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15.12.2024

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Eugenio Corti: tragedia del comunismo
31 Gennaio 2014

Eugenio Corti: tragedia del comunismo

I frutti della società senza Dio analizzati in un volume di Eugenio Corti. Il Comunismo al vertice del fallimentare processo di secolarizzazione: solo morte, odio e distruzione. Urge il ritorno alla “città di Dio”.

Quando, in un futuro che – ci illudiamo – prima o poi prenderà forma, sarà fatta giustizia al Novecento letterario italiano, tra i vari autori snobbati dalla critica ufficiale (accanto, per esempio, a un Guareschi), finalmente nelle antologie comparirà anche Eugenio Corti. E vi dovrà rientrare non solo come autore del celebre Cavallo Rosso, ma anche per quella splendida, acuta e pungente tragedia che è Processo e morte di Stalin (1961), nuovamente in libreria insieme a una ventina di brevi saggi sul comunismo, alcuni già pubblicati dallo stesso Corti, altri inediti.
L’accostamento tra opera teatrale e saggi è solo apparentemente curioso, perché la tragedia, al pari dei grandi classici (dai greci a Shakespeare), è un appassionante affresco denso di insegnamenti come pochi studi teorici potrebbero essere, mentre i saggi costituiscono spesso “pezzi di vita” ben lontani dall’asettica descrizione di un fenomeno analizzato con distacco e disinteresse – basti leggere il brevissimo “Fine di una comunità di monaci”, testo emblematico e sconvolgente.
I saggi sono raggruppati per tematica, ossia Il costo per l’umanità dell’esperimento comunista, viene considerato in Russia; in Cina e in Indocina mentre il capitolo finale, del 1999, intende indagare Le responsabilità della cultura occidentale nette grandi stragi del nostro secolo.
Che cosa emerge dall’accostamento di tanti titoli?
Innanzi tutto, colpisce la preveggenza di Corti nell’aver denunciato già negli anni ’60, del tutto controcorrente, ciò che l’intellighenzia culturale occidentale, e in particolare italiana, ha finto di scoprire solo con il (fondamentale ma assai incompleto, come denuncia lo stesso Corti) Libro nero del Comunismo: e cioè l’intrinseca disumanità e assoluta irredimibilità del comunismo, ideologia di morte e di odio (“È l’odio la molla del progresso”, esclama Stalin, sulla scia di Lenin, nella tragedia). Ma Corti si spinge oltre, giungendo -non certo per primo, ma con grandi meriti di chiarezza e accessibilità a qualsiasi tipo di lettore – a identificare nel comunismo e, paradossalmente ma non troppo, nel nazismo le estreme propaggini di un processo di allontanamento della società da Dio cominciato non in questo, né il secolo scorso, né con l’Illuminismo (che pure ha fornito un contributo fondamentale all’eliminazione della dimensione “verticale” dalla concezione dell’uomo), ma addirittura con il Rinascimento, momento di vera “rinascita del paganesimo” contro una società “troppo” imbevuta di Dio. E si ritorna, alla fine, alla sempre attuale analisi di sant’Agostino: l’eterna contrapposizione tra “città terrena” e “città celeste”.

TIMONE – N. 6 – ANNO II – Marzo/Aprile 2000 – pag. 11
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