma essenziale. E sappiamo anche che il crollo del modello educativo della cristianità è avvenuto quando con l'illuminismo si è pensato che la vita valesse più per i risultati che per il modo. Lo sguardo dominatore e manipolatore degli illuministi è, pertanto, all'origine di quella nevrosi da successo obbligatorio che tiene il campo ai nostri giorni dove solo i risultati sono decisivi.
E, ancora, proprio in questa prospettiva del come, l'educazione antica era un'educazione all'etica e non all'utile, insegnava a non accettare i compromessi della vita e per far questo educava soprattutto all' agon, al combattimento e alla sconfitta. La ripetizione stereotipa in Omero dell'espressione "cadde da quel valoroso che era" stava ad indicare che vero uomo è colui che sa perdere e che perde in un determinato modo, con stile…
(Emanuele Samek Lodovici, Occorre uno scopo al nostro sapere, in «Prospettive nel mondo», 53 (1980), ripubblicato con il titolo Il gusto del sapere, in «Universitas», anno 14, n. 4 (1993), pp. 18-22,
www.disf.org/Documentazione/34.asp)
BIBLIOGRAFIA
Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione Gravissimum educationis sull'educazione cristiana, del 28 ottobre 1965.
Francesco Botturi, Desiderio e verità, Massimo, 1985, pp. 169-180.
Christopher Dawson, La crisi dell'educazione occidentale, Morcelliana, 1965.
Christopher Dawson, Religione e cristianesimo nella storia della civiltà, Paoline, 1984.
Aleksandr Solzenicyn, Ricostruire l'uomo, «la Casa di Matriona», 1984.
IL TIMONE – N. 54 – ANNO VIII – Giugno 2006 – pag. 30 – 31