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13.12.2024

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Fiducia nella Provvidenza
31 Gennaio 2014

Fiducia nella Provvidenza

 

 

 

 

Permettetemi, oggi, di portare la vostra attenzione su un passo del Vangelo che non cessa di stupirmi tutte le volte che lo leggo. Sono pochi versetti di Matteo, stranamente non molto frequentati nelle omelie. Ad essi ricorro ogni volta che sono in difficoltà (cioè, quasi sempre), perché la nostra precaria esistenza ha un bisogno disperato di sicurezza; e non c’è nulla che ne dia, di sicurezza, come il denaro. Averne abbastanza, ma soprattutto poter contare sul fatto che anche domani e dopodomani se ne avrà abbastanza, rende questa valle di lacrime molto più sopportabile. Certo, il denaro non impedisce disgrazie e malattie, ma consente di farvi fronte meglio. Nella peggiore delle ipotesi, il possederne attenua di molto l’ansia esistenziale. Infatti, una cosa è essere malati in una clinica di lusso, coccolati da fior di primari; altra è l’attendere il medico di turno in qualche squallida corsia dell’ospedale pubblico. Ma non fatemi parlare dell’ovvio, per piacere: sono cose che sanno tutti. Eppure, nel Vangelo Cristo è drastico quando dice che non si può servire in contemporanea Dio e Mammona, e che bisogna scegliere.
Ora, si da il fatto che il re di questo mondo è proprio Mammona: è lui che da sicurezza alla vita terrena. L’alternativa è fidarsi ciecamente della Provvidenza, la quale ha due piccoli difetti. Il primo è che non si vede. Il secondo, che ha l’abitudine di intervenire sempre all’ultimo soffio. Roba da far venire la tachicardia. Solo i santi riescono a farvi assegnamento. Cristo nel Vangelo ha moltiplicato gli avvertimenti e l’esortazione alla fiducia; ha dato anche gli esempi ed ha rimbrottato gli Apostoli quando si lamentavano di non avere più pane, dimentichi delle due recenti moltiplicazioni miracolose dei pani e dei pesci. Cristo parla esplicitamente di “inganno delle ricchezze”, e tutta la sua predicazione è un ribadire che la Provvidenza è molto più sicura dei beni materiali. In fondo, è proprio questo il punto. Il discrimine tra credenti e non credenti passa giusto da qui. Anche all’interno degli stessi credenti, molti dei quali (i più) si affidano a Dio solo dopo essersi ben assicurati le condizioni materiali di esistenza. Ad alcuni, però, è Dio stesso ad impedire una “realizzazione” in tal senso: sembra voglia che, almeno loro, campino di Provvidenza. Anche per forza. Anche contro l’evidenza della cronaca quotidiana, la quale porta continuamente sotto gli occhi ogni sorta di sventura e disgrazia. Sì, la stampa e i telegiornali sono ansiogeni, mostrandoci continuamente e contemporaneamente due mondi: quelli che si divertono e quelli che soffrono, la dolce vita di alcuni e la vita da cani degli altri, la gioia di pochi e la malasorte di tanti.
Ma veniamo al passo evangelico che avevo anticipato. Eccolo: «Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: ‘il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?’. Rispose: ‘Sì’. Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: ‘Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?’. Rispose: ‘Dagli estranei’. E Gesù: ‘quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te’» (Mt 17,24).
Il significato è chiaro: il Figlio di Dio non deve pagare la tassa al tempio di suo Padre. Però il Cristo sa che gli esattori non capirebbero, perciò paga. Ma con cosa paga? Con la moneta d’argento nella bocca del pesce. Il cui valore è esattamente quanto basta per lui e per Pietro, non un soldo di più. Come ci sarà finita, quella moneta in bocca a quel pesce? Chissà da quanto tempo la Provvidenza aveva preparato questa “dimostrazione”. Forse a qualcuno, su una barca, sarà caduta di tasca quella moneta, il cui luccichio avrà attratto il pesce. Magari il suo proprietario se la sarà presa con la sorte che l’ha privato di quella somma per pura sfortuna. Ma noi sappiamo che non esiste la sfortuna: quel denaro serviva a Dio per i suoi fini. Forse quel tale è stato ricompensato della perdita in altro modo, chissà. Forse quella moneta era frutto di un furto sacrilego, e il ladro, pentito, se ne è disfatto gettandola in acqua. Quel pesce, poi, quanta strada avrà percorso per trovarsi sulla riva del lago di Cafarnao nell’esatto momento in cui Pietro, obbedendo all’ordine di Cristo, si recava all’appuntamento con la Provvidenza? Notare che Pietro, impulsivo come al solito, si è sbilanciato con gli esattori prima di consultarsi con il suo Maestro. E quest’ultimo non ha voluto fargli fare la figuracela di smentirlo, pur facendo notare di poterselo permettere.
Morale: non ti preoccupare dei soldi; se obbedisci a Dio, quel che ti serve, quando ti serve, non ti mancherà mai. Sarebbe bello potere avere lo stesso abbandono fiducioso totale che dimostra Cristo in quell’episodio. La sua tranquillità è sconcertante. La Provvidenza ha organizzato tutto il complesso marchingegno della moneta nella bocca del pesce giusto per dare una lezione a Pietro. E per darla a noi, che leggiamo di quei fatti a duemila anni di distanza. Sembra tutto così facile, quando lo si legge. Ma ci vuole un esercizio continuo per introiettare queste verità, e spesso non basta l’intera vita. Così, talvolta andiamo a dormire (e talvolta non riusciamo a dormire) con questo pensiero: domani troverò nella bocca del pesce quel che mi serve? E ci sarà un pesce con una moneta in bocca anche dopodomani?

 IL TIMONE – N. 9 – ANNO II – Settembre/Ottobre 2000 – pag. 20-21

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