Dopo divorzio e aborto, i radicali tornano all’attacco dell’ordine naturale. Vi spieghiamo perchè il caso-Welby è la sintesi esemplare di una strategia luciferina: legalizzare il “testamento biologico” per arrivare alla “dolce morte”.
1. Pietà verso il caso umano
Il caso umano serve a sconvolgere l’opinione pubblica: presentare un volto concreto che si offre con crudezza alla commiserazione della gente. Il caso umano deve spaventare l’uomo della strada, porlo di fronte a una situazione che gli appaia insostenibile. Portare gli spettatori e i lettori a pensare: che orrore, se capitasse a me. Bisogna usare un corpo umano per disarmare l’opinione pubblica, ridurla al silenzio, metterla in condizione di inferiorità psicologica.
2. Apparente assenza della componente ideologica
I registi di tutta l’operazione devono fare un passo indietro, si defilano in una zona d’ombra del palcoscenico, pronti a uscire allo scoperto al momento opportuno. I radicali sono consapevoli di non essere simpatici a tutti. Sanno anche che l’uomo della strada prova un sentimento di istintiva diffidenza per i politici. Ecco allora che la “battaglia per i diritti civili” diventa potente se è combattuta da una vittima, fornita di una patente di rispettabile normalità: la moglie maltrattata, la donna violentata, il malato di sclerosi. Persone che parlano non per interesse di partito, ma per far valere “un loro diritto”: quello a divorziare, ad abortire, ad essere uccisi. Basterebbe un po’ di attenzione per accorgersi che le cose non stanno proprio così, e che ad esempio Welby è il co-presiden-te della Fondazione Coscioni. Quindi, un uomo che fa politica in una organizzazione collaterale al Partito Radicale. Ma quasi nessuno se ne accorge.
3. Inquinamento del fatto religioso
In un Paese che conserva ancora sentimenti confusi ma diffusi di affinità al cattolicesimo, l’esibizione del crocifisso appeso accanto al letto di Welby è un vero colpo da maestro. Non dunque un ostile anticlericale ateo professo, ma un più intrigante uomo attraversato da dubbi e interessi per “le religioni”. Il messaggio allo spettatore medio è: guarda, noi non ti chiediamo di abiurare la tua fede; puoi essere cattolico e volere l’eutanasia. È la tecnica dello “svuotamento” della fede, della sua riduzione a qualsiasi cosa, a insignificanza.
4. Clericalizzazione del problema
Il massimo che il cattolico medio sappia esibire in queste discussioni è spesso uno slogan del tipo: “come credente sono contrario all’eutanasia”. Una dichiarazione che va a nozze con l’obiettivo del nichilismo radicale: mostrare che in queste materie ognuno deve poter decidere in base alle proprie convinzioni morali e religiose. Perfino il bravo cardinale ottuagenario che, intervistato dal tiggì, argomenta contro l’eutanasia ricordando il lavoro delle buone suorine che assistono gli ammalati nel vecchio ospedale della città diventa, nelle mani astute dei radicali, un argomento pro-eutanasia: “che i cattolici facciano pure i buoni samaritani; basta che non ci vietino l’eutanasia”. Siamo così giunti all’anticamera della legalizzazione.
5. Complicità dei mezzi di comunicazione di massa
La lettera di Welby a Giorgio Napolitano sarebbe anche potu-ta finire in taglio basso a pagina 30 del Corriere della Sera. È invece stata strillata sulle prime pagine di tutti i quotidiani, e ha tenuto banco nelle aperture dei principali telegiornali. I Radicali hanno ottenuto la massima visibilità con il minimo sforzo. Del tutto probabile che abbiano preallertato i direttori delle principali testate, e verificato se e quando la notizia avrebbe potuto sfondare il complesso meccanismo del mercato della comunicazione.
6. Collateralismo del sistema politico e istituzionale
I radicali sapevano già con certezza che Napolitano avrebbe loro risposto, e che in qualche modo il Presidente – post comunista di gran classe – avrebbe fornito un appoggio all’obiettivo primario dei profeti della dolce morte: aprire un dibattito politico e parlamentare. Bisognava obbligare i partiti ad ammettere che l’eutana-sia doveva entrare nell’agenda politica. E così è stato.
7. Consapevolezza della debolezza dell’avversario
I radicali sanno benissimo che il loro avversario è, su queste frontiere della vita e della morte, sempre più demotivato, fragile, superficiale. Gli opinion leader – politici, intellettuali, ma anche teologi, sacerdoti, catechisti – leggono i corsivi sulle prime pagine dei giornali laici e fiutano il vento che cambia direzione. Terrorizzati dalla paura di perdere il consenso della loro base – gli elettori, i colleghi, i parrocchiani – preferiscono tacere. O nascondersi dietro formule ambigue del tipo “è un problema complesso”. Così, l’opinione pubblica finisce con l’ascoltare solo la campana dei cattivi maestri.
8. Elaborazione di falsi bersagli
I radicali sanno benissimo che la società – come la natura – non facit saltus. I cambiamenti verso la dissoluzione dell’ordine naturale devono avvenire gradualmente. Ma per provocarli bisogna fingere di pretendere tutto e subito. Così, Pannella andrà in tv assumendo iniziative clamorose – come ad esempio dichiararsi pronti a praticare con le loro mani la dolce morte – e in Parlamento verranno depositate richieste di legalizzazione “estrema”.
9. Definizione occulta dei veri obiettivi
Nascostamente, i fautori della cultura della morte avranno pianificato con realismo gli obiettivi di breve e medio termine. Nella fattispecie, lo scopo era quello di “spostare” intere masse di uomini politici su una posizione di pacifica accettazione del cosiddetto “testamento di vita”. Senza lo scossone del caso Welby, sarebbe stato ancora possibile mettere in discussione le numerose ambiguità di questo strumento. Invece, adesso, i radicali hanno messo a segno il loro capolavoro, ridefinendo lo scenario del dibattito: quelli che sono “per la vita”, i “reazionari”, sono pronti a firmare anche do-mani mattina una legge sul testamento biologico, senza nemmeno verificare se così facendo si introduce nei fatti l’eutanasia; gli spiriti liberi e progressisti invece si battono per il diritto a morire.
10. Annebbiamento dei criteri oggettivi di giudizio.
Bisogna sgretolare le resistenze all’eutanasia solleticando il ricorso alla decisione individuale: se io voglio morire, perché lo Stato me lo deve impedire? Come se il compito della legge fosse quello di assecondare sempre i desideri del singolo. Nello stesso tempo, si deve fare in modo che la morale sia spazzata via da un’unica norma: fai quello che ti senti. Perfino la lettera di Cesare Scoccimarro, 45 anni, stessa malattia di Welby, che ha scritto a Napolitano per chiedere di continuare a vivere, in questo modo è totalmente disinnescata. Uno vuole morire, un altro vivere. Benissimo – risponde con flautata tolleranza il profeta radicale – rispettiamo la volontà di ciascuno. Con il che tramonta la possibilità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il delitto dall’atto lecito. Il punto di vista soggettivo come misura di tutte le cose. Non è solo una sconfitta della Chiesa: è innanzitutto la fine della civiltà giuridica e il trionfo definitivo del nichilismo radicaloide, assunto come sistema di pensiero collettivo.
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl