Riprendiamo il discorso sull’etica della sessualità che avevamo intrapreso nel numero scorso del Timone, in cui avevamo già affrontato 11 punti.
12) Qual è la differenza tra la continenza periodica e la contraccezione?
Dal punto di vista degli effetti nessuno, perché si tratta in entrambi i casi di atti che hanno lo stesso fine-scopo, cioè evitare la generazione. Del resto, dal punto di vista degli scopi non c’è nessuna differenza tra rubare un libro in libreria o acquistarlo (lo scopo è avere un libro). Ma dal punto di vista degli atti-mezzi che conseguono il fine c’è una profonda differenza, come, appunto, tra il furto e l’acquisto del libro.
a) Infatti, come abbiamo detto (cfr. punti 4 e 5 del precedente articolo), la contraccezione non è una donazione/accettazione propria e dell’altro: se io incontro una persona e mi infilo un guanto prima di stringerle la mano, il mio gesto non è di amicizia, bensì di rifiuto/separazione, di distacco; invece la continenza periodica comporta l’accettazione/donazione della persona propria e dell’altro, persona che in quel momento è infeconda: se io incontro una persona e ho già indossato il guanto, oppure se il guanto in quel momento è saldato alle mie mani (per es. pensiamo a chi ha rapporti quando la donna è in menopausa) e fa parte in quel momento della mia natura, il gesto resta un gesto di amicizia.
È vero che i soggetti hanno calcolato il momento dell’infecondità, ma in ciò non c’è niente di male, come non c’è niente di sbagliato ad avere il libro che mi interessa aspettando il momento in cui una libreria fa una promozione regalando dei libri.
b) Inoltre nella contraccezione si abdica all’impulso sessuale, limitandosi a eliminare la dimensione generativa degli atti sessuali; invece con la continenza periodica si esercita una solida padronanza di sé in uno degli ambiti dell’esistenza umana più difficili da padroneggiare, perché bisogna saper esercitare la continenza (che è come pazientare, aspettando la promozione, per avere il libro) verso impulsi sessuali che capitano in periodi fecondi, e si esplica una conoscenza di sé, perché bisogna conoscere i ritmi biologici del proprio corpo.
In ogni caso, chi non accetta che ci sia differenza tra la contraccezione e la continenza periodica, non può concludere che la contraccezione diventa giusta quando ci sono gravi motivi per evitare la generazione (perché la contraccezione resta ingiusta per tutti i motivi che abbiamo detto ai punti 4 e 5), bensì dovrebbe solo dire che anche la continenza periodica è ingiusta e che l’unico modo per evitare la generazione sarebbe la castità.
13) Come bisogna valutare la convivenza prematrimoniale?
Essa è moralmente sbagliata tutte le volte che costituisce una forma di rifiuto dell’impegno, cioè quando è motivata dal rifiuto di donarsi all’altra persona, perché allora è una forma di egoismo di chi vuole strumentalizzare l’altra persona per ricavarne la propria gratificazione, senza assumersi impegni e responsabilità nei suoi riguardi. È un vivere come marito e moglie, in cui però si cercano gli aspetti gratificanti di questa relazione, evitando molti dei doveri che questa relazione richiede.
14) Ma ci sono anche conviventi che si vogliono realmente bene e che vogliono fare un test molto significativo, circa l’opportunità di sposarsi, per conoscere il proprio affiatamento.
È vero, ma anche se due soggetti praticano la convivenza come forma di donazione, se in essa si esercitano atti sessuali essa resta ingiusta perché:
a) gli atti sessuali creano comunione e dunque vale il punto 2;
b) gli atti sessuali intrattenuti in precedenza da chi diventa il mio coniuge mi privano dell’esclusività di un suo aspetto molto intimo (punto 2)
c) gli atti sessuali hanno effetto deformante (punto 3), quindi la convivenza è un pessimo test per provare l’affinità di due soggetti. Ciò è ormai confermato da varie ricerche sociologiche (cfr. De Maris – Vaninadha Rao 1992, pp. 178-190; Smock 2000; dati citati in Risè 2003, pp. 92-95). Secondo una ricerca della Wisconsin University (cit. in Avvenire, 5-10-1989 p. 12) dopo dieci anni di matrimonio si separa il 38% di coloro che avevano precedentemente convissuto, contro il 27% di coloro che si sono sposati senza aver prima convissuto. Dunque la convivenza aumenta almeno dell’11% le separazioni.
Inoltre, chi convive ricorre poi più facilmente al divorzio, perché con questa sorta di «matrimonio in prova», ci si abitua all’idea che i rapporti e le relazioni tra uomo e donna siano esperienze «a termine», e che quindi possono cessare.
Ancora, l’antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumenta la capacità di rimanere fedeli a quell’impegno.
d) Se si ricorre alla contraccezione cfr. punti 4 e 5.
e) Se non si ricorre alla contraccezione vale il punto 9.
f) Se si ricorre alla continenza periodica vale il punto 10.
15) Ma perché chi si sposa deve restare unito per tutta la vita? Questa è una convinzione dei cristiani.
Non è vero, perché l’indissolubilità del matrimonio religioso non è solo una verità di fede, bensì anche una verità che qualunque uomo può comprendere, anche se è ateo, mediante la sola ragione, come ho spiegato diffusamente su il Timone, n. 30, pp. 36-38. Qui posso solo fare una sintesi.
a) Il contesto propizio per la nascita, la crescita e l’educazione di un figlio è quello di una famiglia stabile e solida (cfr. n. 6).
Ebbene, il divorzio è una grave ingiustizia nei riguardi dei figli, li fa sempre soffrire molto, li ferisce psicologicamente e affettivamente.
b) I coniugi si promettono: 1) di amarsi in modo esclusivo, per tutta la vita, qualsiasi cosa accada, cioè anche se l’altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, ecc. perciò il loro legame è indissolubile, qualsiasi cosa accada; 2) di amare il coniuge nella sua identità irripetibile ed unica. Ora, le caratteristiche fisiche e psicologiche di un uomo possono mutare, ma non la sua identità personale: è lo stesso uomo quello che si vede nelle foto da neonato, da bambino, da adolescente, da adulto, da vecchio, anche se le sue caratteristiche fossero completamente cambiate.
Chi non promette queste cose o le promette senza essere sincero, non è mai stato sposato. Perciò in casi simili è improprio dire che il matrimonio tra due persone è annullato, perché più propriamente esso è nullo fin dal principio, vale a dire non c’è mai stato. Quindi in questi casi non c’è divorzio, bensì solo la presa di consapevolezza che tale legame non è mai sussistito.
I coniugi promettono di cercare il bene dell’altro, non di vivere sempre con lui, perciò la separazione è diversa dal divorzio ed è moralmente lecita quando si giunge ad una situazione in cui la stessa convivenza è diventata veramente insostenibile, ma ciascuno dovrà continuare a cercare il bene dell’altro, perciò dovrà cercare di restaurare il rapporto, mediante il quale può procurare il bene dell’altro. L’esperienza insegna che con questa disposizione la ricomposizione non è un’utopia, ed esistono dei casi di ricongiungimento. È difficile, ma non impossibile.
16) Come valutare l’omosessualità?
Mancandomi lo spazio posso solo rinviare al mio articolo su il Timone, n. 50, pp. 36-38.
17) Ma l’etica sessuale cristiana non rende infelici?
In primo luogo, un fine buono (essere felici) non giustifica mezzi immorali (i rapporti extramatrimoniali, la convivenza, il divorzio, ecc.).
In secondo luogo, ricerche sociologiche (cfr. Waite – Gallagher 2000) mostrano che tra le persone che, pur considerando infelice il loro matrimonio, erano rimaste insieme, cinque anni più tardi il 64% ha dichiarato che il loro rapporto era poi diventato molto felice, mentre si dichiaravano felici solo il 19% di coloro che avevano divorziato e si erano risposati. In Italia la cronaca ha registrato, dal gennaio 1994 all’aprile 2003, 854 omicidi maturati in seguito a divorzi, separazioni o cessazioni di convivenze e su un campione di 46.096 casi di divorzi, separazioni e cessazioni di convivenza, 39.919 (l’86,6%) hanno avuto implicazioni penali come calunnia, minacce, sottrazione di minore, percosse, maltrattamenti, lesioni, sequestro di persona, violenza privata, violenza sessuale (dati dell’Associazione Ex). Inoltre: uomini e donne sposati sono meno depressi, meno ansiosi e meno psicologicamente stressati dei conviventi e dei divorziati: il 40% delle coppie sposate si dichiara «molto felice della vita», affermazione sottoscritta solo dal 25% dei non sposati o dei conviventi; i figli vogliono più bene ai genitori; sia i mariti che le mogli che vivono un’unione duratura affermano di avere una vita sessuale soddisfacente, più di quanto dichiarino coloro che non sono sposati o convivono.
18) Però Gesù non ha mai detto niente di simile sul sesso.
Invece è proprio così. Non soltanto egli ha proibito il divorzio: «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola […]. Quello che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19, 5-6); ma ha inoltre detto: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio nel suo cuore» (Mt 5, 27-29).
19) Ma la Chiesa non potrebbe modificare queste sue posizioni per rendersi più popolare?
No, perché la Chiesa non ha lo scopo di conquistare il consenso in quanto tale, bensì di custodire l’insegnamento di Dio e difendere la dignità umana, a costo di subire delle persecuzioni.
Conclusione: la morale sessuale della Chiesa è difendibile anche utilizzando la sola ragione, preserva la dignità umana, la verità sull’amore e rende felici: chi vive la sessualità nel modo indicato dalla Chiesa è molto più felice – ci sono dati sociologici al riguardo (cfr. punto 17) – di chi la vive in modo contrario.
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