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14.12.2024

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Europa senza volto
31 Gennaio 2014

Europa senza volto


 

 

Le rivolte del Nordafrica e del Medio Oriente, la guerra in Libia e l’emergenza profughi hanno messo impietosamente a nudo l’inconsistenza di questa Unione Europea, la cui esistenza non può più darsi per scontata. Ecco a quali condizioni potrà avere ancora un futuro


Ma che senso ha questa Unione Europea? È una domanda che negli ultimi anni affiora spesso, ma che la vicenda degli sbarchi di immigrati dal Nordafrica ha fatto esplodere prepotente. E poco importa se è stata subito messa a tacere dall’intervento dei “sacerdoti” del politicamente corretto per cui “l’Europa non si tocca”. Eppure, dopo il rifiuto degli altri Paesi europei di accogliere gli immigrati a cui l’Italia garantisce un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari, era stato addirittura il ministro degli Interni Roberto Maroni a reagire pesantemente affermando che «a queste condizioni meglio uscire dall’Europa».
In realtà sul caso in sé, ovvero l’interpretazione della Convenzione di Schengen (che garantisce la libera circolazione dei cittadini nei Paesi firmatari), ci sarebbero molte cose da obiettare sulla posizione dell’Italia, ma non si può più nascondere un certo disagio nei confronti di una Europa che pretende di essere uno dei principali attori della politica internazionale ma che a ogni evento importante o piccola pressione dall’esterno va letteralmente in confusione.
Il caso più eclatante è quello delle “rivoluzioni” del Nordafrica e Medio Oriente, una crisi ancora in corso e dagli esiti tutt’altro che scontati. Forse non si può rimproverare ai leader europei di essere stati presi letteralmente in contropiede dalla portata degli eventi, visto che la stessa sorte è toccata a tutti gli osservatori e analisti di tutto il mondo, nessuno dei quali aveva previsto un “terremoto” del genere. Certo, non si può non notare che qui si tratta di Paesi che confinano con l’Unione Europea, con cui ci sono strettissimi rapporti politici ed economici, per cui lascia comunque perplessi la totale impreparazione. Esemplare al proposito il caso dell’ambasciatore francese a Tunisi – e tra Francia e Tunisia c’è un rapporto speciale – che ancora pochi giorni prima della fuga del presidente Ben Alì scriveva a Parigi di non preoccuparsi perché Ben Alì aveva la situazione sotto controllo.
Ma pur tralasciando la fase iniziale, a colpire è stato soprattutto il “dopo”, ovvero la totale incapacità di formulare una posizione, di pensare ed elaborare una strategia, di comprendere gli interessi in gioco per l’Europa e non solo. A volte si è voluto comparare la piccolezza degli attuali leader europei – Sarkozy, Cameron, Berlusconi, Merkel – con la grandezza delle generazioni precedenti – i soliti De Gasperi, Adenauer, Schumann, ma anche De Gaulle, Thatcher, Kohl –, e ciò è facilmente comprensibile. Ma qui non si tratta soltanto di capacità o carisma personale. Il vero nodo è la mancanza di una identità precisa. Non si può decidere che cosa fare e dove andare se non sappiamo esattamente chi siamo e cosa vogliamo o, per dirla in termini cristiani, se non conosciamo il nostro destino e perciò la nostra vocazione.
Il problema è perciò anzitutto questo: con il Trattato di Maastricht e con quelli successivi, si è voluto costruire forzatamente un’Europa senza volto, in omaggio alla cultura relativista e nichilista ormai dominante in Occidente. Si è volutamente e ostinatamente deciso di ignorare le radici dell’Europa, come se si partisse da zero, come se si trattasse di costruire dal nulla, un’utopia che nella storia ha già portato numerosi lutti. Così facendo però ci si è già tagliati la possibilità di un futuro, che non sia il continuo ed estenuante tentativo di conciliare spinte e interessi nazionali spesso contraddittori. È come un albero a cui si tagliano le radici: non potrà più germogliare, e quel complesso intreccio di elementi che prima garantivano la crescita e il rinnovarsi della fioritura, resta come un tronco senza vita, destinato prima o poi a essere usato per il fuoco.
Ecco allora che allo scoppiare delle rivolte in Nordafrica e Medio Oriente i leader europei appoggiano acriticamente la piazza, salutandola come l’inizio di un processo irreversibile di democrazia, senza tenere conto della complessità di elementi che costituiscono queste rivolte e anche le diversissime specificità nazionali. E infatti, davanti agli sviluppi ambigui e contraddittori delle rivolte, non si leva più alcuna voce. Non solo, i ministri degli Esteri dei Paesi della Ue non sono neanche riusciti a produrre un documento di sostegno alle comunità cristiane perseguitate in Medio Oriente, malgrado Parlamento Europeo e Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa avessero votato risoluzioni che chiedevano una posizione netta sull’argomento dopo le stragi in Egitto e Iraq.
Non basta: una di queste rivolte, in Libia, diviene improvvisamente rilevante soprattutto per la Francia che si fa promotrice di una coalizione eterogenea che, sotto l’egida dell’Onu, lancia un attacco contro le milizie di Gheddafi. Anche in questa occasione i Paesi europei vanno in ordine sparso: chi bombarda, chi offre le basi ma rifiuta di sparare, chi si defila. Per giorni addirittura, a bombardamenti in corso, si litiga su chi debba guidare l’azione militare e sui suoi obiettivi finali. Una confusione del genere non si era mai vista, e nessuno sembra avesse considerato le prevedibilissime conseguenze: un’ondata di profughi nel Mediterraneo che, saltato il tappo garantito dall’accordo Italia-Libia, non trova alcun filtro e prepara nuove tragedie umane.
Proprio l’emergenza profughi, e la “guerra” che ne è seguita tra Italia e resto d’Europa (soprattutto Francia), ha messo ancora più in rilievo l’inefficacia di una Unione Europea assolutamente impreparata davanti ai problemi reali. Paralizzati dagli interessi nazionali, i Paesi Ue non si sono mai posti collegialmente il problema di come fare fronte alla minaccia incombente. Ma soprattutto è emersa una profonda debolezza strutturale, perché le istituzioni europee non hanno previsto alcuna procedura per fare fronte a emergenze – certamente possibili se non addirittura probabili – come quella di immigrati e profughi.
A questa manifesta incapacità fa peraltro da contraltare una sorprendente puntualità nell’interferire nelle legislazioni nazionali dei Paesi membri su materie che – secondo i trattati europei – sarebbero di esclusiva pertinenza dei singoli Stati. Aborto e diritti degli omosessuali, soprattutto, sono diventati in questi anni una continua fonte di interventi da parte delle istituzioni comunitarie. Si ha così l’impressione che l’Unione Europea sia in realtà facile preda di lobby e burocrati interessati che approfittano degli spazi concessi dalle istituzioni per promuovere una serie di interessi settoriali, mentre nel frattempo i rappresentanti dei governi europei non sono in grado di dare un senso a questa comunità di Stati.
Di una Europa unita c’è sicuramente bisogno, ma quella attuale è la strada che porta alla sua fine. E la crescita nei singoli Paesi dei partiti anti-europeisti avrebbe dovuto far scattare l’allarme già da tempo. Per questo è necessario che si riapra il dibattito su che cosa deve essere l’Europa, sulla sua vocazione e su come seguirla.

 
 
 
 

 

IL TIMONE  N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 18 – 19

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