Esaltata dalla critica ma poco nota al grande pubblico, i suoi romanzi servono a lenire le ferite della vita con “l’unguento della parola nel castello in fiamme del mondo”. Il Timone l’ha incontrata nella sua casa di Chiavari
Da anni ricevevo il consiglio: “leggi i libri della Bono”. Quando è finalmente successo, sono stato gettato al centro della condizione umana nel tempo dalla forza della letteratura. Anche per questo, l’appuntamento nella sua casa di Chiavari – dove l’ho incontrata quest’estate – suscitava in me un lento crescendo di emozione: perché ogni pagina della Bono impone di fare i conti con i visi degli uomini, qui e ora, nella storia, dentro i quali si mostra misteriosamente il volto di Gesù Cristo, venuto nel mondo per salvare il mondo. Sentivo di andare a trovare non solo una figura dell’ambito letterario ma una autentica poetessa di Dio. Inutile aggiungere che la conversazione si è rivelata indimenticabile, anche grazie alla compagnia di Stefania Venturino (che ha curato il bel volume Il castello in fiamme e l’unguento della parola. Elena Bono e la sua opera pubblicato dall’editore Le Mani di Recco [Ge] nel 2007, € 20, con rassegna della critica e un DVD a cura del regista Salvatore Ciulla).
Va detto subito che quello di Elena Bono non è un “caso letterario” ancora da scoprire: davanti ai suoi romanzi, drammi teatrali e poesie, noi (tanti) suoi lettori abbiamo la percezione di avere a che fare con dei “classici”, cioè con capolavori del significato. In altre parole, non siamo in attesa di riscoprire o apprezzare, un domani, la grande trilogia narrativa di Elena Bono Uomo e Superuomo (Come un fiume, come un sogno – Una valigia di cuoio nero – Fanuel Nuti. Giorni davanti a Dio, tutti editi da Le Mani tra il 1998 e il 2003): questa è già una realtà, oggi; sono libri che contribuiscono all’affermazione del bene contro le seduzioni del male. Abbiamo solo il dovere di segnalarli al grande pubblico, perché – in un certo senso – chi ignora un grande autore non ha scusanti.
Morte di Adamo
Lo studioso Giovanni Casoli non ha dubbi: Elena Bono è «la più grande scrittrice vivente, anche se è stata oscurata dalla situazione attuale della critica». E anche per Stas’ Gawronski, Andrea Monda, monsignor A.M. Careggio, Ugo Gregoretti, Elio Gioanola (tutti esponenti di primo piano della cultura italiana contemporanea) l’opera omnia di Elena Bono ha altissime qualità: come mai, allora, il suo è un nome poco noto al grande pubblico? Si potrebbe rispondere enunciando la famosa Legge di Gresham: perché “moneta falsa scaccia moneta buona”.
Prendiamo ad esempio il libro “Morte di Adamo” (Garzanti, 1956). Soltanto una ragazza innamorata e fedele al proprio Amato, che è sempre presente anche quando gli ostacoli della vita paiono allontanarlo, poteva scrivere così, e così raccontare i tre giorni di Passione di cui lui fu protagonista: soltanto delle mani premurose, fidanzate, avrebbero potuto produrre un ritratto così chiaro, senza primi piani diretti. Questa raccolta di racconti inaugura la serie di capolavori nascosti, ma non innocui, che Elena Bono lascia alla storia del Novecento letterario italiano. Intendiamoci: quando il libro uscì, l’editore laico puntava molto sull’autrice, affiancandola al suo quasi coetaneo collega Pier Paolo Pasolini; poi, subito dopo, i loro destini artistici si separarono nettamente, per cause che può verificare chiunque legga i romanzi pasoliniani accanto a quelli boniani. Chi legge, troverà che l’unico Amore proviene dalla carità di Dio e si annida nel cuore degli uomini che lo servono, per dare molto frutto: proprio di questo amore scrive la Bono.
Esiste però anche qualcosa d’altro, che sembra amore ma non lo è, perché schiavizza gli uomini incatenandoli nella ingratitudine (e di questo sentimento, declinato nei suoi aspetti viziosi, ha trattato ampiamente la letteratura novecentesca sino alla noia o alla nausea). Qui, invece, l’autrice del racconto dei Tre Giorni che salvarono l’umanità, sembra registrare gli eventi dal vivo, trascrivendoli come una testimone oculare: è al servizio della realtà. Ecco perché sa narrare i fatti da punti di vista diversi, dalla figlia di Giairo alla suocera di Pietro, dal vecchio Abi che fornirà agli Apostoli la stanza per l’ultima cena al Centurione a cui fu affidato il supplizio di Gesù, sino alla moglie di Ponzio Pilato, Claudia Procula, che nel dialogo col filosofo romano Seneca sperimenta il sorgere della conversione al cristianesimo nel cuore, nella prima generazione dopo Gesù.
“Morte di Adamo” è una lettura che può cambiare la vita: è accaduto a molti, accadrà ancora. Merito di una scrittrice che quando aveva due anni sedeva su uno sgabellino con una sedia davanti e un pezzo di carbone in mano; e a chi le chiedeva cosa facesse, «Chivo!» rispondeva. Suo padre era un professore di liceo: quando con la famiglia dovette prestare servizio presso le scuole a Recanati, la figlia ebbe delle precoci esperienze di ispirazioni poetiche proprio nel giardino di Casa Leopardi. Quella della poesia può essere perdizione ma anche vocazione verso la verità: il secondo caso toccò a Elena Bono quando, giovane studente universitaria, ascoltando un brano di musica tzigana, all’improvviso sentì una voce dettarle le prime parole di quello che ancor oggi è il suo grande “incipit” narrativo. E alla giovane che gli mostrava la sua prima creazione artistica, dicendo «guarda cosa m’è successo», il padre commentò «povera figlia mia…».
Tempo di Dio
Se uno scrittore è grande lo dice la sua lingua: duttile, versatile, plastica, popolare e meravigliosa nello stesso momento. Con il linguaggio, il vero autore non riproduce la vita ma entra nella realtà stessa delle cose: in Elena Bono ciò avviene sempre. Il mondo è uno stupendo castello in fiamme, ma ha un Signore che si affaccia dalla finestra più alta, e la Parola è l’unguento che medica. L’ho verificato anch’io, quel giorno di fine giugno, quando la poetessa ligure ha recitato alcune sue stupende poesie, creando un’atmosfera di sospesa commozione: per merito della sua voce di anziana ragazza, le vite di giovani scomparsi settant’anni prima, di figure del Giappone antico ormai cadute da secoli nell’oblio, erano lì con noi, presenti nel mistero di Dio presente.
In particolare, è la produzione teatrale della Bono a essere così pregnante: dalle pièces sulla storia sacra e antica (Ippolito e La testa del Profeta) alle vicende medievali di santa Giovanna d’Arco, dei Templari, dell’imperatore Federico II e del Papa, sino a Carlo V e alla battaglia di Lepanto. Un discorso a parte meriterebbero le sue poesie ora raccolte nell’Opera Omnia (Le Mani, 2007), come recita una lirica intitolata “Tempo di Dio”: «Non vi accorgete / che a noi è richiesto più / che ai figli di ogni altro tempo? / […] Non è tempo di lutti / né di follie. / Questo è il tempo di Dio».
Il prossimo 28 ottobre, a Roma, presso la Galleria del Primaticcio di Palazzo Firenze, la Società Dante Alighieri terrà un convegno su “Elena Bono. Chiudere gli occhi e guardare”, alla presenza dell’ambasciatore Bruno Bottai: sarà l’occasione per continuare ad apprezzare i libri di Elena Bono. Perché? Perché da ogni sua pagina, dai cento suoi ritratti di uomini e donne del passato remoto, dai volti di vittime e carnefici della guerra, dai visi dei protagonisti e delle comparse della storia, risuona di continuo la domanda di ogni uomo e donna davanti all’infinito: «dopo la mia morte, chi si ricorderà di me?». La scrittrice si è sempre resa un’intermediaria del quesito dell’io di fronte all’eternità: e tra le sue righe, a ben leggere, si può sentire come una brezza leggera la risposta di Dio dall’eternità: «Io. Sì, io mi ricorderò di te».
IL TIMONE N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 48 – 49
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