La parola cultura può avere molteplici significati: può indicare la semplice erudizione, oppure può essere concepita come cultura animi, cioè “coltivazione” dell’interiorità dell’uomo realizzata attraverso i valori; può assumere un significato storico oppure può essere intesa come l’insieme delle conoscenze e dei giudizi che si sviluppano nella storia e caratterizzano la vita di una comunità.
È quest’ultimo significato quello da cui muove la riflessione del cardinal Joseph Ratzinger nel suo ultimo libro” Fede Verità Tolleranza”.
In tutte le culture storiche conosciute la religione è il centro determinante della cultura, il suo elemento essenziale, l’orizzonte che definisce i valori e l’ordine interno del sistema culturale.
Solo l’Europa nell’epoca moderna, osserva Ratzinger, “ha sviluppato un concetto di cultura che fa apparire questa come un’area a se stante diversa dalla religione o addirittura ad essa contrapposta”.
La nascita dello spirito “laico” (più precisamente si dovrebbe dire laicista) ha condotto all’affermazione dell’autonomia assoluta della realtà terrena e alla separazione totale di fede e cultura; all’universalità della religione si è sostituito un altro universalismo, quello prodotto dalla cultura tecnica che ha uniformato, grazie alle sue enormi potenzialità, i diversi ambiti di vita dell’umanità. Ma se la realtà del mondo è totalmente autonoma non ha bisogno dell’annuncio del Vangelo, perciò che senso ha l’evangelizzazione? È legittimo il desiderio di costruire una civiltà aperta a Dio?
Queste domande hanno suscitato nel recente passato e suscitano tuttora dubbi e divisioni all’interno della comunità ecclesiale che s’interroga sul modo corretto d’intendere il rapporto tra fede e cultura; il magistero, da parte sua, ha chiarito esplicitamente e in molte occasioni i motivi per cui non può esserci cristianesimo senza evangelizzazione della cultura e inculturazione della fede. All’insegnamento del magistero si possono affiancare alcune considerazioni di ragione utili a chiarire e descrivere i termini del problema.
Fede e cultura sono due realtà distinte. Ogni cultura umana ha una propria autonomia; in ciascuna infatti è contenuto un sapere che non dipende dalla visione di fede, ma nasce dalle risposte che gli uomini di volta in volta trovano sul significato dell’esistenza e, di conseguenza, sul rapporto con Dio, con gli uomini e con il mondo. Questo sapere è autonomo dalla fede perché i significati a cui perviene precedono la visione di fede sia da un punto di vista logico che cronologico: l’uomo inizia a scoprire sin dalla nascita il significato della realtà facendone esperienza con te proprie facoltà naturali.
In tale comprensione però è sempre presente la consapevolezza della dipendenza da qualcosa o da Qualcuno di più grande, di assoluto: infatti, ovunque l’uomo trova il mistero dell’essere, un essere che non è scaturito da lui, che non riesce a penetrare con le sue sole forze e che tuttavia esiste.
L’esperienza della dipendenza genera come risposta nell’uomo una tensione verso il fondamento assoluto e invisibile della realtà. Perciò, già nella conoscenza naturale del mondo, quella conoscenza che dà consistenza all’ autonomia delle realtà terrene, è racchiuso il senso religioso, l’apertura del significato finito al senso misterioso e infinito.
La fede non può sostituire il sapere di cui l’uomo è capace naturalmente; essa, al contrario, ne ha bisogno in quanto si presenta come risposta alla domanda sul senso profondo di quell’essere che non può essere misurato dalle facoltà naturali; il Vangelo perciò, lungi dall’essere una risposta estranea agli interessi dell’uomo, si offre come compimento del” primo livello” di comprensione avvenuto con l’esperienza: Cristo si rivela come la verità ricercata.
La fede dunque, da parte sua, non può e non deve assorbire la cultura strumentalizzandola e riducendone il significato; contemporaneamente il sapere naturale non può e non deve rivendicare un’autonomia che diventi esclusione del senso religioso contenuto nell’esperienza umana: né confusione, né separazione, ma distinzione.
Sin dai primi secoli il cristianesimo ha operato evangelizzando culture diverse che si collocano all’origine di molte “cristianità”.
Di per sé l’evangelizzazione non mortifica le forme culturali storiche, ma anzi le valorizza permettendo l’approfondimento e il compimento della comprensione naturale della realtà: “Le culture, quando sono profondamente radicate nell’umano, portano in sé la testimonianza dell’apertura tipica dell’uomo all’universale e alla trascendenza… Ad ogni cultura i cristiani recano la verità immutabile di Dio, da Lui rivelata nella storia e nella cultura di un popolo… In questo incontro, le culture non solo non vengono private di nulla, ma sono anzi stimolate ad aprirsi al nuovo della verità evangelica per trame incentivo verso ulteriori sviluppi” (Fides et ratio, nn.70-71).
Quanto più una cultura è conforme alla natura umana, tanto più aspirerà alla verità che fino a un certo punto le era rimasta preclusa e sarà capace di assimilarla. “È qui che emerge la particolare autocomprensione della fede cristiana. Essa sa bene… che nei vari imprinting culturali… ci sono molte cose che hanno bisogno di purificazione e di apertura. È certa tuttavia anche di essere, nel suo nocciolo, il rivelarsi della verità stessa, e quindi di essere redenzione, poiché la vera sciagura dell’uomo è proprio l’essere all’oscuro della verità” (Fede Verità Tolleranza, pp. 68-69).
Contemporaneamente all’evangelizzazione è avvenuta l’inculturazione della fede, cioè l’assunzione di concetti e categorie maturati in ambiti culturali specifici, di cui la Chiesa ha riconosciuto il valore universale; l’eredità del pensiero greco e latino, che la provvidenza di Dio ha fatto incontrare alla Chiesa all’inizio del suo cammino, non ha determinato la chiusura ad altre culture, piuttosto ha offerto a queste ultime gli strumenti per potenziare la propria crescita.
La società occidentale contemporanea in questo momento storico vive la tentazione di costruire la città degli uomini senza Dio e contro di lui; la rinuncia alla memoria storica e all’eredità cristiana è sostenuta da un diffuso agnosticismo militante trasversale ai raggruppamenti politici: “Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo” (Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, n. 7). Di fronte a questo tentativo i cristiani devono coltivare la certezza che incarnare nella storia la visione evangelica della realtà difende e promuove tutto l’uomo e ogni uomo innazitutto ridonando la speranza nel senso trascendente della vita di cui ogni cuore ha nostalgia.
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio.
Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa.
Joseph Ratzinger, Fede Verità Tolleranza, Ed. Cantagalli, Siena 2003.
Francesco Botturi, Evangelizzazione e cultura, in Deisderio e verità, Ed. Massimo, Milano 1985, pp. 191-203.